dal prof. Nicola Femminella (docente – storico – scrittore – giornalista)
La notizia mi ha sorpreso non poco, dopo aver riletto il testo. Di sicuro merita ampia considerazione e vigilanza attiva soprattutto da parte di tutti coloro che occupano le istituzioni pubbliche, responsabili del bene comune dei loro concittadini. Io mi auguro che da parte di costoro si abbiano ad avere, a riparo dell’allarme contenuto nell’annuncio, nuovi propositi per costruire piani di lavoro e traguardi a breve scadenza.
La notizia deriva dal Nuovo Piano Strategico Nazionale delle Aree Interne (P.SNAI) 1921-2027, approvato il 9 aprile u.s. dalla Cabina di regia, che nella parte dedicata all’”Obiettivo 4: Accompagnamento in un percorso di spopolamento irreversibile” riferisce “Queste aree non possono porsi alcun obiettivo di inversione di tendenza ma nemmeno essere abbandonate a se stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le accompagni in un percorso di sclerotizzato declino e invecchiamento”.
Il riferimento non è ad un’area industriale in declino con calcinacci che cadono dai soffitti, interessata da acque invasive e incontenibili nelle fondamenta, abbandonata dai proprietari e dagli addetti ai lavori. Chiamati in causa sono invece circa 4000 dei 7983 comuni italiani con 13 milioni di connazionali che costituiscono il 23% della popolazione stanziata nel 60% del territorio nazionale e che pagano regolarmente tasse e balzelli di ogni tipo! Comuni che hanno un trascorso storico che affonda nei millenni della preistoria, con vicende ed eventi segnati dai popoli che nessun libro di storia può contenere, aventi patrimoni d’arte di inestimabile valore prodotto dal genio umano e territori con una biodiversità ideata da divinità sconosciute.
Il fallimento dei provvedimenti finora derivati alle aree interne dal balbettio programmatico dello Stato, nelle sue varie articolazioni, non giustifica lo “sclerotizzato epilogo” nelle cui nebbie le vuole trasferire il Nuovo Piano Nazionale per le Aree Interne. Né è spiegato cosa significa l’aggettivo appena citato: forse una sorta di terremoto con lo sbriciolamento degli abitati e gli abitanti in cammino verso mete neppure immaginabili. Mentre la pseudo raccomandazione ”queste aree…nemmeno (possono) essere abbandonate a se stesse. Hanno bisogno di un piano mirato che le accompagni in un percorso…” è miserevole secondo me, dettata solo da riguardosa e prudente pietas, perché senza un solo indirizzo concreto:
Abbiamo riferito in passato i finanziamenti assegnati con La Strategia Nazionale per le Aree Interne (SNAI) alle due Aree del Vallo di Diano e del Cilento per il tramite delle Comunità Montane. Risorse finanziarie erogate a pioggia e a pioggia utilizzate da tali Enti, fra l’altro esigue e non sufficienti per alimentare idee e progetti in grado di cambiare le sorti delle comunità che vi abitano. E mentre le scuole chiudevano per la mancanza di alunni, gli ospedali stentavano nel garantire le cure agli ammalati, i servizi scadevano di livello e i giovani diplomati e laureati lasciavano i luoghi natii e le famiglie, la Regione e gli enti comprensoriali più vicini alle comunità, hanno continuato nel tempo a non avvertire la nuova condizione sociale che si andava a creare, senza coinvolgere gli enti locali in una “organizzazione partecipata” a fronte del pericolo. Occorrevano analisi e impegno, studi rigorosi per affrontare la caduta in atto che nelle aree interne era facilmente percepibile. Li avrebbero dovuto produrre studiosi ed esperti, in possesso di titoli e competenze di alto e comprovato profilo, chiamati e mobilitati dai responsabili della funzione pubblica. Occorrevano piani e progetti salvifici, strategie e interventi multidisciplinari, volti a porre in atto radicali cambi di rotta rispetto ad un passato incapace di creare impatti innovativi e incisivi su una deriva rovinosa. Osservazione e monitoraggio del fenomeno, raccolta dati per analisi approfondite, vaglio delle ipotesi, possibili soluzioni, prime pietre solide sulle quali edificare processi attuativi e obiettivi in rapido e illuminato cammino. I Sindaci a loro volta, distratti dai bisogni quotidiani dei concittadini, badavano alla quotidianità, sostavano nelle proprie aree perimetrali, presi dalle richieste individuali, pressanti del proprio elettorato. Avrebbero invece dovuto creare reti e sistemi, vere e proprie task forze per individuare visioni ampie dai contorni ben definiti e nuovi palcoscenici socio-economici con i quali sollecitare l’azione di programmazione dovuta e attribuita agli enti comprensoriali, Parco, Comunità Montane, Gal, ecc. Questi avrebbero dovuto richiedere giusti e giustificati finanziamenti alla Regione e ai Ministeri, costruendo progetti credibili, insieme a report con i quali illustrare le previsioni negative ormai alle porte.
L’inizio di un benefico risultato, ci sarebbe stato, se si fosse attivata una corale partecipazione da parte di tutti i corpi istituzionali e sociali alle scelte e alle destinazioni dei fondi che ho citato, assegnati alle Comunità Montane. La costituzione di tali alleanze, in taluni casi e per talune risorse da utilizzare, doveva essere nei nostri quattro comprensori anche inter comprensoriale. L’intera parte a sud di Eboli, necessita di una tale visione complessiva, con territori e vocazioni complementari, capace di abbattere l’antico e dannoso localismo. Sono da costruire l’unità di intenti e il coagulo delle energie propulsive. Le risorse, sparse nei territori, ingenti, sono disponibili per costruire gli elementi di contenuto. A fare da guida la passione per la nostra Terra e la determinazione a lavorare per le nuove generazioni, desiderose di vivere nei loro paesi e contribuire al riscatto delle nostre comunità.
Politici e cittadini, quindi, senza alcuna altra esitazione, in una simbiosi fatta di partecipazione, connessioni, idee, ricerca, fino a esprimere creatività e spirito imprenditoriale, perché l’utilizzo delle risorse, per prima quelle utili per lo sviluppo del settore turistico, abbia a produrre lavoro e occupazione, veri pilastri e antidoto contro lo spopolamento delle nostre aree.