L’Unione delle camere penali Italiane denuncia gli effetti “devastanti” sui principi del giusto processo prodotti dalla sentenza Bajrami, delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.

 

 

da Pietro Cusati

Dr. Pietro Cusati

Il Presidente delle camere penali italiane Giandomenico Caiazza ed il Segretario Eriberto Rosso, hanno indirizzato, nel mese di giugno, una lettera aperta a tutti i Presidenti di Tribunale e Corti di Appello sulla sentenza delle sezioni unite della Corte di Cassazione Bajrami, che ha di fatto abrogato il principio di immutabilità del giudice, limitando il diritto dell’imputato alla riassunzione nel caso di cambiamento del giudice che ha assunto la prova. Per le Camere penali, quanto sta accadendo nelle Corti italiane a seguito della sentenza delle SSUU Bajrami è “insostenibile”, e produce “effetti devastanti sulla qualità della giurisdizione e sui principi fondativi del giusto processo”. L’Unione delle Camere Penali Italiane denunzia la compromissione del diritto dell’imputato a essere giudicato dal medesimo giudice che ha raccolto la prova in dibattimento: un accadimento processuale che ormai si verifica quotidianamente nelle aule di udienza, quale effetto devastante di regressive interpretazioni della disciplina processuale, che consentono di omettere la rinnovazione della prova in caso di mutamento del giudice. Per questi motivi gli  avvocati penalisti Italiani  si sono astenuti nei giorni scorsi dalle udienze ed hanno chiesto  un ‘ intervento legislativo a salvaguardia della concreta attuazione dei principi cardine del giusto processo. È dunque necessario preservare le caratteristiche del rito accusatorio, uniche a rendere il processo giusto, e riservare a situazioni assolutamente eccezionali l’omessa rinnovazione della prova a fronte del mutamento del giudice.  Nonostante il principio di diritto vigente nel nostro ordinamento in quanto oggetto della legge delega, ogni giorno continua a verificarsi nelle  aule di giustizia il fenomeno determinato dalla regola stabilita dalla Suprema Corte di Cassazione con la nota sentenza Bajrami (Sez. Un. 41736/2019). Secondo tale pronuncia è possibile per il nuovo giudice non procedere alla rinnovazione dell’acquisizione della prova, limitando tali ipotesi al solo caso che la parte abbia indicato il teste nella sua lista o intenda indicarlo in una nuova lista testi, a condizione che siano diverse le circostanze rispetto a quelle oggetto della prima testimonianza. Conseguenza di tale pronuncia sono le devastanti prassi in atto per le quali con inquietante frequenza mutano le composizioni dei collegi e dei tribunali monocratici, di fatto così bilanciando principi costituzionali con esigenze organizzative, trasferimenti a richiesta dei singoli magistrati, esigenze private degli stessi giudici. È così vanificato un diritto dell’imputato fondamentale nell’architettura del giusto processo, ovvero il diritto ad essere giudicato dallo stesso giudice che ha raccolto la prova, in ossequio agli irrinunciabili principi di oralità e immediatezza. La sentenza n. 41736/2019 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, ha “sostanzialmente abrogato” i principi dell’immutabilità del giudice e dell’immediatezza del processo, conferendo al giudice un inedito potere discrezionale rispetto alla richiesta di ripetizione della prova assunta in caso di cambiamento della composizione del Giudice. Il diritto dell’imputato ad essere giudicato dallo stesso giudice che ha raccolto la prova, può venire limitato dal giudicante quando ritiene che la riassunzione della prova sia manifestamente superflua. La diretta ed immediata conseguenza della pronuncia è la “polverizzazione” del diritto dell’imputato ad essere giudicato dallo stesso giudice che ha raccolto la prova; un principio che “era e resta fondamentale nell’architettura del giusto processo” .L’Unione delle Camere penali Italiane denuncia  una erosione  di garanzie soggettive fondamentali, è soprattutto la sovversione della regola epistemologica fondativa del giudizio penale.

 

 

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