Liquirizia meglio di no in gravidanza.

da Dr. Alberto Di Muria

Padula- Secondo una recente ricerca sembra che la liquirizia non vada d’accordo con la gravidanza. È quindi consigliabile evitarne il consumo, soprattutto in grosse quantità. Tutta colpa di un dolcificante estratto comunemente dalla liquirizia, la glicirrizina.
Le raccomandazioni, prima di questo studio, riguardavano esclusivamente gli ipertesi, per le capacità della liquirizia di far alzare la pressione arteriosa. Oggi una maggiore richiesta di attenzione nel consumo di liquirizia viene rivolta alle gestanti, perché, secondo uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Helsinki e pubblicato sull’American Journal of Epidemiology, la glicirrizina, un dolcificante estratto dalla radice della pianta, potrebbe avere effetti sullo sviluppo del sistema nervoso del feto.
Il team di epidemiologi ha esaminato ben 1.049 coppie di mamme e rispettivi bambini finlandesi. Sul gruppo in esame era stato monitorato il consumo di glicirrizina durante la gravidanza, mediante l’annotazione su un diario alimentare. In questo modo è stato possibile verificare l’influenza della sostanza ingerita dalle gestanti sul peso del bambino alla nascita e sulla pressione sanguigna materna.
I risultati hanno dato valori rassicuranti: in quanto nessun collegamento diretto veniva messo in evidenza tra glicirrizina e sviluppo del feto. Diversi sono stati i risultati, seppur il gruppo oggetto di studio fosse lo stesso, quando, a tredici anni di distanza, si è voluto esaminare se la glicirrizina avesse potuto influenzare lo sviluppo del sistema nervoso, trattandosi di una sostanza che aumenta i livelli di cortisolo, cioè l’ormone dello stress.
Gli epidemiologi hanno quindi rilevato che, sui circa 400 bambini, dal momento della nascita fino a 13 anni, valutandone lo stato generale di salute in relazione alla quantità di liquirizia consumata dalle loro mamme durante la gestazione, quelli nati da donne con un consumo fino a 250 grammi di liquirizia a settimana avevano ottenuto punteggi più bassi sui di test di memoria e ragionamento e, rispetto a quelli nati da madri con un basso consumo si sono rivelati tre volte più esposti a sviluppare deficit dell’attenzione e iperattività.

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