ALIBERTI: “Mal che vada gioco a nascondino”

 

La storia giudiziaria di Pasquale Aliberti – sindaco di Scafati

Aldo Bianchini

SALERNO – In questi ultimi undici anni ho scritto tantissimo sulla vicenda umana e giudiziaria relativa al medico-giornalista-politico Angelo Pasqualino Aliberti (classi ’71), più semplicemente noto come Pasquale Aliberti, attuale sindaco di Scafati dopo la precedente esperienza di due mandati consecutivi di cui il secondo interrotto bruscamente dalla valanga giudiziaria che lo ha travolto da quel famoso e/o famigerato blitz ordinato dalla Procura della Repubblica il 15 settembre 2015 con una serie di perquisizioni nello studio medico, nella abitazione e negli uffici comunali di Aliberti con la presenza diretta del PM antimafia dr. Vincenzo Montemurro incaricato, all’epoca, delle indagini preliminari.

La vicenda, come ho già tante volte scritto, cominciò con un coup de foudre tra Procura e stampa locale che, grazie alla presenza inusuale del PM, era stata abbondantemente preavvertita ed era tutta schierata con il pugnale, pardon telecamere e taccuini, tra i denti fermamente convinta della assoluta colpevolezza del sindaco camorrista; almeno questi furono i primi resoconti dopo il blitz che attenti giornalisti firmarono nell’ottica di tenersi buoni gli inquirenti per il solito squallido passaggio di veline.

Con questo preambolo inizia, oggi, una nuova cascata di articoli firmati dal sottoscritto nel tentativo di ripristinare una certa verità (quella emersa dalla sentenza di assoluzione di 1° emessa dal Tribunale di Nocera Inferiore il 13.11.2024 perché “il fatto non sussiste”.

Quali i fatti, potrebbe chiedersi chi non conosce niente della “vicenda Aliberti”; i fatti serpeggiavano già nel 2012 e vennero contestati nel 2015 con una gravità assoluta per un politico accusato di scambio elettorale politico mafioso in concorso con altri, un’accusa molto vaga e inconsistente che gli inquirenti utilizzano con facilità e in maniera strumentale, sicuri come sono che chi deve difendersi troverà enormi difficoltà nel farlo. E questa è la prima anomalia, per non dire altro, di una giustizia ingiusta; che nella fattispecie non si è dimostrata come “la giustizia è sempre giustizia, anche se è fatta sempre in ritardo e, alla fine, è fatta solo per sbaglio” citata spesso dal mitico George Bernard Shaw.

Ma questo lo analizzeremo nei prossimi articoli; oggi intendo incentrare la vostra attenzione sul danno psicologico, morale ed anche fisico che la vicenda ha rovesciato senza pietà sull’intera famiglia Aliberti e come lo stesso danno ha colpito e travolto la giovane Rosaria, figlia del personaggio principale di questa dolorosa vicenda, che pur nella debolezza della sua giovane età ha saputo tirare fuori tutta la forza necessaria per fronteggiare i dolorosissimi eventi.

Dal libro “Mal che vada gioco a nascondino” — firmato da Pasquale Aliberti (è la sua seconda opera dopo “Passione e tradimenti” del novembre 2014) e presentato al pubblico il 13 maggio 2025, quasi nelle stesse ore in cui venivano rese pubbliche le motivazioni della sentenza di assoluzione piena del 13 novembre 2024 — ho estratto i passaggi più importanti e significativi  dalla lettera aperta che la giovane Rosaria Aliberti ha scritto per ricominciare a respirare:

 

 

 

LA VITA SCORREVA, MA IO AVEVO SMESSO DI RESPIRARE … Sembra solo ieri, l’inizio di questo incubo. Avevo appena tredici anni quando i miei genitori vennero indagati per scambio politico mafioso. All’alba di quel 15 settembre 2015 la mia casa venne perquisita da cima a fondo da più di trenta uomini in divisa. Furono proprio alcuni di quegli uomini a scortare papà che, come ogni mattina, accompagnava me e mio fratello a scuola. Proprio durante il tragitto casa scuola, in macchina con papà, iniziai a provare confusione, avevo le vertigini e mi sentivo soffocare: era l’ansia. Non l’avevo mai provata, probabilmente prima di quel momento non sapevo nemmeno cosa effettivamente fosse, ma fu proprio quella mattina che decise di manifestarsi per la prima volta nella mia vita. La sentivo forte, era incontrollata e riusciva a sovrastare qualsiasi altro mio pensiero. Il filo, poi, scorre di due anni e vedo lì in sovrimpressione il ricordo più brutto, il 24 gennaio 2018. Avevo 15 anni ed era un mercoledì mattina qualsiasi, mi ero appena svegliata per andare a scuola quando sento mamma parlare a telefono con papà. Fu proprio lui a dirle che la verità sarebbe emersa solo durante il processo e che lo avevano arrestato. Ebbi così il mio primo attacco di panico, sentivo il cuore pompare forte, più forte del solito e piangevo singhiozzando così veloce che sembrava non riuscissi più a respirare. Non riuscivo a comprendere come fosse possibile che un uomo perbene come mio padre venisse arrestato. La prima settimana da quel giorno, io e mio fratello, ancora non al corrente della notizia, la passammo a casa di nostra zia, circondati dal calore e dell’amore di una famiglia ancora unita. …. E così, durante quegli anni, passavo da uno psicologo all’altro, non essendo ancora pronta ad intraprendere quel percorso che mi avrebbe portata ad affrontare i miei 22 Mal che vada gioco a nascondino traumi. Solo crescendo poi, ho avvertito il bisogno di dover ricominciare quel percorso, di dover rimarginare quelle ferite, e di dover condividere i miei problemi e le mie ansie con un professionista che potesse realmente aiutarmi. Sebbene quell’aiuto mi sia poi servito, porto dentro me le cicatrici di questa vicenda che ha cambiato e condizionato la mia vita e le mie scelte, e che forse lo faranno per sempre. Ho gli occhi chiusi, tra veglia e sogno, provo agitazione mentre nella mia testa rimbomba la nostra storia. La voce della giudice mi suscita tensione, ma al tempo stesso mi riporta alla realtà, e poi quel grido di gioia. … È IL 13 NOVEMBRE 2024 ED IO RIPRENDO A RESPIRARE!

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