Tangentopoli (102): 23 febbraio 1994, la sentenza “Fondovalle Calore”

 

Aldo Bianchini

13 ottobre 1993 - foto scattata nell'aula del Tribunale di Salerno per l'inizio del processo Fondovalle Calore

SALERNO – Siamo arrivati all’ultimo capitolo di questa lunga narrazione ispirata dal desiderio di ripercorrere un periodo della storia, soprattutto giudiziaria, della città di Salerno e con essa dell’intera provincia.

Una storia compresa tra il 12 febbraio 1992 e il 23 febbraio 1994, ovvero dall’eccidio di Pontecagnano Faiano (uccisione dei due carabinieri Fortunato Arena e Claudio Pezzuto per mano dei camorristi Carmine De Feo e Carmine D’Alessio) fino alla sentenza di 1° per il cosiddetto “Processo Fondovalle Calore”; un periodo di due anni nel corso del quale si è verificato tutto ed il contrario di tutto attraverso il fiume in piena della Procura della Repubblica che, sull’onda emozionale della tangentopoli nazionale partorita dal pool mani pulite di Milano, rovesciò sulla politica e sulla imprenditoria della città e della provincia una cascata di inchieste, arresti, avvisi di garanzia, perquisizioni, sequestri con una cadenza praticamente quotidiana e con una forza dirompente superiore, forse, anche alla Procura meneghina.

Ho cercato semplicemente di ripercorrere, facendo leva sui ricordi personali e sugli atti ufficiali, questi due anni tenendo presente che quelli furono gli anni sicuramente più difficili per tutti, nel corso dei quali (verosimilmente anche involontariamente) venne distrutto l’esistente sistema politico di potere facente capo ai socialisti dell’allora ministro Carmelo Conte con la speranza da parte di illusi magistrati di fare pulizia nella gestione della pubblica amministrazione in una città che, secondo quanto scritto in un’ordinanza giudiziaria del gip Mariano De Luca del 21 settembre 1992, era ormai sepolta sotto una spessa coltre di corruzione:

Non può dunque sottacersi che i fatti di causa costituiscono una delle non frequenti occasioni offerte alla giustizia per far luce sulla oscura e desolante realtà che sovente si annida nelle pieghe delle istituzioni troppo facilmente permeabili ad interessi personalistici ed a sfruttamenti parassitari; lo squallido sottobosco che rigoglia ai margini del sistema istituzionale è nella vicenda processuale esemplarmente rappresentato e mostra, con la forza della protervia dei fatti, come l’abbandono di ogni principio morale, il disprezzo verso i valori fondamentali della vita associata, il miope egoismo che tutto subordina al tornaconto personale siano ampiamente diffusi, sovente elevati a sistema di vita e tendenzialmente suscettibili di attentare alla stessa sopravvivenza dello stato di diritto, non meno di fenomeni delinquenziali assai più appariscenti ed eclatanti. Gli elementi probatori sin qui acquisiti, confermando puntualmente l’ipotesi accusatoria, hanno evidenziato non soltanto come protervia e scadimento morale possano indurre a ritenere fatto normale e fisiologico l’appropriazione privatistica di apparati e sistemi predisposti a tutela di interessi generali e collettivi, ma anche come ad una concezione così distorta non siano estranei professionisti stimati e di prestigio, esponenti di categorie cui certo non difettano gli strumenti per una corretta valutazione di simile forma di devianza … La prognosi comportamentale non può, dunque, che essere infausta”.

Dopo l’eccidio di Pontecagnano Faiano che per me rappresenta ancora oggi la linea di demarcazione tra il sistema di potere politico assoluto e il cambio della guardia con un altro sistema di potere politico assoluto, quello che fa capo dal 1993 a Vincenzo De Luca (sindaco di Salerno più volte, governatore della Campania più volte, deputato al Parlamento e vice ministro), si arriva alla data del 16 aprile 1992 quando il pm Michelangelo Russo (vero iniziatore della tangentopoli) con un blitz ben coordinato irrompe negli studi tecnici degli ingg. Franco Amatucci e Raffaele Galdi e sequestra tutto ciò che c’è da sequestrare. Decine se non centinaia di faldoni inerenti i tantissimi progetti per grandi lavori pubblici (Strada Fondovalle Calore – Trincerone ferroviario – Prolungamento tangenziale – teatro Verdi – Bretella autostradale Fisciano/Eboli ecc. ecc.) partoriti dai due cosiddetti “compassi d’oro” nell’ambito di quella ricreazione strutturale ed urbanistica della città di Salerno e del riammagliamento stradale di tutta la provincia con epicentro nell’ immaginario “interporto di San Nicola Varco” (tra Eboli e Battipaglia).

Insomma con il blitz del 16 aprile 1992 non solo partiva alla grande la parte finale dell’inchiesta sulla realizzazione della strada a scorrimento veloce “Fondovalle Calore” ma veniva aggredita giudiziariamente l’intera stagione progettuale senza precedenti che aveva coinvolto centinaia di tecnici ed imprese di tutte le aree politiche.

Aggressione consacrata, poi, dai clamorosi primi sei arresti del 23 luglio 1992: Pasquale Iuzzolino, Giuseppe Parente, Pasquale Silenzio, Mario Inglese, Raffaele Galdi e Vittorio Zoldan oltre ad altri 27 indagati tra i quali spiccano i nomi di Franco Todini, Renzo Rosi, Corrado Vecchio, Carmine Spirito e Nicola Trotta (già senatore del PSI e sottosegretario ai lavori pubblici) che vennero arrestati nei mesi successivi ai primi sei personaggi.

Il processo denominato “Amatucci + 31” incomincia la mattina del 13 ottobre 1993 con un grosso colpo di scena; ben sette degli imputati chiedono di poter patteggiare l’eventuale pena (Nicola Trotta, Corrado Vecchio, Mario Inglese, Filomena Mazza, Mario Clavelli, Giuseppe Parente e Pasquale Iuzzolino) e il Tribunale velocemente, nella seconda udienza, accetta la richiesta e distribuisce 9 anni di reclusione tra i sette patteggiatori (nessuno di loro supera i due anni) ottenendo, così, il risultato più favorevole possibile per il riconoscimento della solidità del castello accusatorio di tutta la tangentopoli salernitana. Se ci sono sette patteggiatori vuol dire che il processo è incardinato su accuse vere e sacrosante.

Risultato avallato anche dal fatto che tra i patteggiatori c’è l’ex senatore e segretario di stato Nicola Trotta; in pratica il Tribunale con una manovra abilissima (forse concordata con gli stessi patteggiatori, ma questo non lo sapremo mai) chiude drasticamente alla possibilità che il tutto si trasformasse in “un processo politico” come già da più parti veniva adombrato per demolire le indagini preliminari.

Numerose le udienze previste da un calendario che, all’epoca, era considerato troppo corposo e fitto con tre appuntamenti settimanali; il collegio giudicante composto dal presidente Giovanni Pentagallo e dai giudici Anna Alliegro e Emilia Anna Giordano (giudice estensore) riesce, però, a far rispettare il calendario in modo da arrivare, anche con udienze che si protraevano fino alle due di notte, alla sentenza letta in aula dal presidente Pentagallo la sera del 23 febbraio 1994.

Dr. Giovanni Pentagallo - presidente 2^ sezione penale del Tribunale di Salerno nel 1993

Sono 24 gli imputati in attesa del giudizio che arriva puntuale e durissimo; 8 imputati molto marginali (Cicatelli – Millerosa – Marino – Salomone – Gigliello – Ligoro – Marchi e Giudice) vengono mandati assolti anche per il loro contributo dato alle indagini preliminari ed al processo; per gli altri 16 (Piecoro – D’Agnes – Morcaldi – Di Bello – Morsiello – Corsi – Pagano – Raulli – Todini – Zoldan – Rosi – De Rosa – Amatucci – Silenzio – Spirito e Galdi) vengono irrorati ben 25 anni e 2 mesi di reclusione; i due compassi d’oro Amatucci (2 anni) e Galdi (5 anni) sono destinatari delle pene maggiori; forse perché il collegio giudicante riteneva che gran parte della responsabilità ricadesse sui due tecnici che facevano parte del “cerchio magico” intorno all’ex ministro per le aree urbane on. avv. Carmelo Conte.

Nel processo l’avvocatura salernitana fece sfoggio di se stessa facendo scendere nell’arena giudiziaria il fior fiore degli avvocati penalisti dell’epoca, quasi come si fosse aperta una battaglia epocale tra i vari e diversi concetti di pubblica accusa e garanzia della difesa; una garanzia che spesso, purtroppo, venne calpestata:

  • Andrea Antonio Dalia – Marzia Ferraioli – Silverio Sica – Dario Incutti – Antonio Zecca – Paolo Carbone – Giuseppe Fusco – Antonio De Paola – Lorenzo De Bello – Angelo Di Perna – Rocco Pecoraro – Alessandro Lentini – Guglielmo Scarlato – Vittorio Virga – Alberto Clarizia – Fabio Dean – Giovanni Sofia – Enrico Giovine – Antonio Scorza – Massimo Krog – Pasquale Franco – Giuseppe Gianzi – Giovanni Falci – Nello Guariniello – Fabrizio Lemme – Filippo De Jorio – Massimo Preziosi

 

A trent’anni di distanza si può ben affermare che il processo “Amatucci + 31” (alias il processo Fondovalle Calore) è stato l’unico processo contro la presunta tangentopoli salernitana che, almeno in 1°, registrò le condanne di ben 23 imputati su 31. Poi le inchieste giudiziarie e relativi processi presero una piega molto diversa e si sfaldarono già prima di arrivare alle sentenze di 1°.

La stessa sorte toccò anche al processo innanzi descritto che in Appello e in Cassazione, dopo essere stato scomposto in più tronconi, finì nelle sabbie mobili delle assoluzioni e delle prescrizioni tra imposte e richieste.

Nel corso di questo lungo e laborioso lavoro di ricerca e ricostruzione mi sono imbattuto in commenti poco gratificanti, per non dire molto offensivi, espressi da alcuni dei protagonisti della tangentopoli salernitani; un paio di loro hanno invocato addirittura la legge del “diritto all’oblio”.

A tutti ho precisato che da parte mia non c’è stato alcun interesse personale nei confronti di chicchessia, mi ha spinto soltanto la voglia, connessa ad una specifica esigenza storica, di mettere nero su bianco uno spaccato della società salernitana degli anni ’90. E la storia non può essere ricondotta sotto la protezione del “diritto all’oblio”.

Per chiudere questo lungo racconto è assolutamente giusto ricordare a tutti cosa era quell’oggetto misterioso della strada a scorrimento veloce denominata “Fondovalle Calore” che nessuno aveva mai visto perchè esisteva solo sulla carta; una strada ritenuta all’epoca di vitale importanza per la crescita e lo sviluppo dell’area interna connessa alla valle del fiume Calore, ma anche per diverse altre aree interne limitrofe. Una strada che alcuni ambientalisti e politici dell’opposizione contestarono duramente chiamando in causa con lettere anonime, e verbali pubblici regolarmente sottoscritti, la magistratura e per essa, in particolare il pm Michelangelo Russo che sotto i panni del “giustiziere della legalità” credette di fare completa pulizia nella pubblica amministrazione.

Quei pochi chilometri di strada, dopo trent’anni, sono ancora lì incompleti e per alcuni tratti abbandonati; ma oggi la pubblica opinione è cambiata ed anche se con notevole ritardo reclama il completamento di quell’arteria vitale; per buona pace di chi ci rimise non soltanto la faccia ma anche la vita sotto l’incalzare di quella violenta azione giudiziaria:

  • Il progetto rientrava, tra i molti altri, all’interno di quelli voluti dalla legge n. 64/1986 recante “Disciplina organica dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno”. Pensata per regolare l’intervento nelle aree più depresse del Paese, la legge ha prevedeva, attraverso la creazione della Agenzia per la Promozione dello Sviluppo nel Mezzogiorno, la costruzione di opere strategiche per ridurre il divario sociale ed economico tra il Nord e il Sud. Muovendo dalla volontà di sostenere opere localizzate nel sud Italia, i due tecnici (Galdi e Amatucci) di fiducia del ministro Conte pensarono ad un’arteria stradale che potesse collegare la zona di Eboli – Alburni – Val Calore situata nel Parco Nazionale del Cilento. Progettata nel 1984, finanziata con fondi della legge 64, inserita nel piano Cipe nell’ agosto ‘ 88, ma mai realmente iniziata. L’opposizione al progetto si fece sentire a tal punto che i lavori furono bloccati e sospesi numerose volte anche negli anni successivi all’inchiesta giudiziaria.
Ing. Raffaele Galdi (deceduto il 29 agosto 1998 all'età di 48 anni)

L’ing. Raffaele Galdi poco tempo dopo la sentenza Fondovalle Calore e prima dimmorire mi ha consegnato, riservatamente, un corposa cartella di appunti rigorosamente scritti a mano ed inerenti l’intera tangentopoli salernitana; appunti che probabilmente pubblicherò in un prossimo lavoro. Per il momento ritengo doveroso riportare, a stralcio, i primi righi di quel voluminoso dossier:

“”Il contesto politico degli anni ’80 è dominato in Campania e maggiormente nel salernitano dall’on. De Mita con tutti i suoi uomini (vedi Gargani – Mancino). Verso la fine degli anni ottanta emerge la presenza socialista tramite l’on. Conte. Il PSI comincia a crescere e fa prevedere di crescere oltre ogni previsione. Conte elabora un progetto di sviluppo che si interpone al duello tra l’area interna capeggiata da De Mita e l’area costiera napoletana capeggiata da Gava. L‘area salernitana da “feudo demitiano” assurge a nuova realtà territoriale. Tutto ciò preoccupa gli ambienti D.C., in modo particolare De Mita che inizia una battaglia contro Conte. E’ Del Mese che afferma “quando si voleva combattere Conte, dissi a De Mita solo sul campo politico” (vedi “Il Mezzogiorno”). De Mita ha alle spalle la Presidenza del Consiglio, la nomina nelle istituzioni quale Gargani e Mancino (giustizia e servizi segreti). Per colpire Conte bisognava colpirlo nella progettualità, cioè nella proposizione. Per far ciò si individuano le persone a lui vicine da colpire: i tecnici. Nel 1990 arrivano a Salerno i super ispettori del Secit che, insieme alla Guardia di Finanza, devono verificare la contabilità e le dichiarazioni dei redditi di alcuni contribuenti sorteggiati a caso tra coloro che hanno dichiarato redditi inferiori rispetto alla media della propria categoria. Stranamente risultano sorteggiati a Salerno Raffaele GaldiFranco Amatucci. Stranamente perché ? Perchè tutti sanno che i due non a caso sono chiamati “compassi d’oro”. Essi avevano dichiarato negli anni precedenti fatturati circa 50 volte superiori alla media della categoria. Però, nonostante un anno di accertamento, non si ottengono i risultati forse sperati, cioè trovare “fondi neri” da chiarire e poi a chi erano destinati. Niente. Immediatamente dopo entrano in gioco a Salerno i famosi o famigerati “servizi segreti”. Si verificano strani furti, ove si entra in case o studi, si rovista tra le carte ma niente viene asportato””.

 

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