Camorra & Politica: la difesa di Aliberti

Aldo Bianchini

SALERNO – Un lettore, o meglio una lettrice, ha commentato il mio ultimo (in ordine di tempo) articolo sulla vicenda giudiziaria che tenta di travolgere il sindaco di Scafati, Pasquale Aliberti, e la moglie Monica Paolino (consigliere regionale di F.I.). La lettrice, sotto il nome di “Marilena Passaretti” (non mi è possibile accertare la vera identità della lettrice e/o del lettore), ha postato il seguente lapidario commento: “Questo non è giornalismo è propaganda politica!”. Due affermazioni apodittiche e trancianti che vanno analizzate singolarmente anche perché mi fanno capire che la lettrice non conosce gli atti e mi danno la possibilità di andare oltre le notizie velinate per entrare dentro gli argomenti delicati che si offrono sempre a diverse chiavi di lettura. Per prima cosa smentisco che il mio articolo possa essere inquadrato nel comune esercizio della politica in quanto se riletto con calma e senza pregiudizi appare effettivamente molto lontano dalla politica e, soprattutto, dalla propaganda politica; non c’è niente di propaganda ma soltanto l’analisi fredda di alcuni accadimenti che la stampa non rilegge e pubblica semplicemente perché fanno notizia. Per quanto riguarda, invece, la prima affermazione in merito al fatto che “questo non è giornalismo” non posso dare torto all’anonima lettrice; difatti non conosco le regole fondamentali del giornalismo dalle quali, comunque, mi dissocio se non sfociano, dopo la notizia, nell’analisi e nell’approfondimento. Ed a proposito di approfondimento la lettrice, involontariamente, mi da la possibilità di ritornare sull’argomento e più specificamente sulla figura del pentito chiave, Alfonso Loreto, che accusa i coniugi Aliberti. Dagli atti delle indagini risulterebbe, in primis, che Alfonso Loreto non ha mai incontrato e non ha mai parlato con Pasquale Aliberti se non nel lontano 2004 quando il Loreto aveva circa 18 anni. Questa dichiarazione su richiesta di precisazioni da parte del pm Vincenzo Montemurro sarebbe stata successivamente corretta e modificata nella sostanza del racconto che parte dal 2004 e finisce ai giorni nostri, scavalcando completamente la prima giunta Aliberti dal 2008 al 2013 nel corso della quale non ci sarebbe stato alcun contatto tra i due, né fisico, né politico. Il pentito avrebbe raccontato che nel 2004 fu proprio Aliberti ed indirizzarlo verso un commercialista in quanto Loreto doveva aprire una società e non sapeva come muoversi nel difficilissimo mondo delle istituzioni commerciali. Questo fatto sarebbe apparso al PM come un inizio, una specie di pianificazione del dopo, cioè una progettazione di tutto quello che sarebbe accaduto dopo il 2013 e che i pentiti Alfonso Loreto e Andrea Ridosso (una posizione quella di quest’ultimo che non mancherò di analizzare nei prossimi articoli) starebbero raccontando; una ricostruzione fantasiosa di un incontro avvenuto dodici anni prima e nel momento in cui Aliberti non era sindaco (e non prevedeva di diventarlo) e Loreto era un giovane diciottenne in cerca di qualche ancora sicura prima di precipitare verso altre strade. E siamo alle solite quando si sarebbe cercato di avvalorare l’ipotesi che Aliberti sapendo chi era, o meglio di chi era figlio Alfonso, avesse predisposto un vero programma futuro consigliando addirittura al richiedente di aprire la società, come sede sociale,  fuori dal tenimento di Scafati. Sembra tutto allucinante, ma non è così; in effetti la magistratura inquirente ha nel suo dna la convinzione costante che il malaffare si programma in tempi non sospetti per realizzarlo, poi, senza tanti rischi di essere scoperti. Ricordo come, oltre venti anni fa, nel processo “Fondovalle Calore”, cardine della tangentopoli salernitana, la pubblica accusa era arrivata ad ipotizzare a carico dei numerosi imputati che la legge nazionale del 1986 sui lavori pubblici (una delle prime leggi che disciplinavano le gare di appalto) fosse stata confezionata ad arte per snellire le procedure e consentire la maggior fonte possibile di mazzette. E’ un vecchio ritornello che ritorna ciclicamente e sempre con maggiore rumorosità. Non c’è nessuna meraviglia quindi che una pratica del genere possa essere stata messa in atto anche dal pm antimafia (o meglio dal pool antimafia) che conduce le indagini sul presunto malaffare scafatese. La novità, se di novità si può parlare, è costituita dal fatto che fortunatamente il gip Donatella Mancini nel rigettare la richiesta di arresto avanza la tesi che al massimo dopo il 2013 può esserci stato il reato di “corruzione elettorale” ma non il “voto di scambio” inquadrabile in un rapporto “politico-elettorale-mafioso”, tale da far ritenere come necessarie le misure coercitive richieste dal PM. Un rapporto politico-elettorale-mafioso che aveva bisogno, a sostegno, proprio di una ricostruzione dell’amicizia tra Aliberti e Loreto con datazione molto antecedente ai fatti oggetto di indagini preliminari; su questo sta lavorando alacremente il pool di magistrati (Vincenzo Montemurro, Giancarlo Russo e Maurizio Cardea) messo in piedi dalla Procura Antimafia di Salerno. La battaglia, è facile capirlo, si giocherà tutta sul filo di lana e in punta di diritto; la difesa di Aliberti (assicurata dagli avv.ti Agostino De Caro e Antonio D’Amaro) e della Paolino sarà lunga e difficile ma anche appassionante. Alla prossima.

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