Tangentopoli: 13 agosto … quando venne turbata la contemplazione delle monache di clausura

Aldo Bianchini

 

Il convento delle suore carmelitane di clausura di Fisciano

SALERNO – Il fatto che racconto in questo capitolo della lunga saga dedicata al trentennio di tangentopoli che, per ragioni di tempo e spazio, racchiudo almeno per Salerno nel periodo dal 16 aprile 1992 (sequestro degli uffici tecnici degli ingg. Franco Amatucci e Raffaele Galdi) al 23 febbraio 1994 (giorno della sentenza di 1° nel processo Fondovalle Calore) è un piccolo salto in avanti.

Ovviamente la tangentopoli salernitana è molto più lunga e tecnicamente finisce, forse, con l’arresto del 1995 dell’allora rettore dell’Unisa Roberto Racinaro (il filosofo rosso); io l’ho racchiusa nel periodo di circa due anni perchè sono quelli più significativi dal punto di vista operativo della Procura di Salerno ed anche perché si conclude con l’unico vero processo contro la tangentopoli che ha generato condanne passate, poi, in giudicato.

Tutti gli altri processi si sono conclusi miseramente tra assoluzioni e prescrizioni, a disdoro della convinta azione dei tanti Pubblici Ministeri che si sono cimentati contro la corruzione nella pubblica amministrazione nel connubio chiaroscuro tra politica e malaffare.

Il presente lungo racconto è, per non essere fraintesi, la cronaca temporale degli avvenimenti che caratterizzarono il periodo compreso tra il 16 aprile 92 e il 23 febbraio 1994.

Insomma è la storia di quel periodo che va dal 16 aprile 1992 al 23 febbraio 1994.

 

Da quanto detto nasce, però, l’esigenza di fare qualche salto avanti o indietro, rispetto al periodo sopra indicato, per rafforzare e meglio spiegare non solo la dimensione di alcuni personaggi ma anche riportare alcuni clamorosi eventi accaduti dopo quel periodo ma che ben si ricollegano al ceppo principale dei fatti giudiziari che hanno avuto inizio proprio tra il 1992 e il 1994.

Il fatto, o meglio i fatti, che racconto oggi riguardano lo stesso personaggio che proprio trent’anni fa, nel mese di agosto 1993, era sulla bocca di tutti perché individuato dagli inquirenti, su rivelazione dei grandi imprenditori dell’epoca come Alberto Schiavo e Vincenzo Ritonnaro, come l’uomo capace di entrare in tutte le vicende di tangentopoli e di manipolarle e indirizzarle secondo una sua precisa strategia politica finalizzata all’acquisizione ed all’esercizio del potere: Gaspare Russo, questo il suo nome, già assessore e sindaco del Comune di Salerno, già presidente della Camera di Commercio, già presidente della giunta regionale della Campania e già componente del Consiglio d’Amministrazione delle FF.SS.

Gaspare Russo con Aldo Moro

Di Gaspare Russo ho già scritto in un precedente capitolo di questa storia, esattamente quando ho descritto il famoso “giovedì nero”di Gasparone fissato indelebilmente nella data del 13 maggio 1993 quando l’ex presidente della Regione Campania venne svegliato di soprassalto nella sua suite degli “champs élysèes” di Parigi (dove era arrivato il giorno precedente da Salerno dopo un lungo viaggio depistante; in macchina da Via San Giovanni Bosco fino a Napoli-Capodichino, aereo Napoli-Milano e poco dopo Milano-Francoforte, in auto da Francoforte a Zurigo e da lì in auto verso la Francia in un paese della Loira dove era molto stimato, e poi l’ultimo tratto di nuovo in macchina per Parigi) dalla telefonata di un suo fedelissimo che gli annunciava l’avvenuta emissione e notifica di ben sette mandati di cattura e di un blitz mancato sulla pista di Capodichino per la su cattura.

Quel pomeriggio 13 maggio 1993 negli atti giudiziari viene, però, raccontato in maniera diversa: “Il solerte vice questore Sebastiano Coppola (capo del drappello di polizia presso il Tribunale, l‘uomo che il 31 maggio 1993 stringerà le manette intorno ai polsi del sindaco Vincenzo Giordano) verga un rapporto urgente per la Procura, un confidente gli ha sussurrato che Russo, ignaro degli ordini di cattura, sta rientrando da Francoforte con volo diretto verso Capodichino; rapida la decisione assunta dai pm Di Nicola, D’Alessio e Scarpa con l’avallo del capo Ermanno Addesso. La pista di atterraggio dell’aeroporto partenopeo, nel tardo pomeriggio di quel 13 maggio, viene cinta d’assedio dagli uomini delle forze dell’ordine; ma di Gaspare Russo nessuna traccia. Sparisce nel nulla e su di Lui fioriscono varie leggende; c’è chi lo vuole nei mari del sud America, chi a Londra e chi a Parigi sulle rive della Senna in una latitanza dorata”.

Come avete letto era accaduto, in realtà, tutto il contrario; a Francoforte Gaspare Russo era sì giunto in aereo ma da Milano; però non stava, nel pomeriggio, ritornando verso Napoli ma in auto viaggiava comodamente verso Zurigo. L’informazione riservata che qualcuno aveva rifilato a Coppola non era altro che una fake-news che contribuì, comunque, a far perdere totalmente le tracce del politico e ad innervosire ancora di più gli stessi inquirenti che cadranno in una nuova trappola poco più di un anno dopo, esattamente il 13 agosto 1994 quando con un blitz in piena regola cercheranno di catturare il fuggiasco nel Convento delle Suore Carmelitane di Fisciano.

L’azione della Procura di Salerno, con il capo del drappello della Polizia di Stato presso il Tribunale “Sebastiano Coppola” agli ordini dei pm Luigi D’Alessio e Vito Di Nicola, venne sospinta da una nuova rivelazione di persona ritenuta di assoluta fiducia: Gaspare Russo si trova nel convento di Fisciano ed è ritornato per raccogliere fondi necessari alla sua latitanza dorata. In verità in quel periodo le voci su una possibile presenza di Russo nel salernitano furono tantissime; tra le tante anche quella che lo posizionava nella casa al mare del figlio Ivo (ci fu un blitz delle forze dell’ordine andato a vuoto) o addirittura nell’albergo di proprietà di Alberto Schiavo vicino all’incantevole Acciaroli.   Ma la pista che diede lo spunto giusto per decidere il blitz di Fisciano arrivò da una intercettazione telefonica ordinata dal pm Michelangelo Russo sull’utenza della signora A.S.M. che all’epoca chiamava spesso il grande introvabile, ed anche sugli arresti del 4 agosto 94 dell’ex sindaco di Baronissi (Pietro De Divitiis) ed altri fidatissimi di Gaspare Russo che la Procura identificava come i veri finanziatori della lunga latitanza.

Insomma, questo il quadro informativo che ingenera nella mente dei due pm Di Nicola-D’Alessio, sorretti e spinti dal poliziotto Sebastino Coppola, l’idea del grande colpo: la cattura dell’inafferrabile Gaspare Russo.

 

IL BLITZ:

E’ l’alba del 13 agosto 1994; una ventina di uomini impiegati direttamente gli ordini di Coppola; lo squadrone giunge a Fisciano e cinge d’assedio il convento; poi qualcuno bussa al portone; non viene dato il consenso all’accesso (si tratta di suore di clausura), interviene addirittura l’arcivescovo di Salerno Mons. Gerardo Pierro che chiede di parlare con i due magistrati (presenti sul posto); secco il rifiuto e perentorio l’ordine di entrare; tardi, troppo tardi: Gaspare Russo è già sparito. Qualcuno dirà che è fuggito attraverso i cunicoli del monastero. A questo punto occorre chiedersi se Russo fosse davvero presente nel Convento. Per una certa logica si, altrimenti come giustificare la clamorosa azione, la violazione della clausura e forse dello Stato Pontificio ? Se Russo si trovava all’interno del convento, chi lo avvertì e chi materialmente lo aiutò ? Qualcosa  avrebbe potuto dirla, forse, Pietro De Divitiis, il fedelissimo di Russo, ma è morto.

 

L'avv. Gaspare Russo in una vignetta del prof. Arnaldo Amabile

Negli ultimi anni ho incontrato decine e decine di volte l’ex sindaco ed ex presidente della Regione avv. Gaspare Russo; tantissimi i mercoledì pomeriggio trascorsi nel suo studio-casa di Via San Giovanni Bosco a Salerno per preparare un libro-racconto sulla sua vita. Molte volte gli ho chiesto se davvero si trovasse, nell’agosto del 1994, nel monastero di Fisciano. Mi ha sempre risposto che: “Caro Bianchini, io non mi sono mai mosso da Parigi dove vivevo tranquillamente e dove nessuno mi ha veramente cercato. Il resto appartiene ai segreti della mia storia”.

 

Sibillina la risposta dell’0n. Russo soprattutto quando dice “… nessuno mi ha veramente cercato …”; inquietante il contenuto di quelle poche parole che fanno pensare ad un problema di fondo, e cioè che gli inquirenti salernitani, milanesi e romani (è utile ricordare che dei sette mandati di cattura a carico di Russo uno era stato emesso dalla Procura di Milano e un altro da quella di Roma)  , dal maggio dal 10 maggio 1993 al 9 febbraio 1996, non fecero tutto quanto era nelle loro possibilità per catturarlo. Ma questo, ovviamente, lo lascia immaginare Gaspare Russo con le sue parole.

E in uno dei tanti momenti di benevolenza nei miei confronti, un giorno mi ha raccontato tra il serio ed il faceto il tentativo del ’95 di catturarlo a Parigi:

  • Una mattina dell’agosto del ’95 scesi di casa di buon mattino, percorsi Via Victor Ugo in direzione “champs élysèes” e girai a sinistra per recarmi al consolato italiano con i cui uffici avevo una interlocuzione continua. Mentre pensieroso camminavo sul marciapiedi vidi ad una cinquantina di metri da me il noto vice questore Sebastiano Coppola, colui che mi ha dato la caccia in più di una occasione; era insieme ad altri due uomini e tutti e tre stavano mangiando un gelato. Mi fermai per qualche secondo, poi visto che loro si erano incamminati li seguii a debita distanza senza fretta; li vidi entrare nel Consolato italiano proprio dove io ero diretto. Feci dietro front e ripercorsi al contrario la strada già fatta e riparai nella mia modesta suite. Erano venuti per me e considerato che erano andati nel luogo dove io andavo spesso e dove i funzionari conoscevano il mio indirizzo e il mio numero di telefono pensai che molto verosimilmente sarebbero, di lì a poco, venuti a prendermi. Non accadde niente ed io continuai la mia serena vacanza parigina. In quella occasione, mi piace dirlo, mi ero trasformato in un ottimo investigatore capace di seguire chi mi doveva seguire; un colpo di fortuna, certo, ma anche abilità di osservazione attenta e meticolosa.

Ma il 9 febbraio 1996 è vicino; quella mattina alcuni poliziotti italiani (coordinati in quel momento dal colonnello dei carabinieri Pietro Paolo Elefante) bussano alla porta della residenza-suite di Gaspare Russo; gli notificano quei sette mandati di cattura del maggio 1993 e finisce ufficialmente la “vacanza dorata e oscura” in quel di Parigi e comincia quella ufficiale con un lunghissimo iter burocratico relativo alla pratica di estradizione conclusasi soltanto il 17 gennaio 2001 quando Russo scende dall’aereo che da Parigi lo ha portato a Roma per approdare direttamente nella sua abitazione di Via San Giovanni Bosco da uomo libero per aver patteggiato il suo ritorno.

Questa volta, però, è solo con l’autista in macchina; non c’è il corteo di auto che nel 1988, per lo scandalo delle lenzuola d’oro, lo aveva accompagnato strombazzando da Regina Coeli fino a Salerno.

 

 

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