“ROSA, PRETA e STELLA”

CARMELA, da una foto tratta da "La Testata Magazine"

Dottò, che dite secondo voi la posso togliere la parrucca?” La foto mostrava i capelli cortissimi, che incorniciavano il viso indisponente, come germogli sorti dopo il gelo della chemio. “Carmè tu sei bella sempre e comunque”.

Proprio a quel messaggio pensava quando dispose in bella vista tutte le penne che teneva ben nascoste nei cassetti. Le BIC a quattro colori troneggiavano nella tazza presa ad un congresso. Le altre BIC, quelle tradizionali ma di ogni colore, erano sparse in ogni dove: sulla scrivania, sulla sedia di metallo, sulla stampante. Quella fucsia “brillava” sul minifrigo accanto alla macchina da caffè e alle cialde color oro, quelle preferite da lei. Era certo che sarebbero sparite in un attimo tutte, per furto di destrezza, per un velocissimo scippo o per una vera rapina a mano armata di un sorriso. Ma non accadde, né il giorno dopo né quelli a venire.


‘Stu vico niro nun furnesce maje

E pure ‘o sole passe e se ne fuje

Ma tu stai llà, tu rosa preta ‘e stella

Carmela Carmè

 

Brigadiere è lei!” Il brigadiere Russo fu sensibilmente sorpreso da quella figura minuta. Nel suo immaginario se l’aspettava differente. Lui capì subito e spense il palese imbarazzo: “brigadiere è proprio lei l’artefice di tutto questo. Una grande non deve essere per forza grossa!”. Il carabiniere sorrise e le strinse la mano forte.

Solo qualche settimana prima aveva fatto accesso nella sua stanza con un altro collega, entrambi in borghese esordendo con una frase agghiacciante “salve siamo dei NAS”. Non vollero neanche accettare il naturale invito a sedersi. Lui terminò di spedire la mail alla centrale operativa del centodiciotto, per comunicare che era in black-out l’intera piattaforma informatica, a causa dell’incendio di una cabina elettrica dei server di tutta l’azienda. Insomma, una catastrofe e, come ciliegina sulla torta, i carabinieri del nucleo anti sofisticazione, i famigerati NAS!

Cartellina alla mano, il più basso esordì, evitando con attenzione di guardare negli occhi, “dobbiamo fare un’ispezione per verificare la settantatrezerouno”.

In cuor suo sorrise. Nonostante il momento drammatico, sorrise. Il pensiero balzò indietro di circa cinque anni, quando imparò a memoria la legge regionale settantatre del duemilauno, tutta quanta, punto per punto. Come la poesia di Natale, avrebbe potuto recitare per esteso la normativa circa le dotazioni strutturali, tecnologiche, organizzative di un pronto soccorso. E con Carmela, Giorgia e Rocco quotidianamente ricapitolava i singoli punti all’alba dell’apertura. L’ispezione dei NAS durò circa tre ore. I due carabinieri esaminarono “pizzo pizzo” il pronto soccorso e l’osservazione breve intensiva. Parlavano sottovoce tra di loro nelle brevi pause della descrizione fatta durante, quella che lui amava chiamare, “la visita guidata”. Per ultimo il controllo dei registri dei farmaci stupefacenti. Da lontano la scena era questa: i due carabinieri, che nel frattempo avevano inforcato entrambi gli occhiali, con i libroni avanti, e lui al loro cospetto con le braccia dietro la schiena, come uno studente innanzi ai professori durante la correzione del compito in classe.

Perfetto, tutto perfetto”. Solo in quel momento i NAS accettarono di sedersi, e nel fare questo, il più alto accennando un sorriso esclamò “dottò avete fatto un bel guaio!” Ecco la delusione piombargli addosso tutta insieme, sarebbe stato troppo bello e facile. A memoria di ospedaliero, non si era mai vista un’ispezione dei NAS senza qualche rilievo, un riscontro di anomalia, un verbale o altro, mai. “Di certo ci sarà qualche farmaco scaduto, oppure non corrisponde il numero delle fiale consumate con quelle in giacenza in cassaforte… ma allora perché quello lungo ha detto tutto perfetto ad alta voce?!” Il pensiero sembrava sentirsi nella stanza tanto era denso e corposo. Solo dopo una pausa, che a lui parve infinita, il brigadiere Russo spiegò che i corridoi e le stanze non erano solo pulite, ma profumavano di “rosa” e che se avessero utilizzato il nostro pronto soccorso come standard di riferimento, tutti gli altri ospedali, che conoscevano molto bene, avrebbero dovuto chiudere all’istante, subito. “Eh ma io non c’entro nulla”, esplose come per scusarsi, “Carmela, il merito è tutto suo”.


…e chiagne sulo si nisciuno vede,

e strille sulo si nisciuno sente,

ma nun è acqua ‘o sanghe dint’e vvene

Carmela Carmè

 

Dopo alcuni giorni di freddo glaciale, la temperatura era risalita in quella mattina dei primi di marzo. Aveva preparato tutto: la presentazione in power-point, il filmato della storia dell’ospedale, la piantina del progetto, le foto dei lavori e alcuni video per spiegare la sua idea di emergenza-urgenza declinata all’accoglienza e alla tecnologia.

Come un papà fuori la sala parto, fremeva nell’attesa di conoscere i futuri infermieri. Maglietta e felpa blu con il logo del CTO Emergency Team, tutti i medici erano in fila come scolari nella sala convegni.

Evitò accuratamente il retro della scrivania ed il microfono e, a voce alta, si presentò. Poi fece lo stesso con gli altri medici e, successivamente, uno ad uno i nuovi arrivati. Provenienza, esperienza lavorativa, interessi e poi la fatidica domanda: “ma tu lo vuoi fare?” Raccolse molti più si del previsto. Luisa era sul piede di guerra. Coda di cavallo e ray-ban da sole con lenti a specchio, da perfetta “fuchera” descriveva animatamente tutte le anomalie della procedura di trasferimento ad-horas di tanti infermieri. Ma da buon “figlio di “‘ntrocchia”, lui capì subito che sulla bionda soubrettina avrebbe potuto scommettere, così come sul il siciliano dai tempi ateniesi, la corta con l’aria da ragazzina svampita e su quello più anziano che rifiutò perfino di mettere la divisa.

La legge di attrazione esiste eccome.

In prima fila lo colpì quella della provincia di Caserta con i capelli rossi, corti, alla garcon e con gli occhi vispi assai contornati da occhiali grandi. Il cognome si atteggiava a participio presente o a possibile sostantivo. Lui aveva saputo che aveva fatto di tutto per farsi trasferire dalla direzione sanitaria aziendale per venire in pronto soccorso, sorprendendo tutti. Sarebbe stata disposta a dimettersi, non immaginava un’altra vita lontano dal pronto soccorso.

Il problema era quella.

Non aveva mai dato altro nome alla malattia, la trattava con dispetto e a muso duro, sempre. Però dovette superare molti ostacoli fatti di burocrazia ma anche di logica protezione. Il problema del medico competente lo risolse a modo suo. L’animo ribelle sapeva farsi avanti quando necessario. Proprio per quel modo di fare, tempo dopo, lui la ribattezzò “la casalese”. Ne ebbe la prova certa quando fu aggredita verbalmente dal prepotente di turno. Lui urlava e avanzava minacciando. Lei nulla, ferma, immobile, non una frase, nessuna replica. A pochi centimetri lo scrutò dai piedi fino alla testa, lentamente. Lo guardò in fisso negli occhi e, a viso aperto, gli disse “ma tu lo sai che c’entreresti giusto giusto in un pilastro?!”. Uno a zero a tavolino. Smarrito dall’affermazione il poveretto sparì nel corridoio del pronto soccorso guadagnando l’uscita a passo spedito. Tempo dopo sarebbero diventati amici. Con Carmela era sempre così.

L’autorevolezza che viene dalla base non ha crepe. Quando hai il suffragio del popolo, la leadership vola. Check-list, programmazione, pianificazione, armadi, carrelli, turni, postazioni… giorno dopo giorno la “casalese” andava avanti. Sembrava un macigno, una “preta” su di un piano inclinato. Insieme a Calogero e ad Angela, la corta instancabile e fido scudiero, lo sorprendeva per la capacità innata e costruita; l’organizzazione come modello mentale. Richieste, briefing, messaggi, tutorial… la chat con i suoi diventava un’enciclopedia con squilli ad ogni ora del giorno e della notte.

Nel frattempo il cinese vicino casa si arricchiva sempre più per i quotidiani acquisti di materiale che avrebbero arredato le sale visita e l’OBI. Un giorno gli raccontò che per comprare i contenitori dei fili da sutura, lo aveva fatto disperare. “Losa non esistele”, “ehhh non è possibile che rosa non esiste chiedi ai tuoi amici, altrimenti chiedo io e perdi una cliente”. Tempo due giorni e il giallo, trovò il “losa”.

 

 

Si l’ammore è ‘o ccuntrario d’a morte

E tu ‘o ssaje

Si dimane è sultanto speranza

E tu ‘o ssaje

Nun ce può fa aspettà fino a dimane

Astrignece dint’e braccia ‘pe stasera

Carmela Carmè

 

Non mi piace Carmè, è pacchiano. L’albero è spennato e poi manca il puntale. Un albero senza puntale non si è mai visto.” “Appunto”, replicò di tutto punto stizzita, “l’albero di Natale del nostro pronto soccorso non si è mai visto prima da nessuna parte.

Un martire, Calogero era una vera vittima di soprusi e quotidiani furti, sottrazioni, rapine. Dal protossido al cavo del defibrillatore. Dal ventilatore al dispositivo per l’eliminazione dei muchi. Dal broncoscopio ai rotoloni, gli iniziali tentativi di giusta ribellione del siciliano si trasformarono ben presto in una serie di espressioni facciali di chiara rassegnazione. Solo il tentativo di fregarsi i letti supertecnologici, con pronazione elettronica, fallì grazie all’inconsapevole intervento di Carmen dell’ingegneria. Il disegno diabolico era questo: i letti sarebbero arrivati attraverso l’ingresso dell’ambulatorio di ortopedia. Angela, da perfetto palo, avrebbe dato il segnale del loro arrivo. Carmela avrebbe guidato gli operai, mentre il resto della banda, Aniello, Maria ed Angelo avevano il compito di trasferire temporaneamente e velocemente i pazienti sulle barelle o sulle sedie. Giusto il tempo di prepararli per la sostituzione, ed il gioco era fatto. A tradirla fu l’icci! Il maledetto codice dell’ingegneria clinica ed il colpo fallì. Ma non demorse e all’istante lo assillò costringendolo a fare una richiesta urgentissima di letti identici per l’osservazione breve intensiva. Calogero non si accorse di nulla e quando glieli mostrò, con il petto gonfio di orgoglio, le disse “Carmè questi si girano pure” e lei “eh lo so Calogerino e quelli per poco non hanno girato!” Lui si ritirò in un angolo a ridere soprattutto per la faccia del coordinatore del reparto che non aveva capito nulla. La piantina del progetto del reparto era bellissima. Una medicina d’urgenza e sub-intensiva come nessuna in Italia. Giorgia e Rocco non l’avevano nemmeno finita di illustrare che iniziarono le minacce per avere un ampliamento del pronto soccorso. Anche quello doveva essere il più bello. Lui non tentò nemmeno una breve replica e si arrese subito in una ennesima richiesta immediata.

Non mi piace Carmè, è pacchiano.” Certo l’idea delle palline trasparenti da riempire con i pensieri dei pazienti dimessi dall’OBI, era stata molto carina ed apprezzatissima, tanto da generare vivaci discussioni. “Giuvinò la mia pallina stava qua ad altezza faccia così tutti la leggevano. Neh, il tempo di andare al piano di sopra a fare la tacca in testa che c’avete messo la vostra e la mia l’avete infizzata nel vascio dell’albero, ca nun se vede proprio?!” Chignon con garofano bianco, ciglia a ventaglio ed unghie da porto d’armi, il giovanotto non esitò un attimo a cambiare di posto la pallina tra gli sguardi divertiti di Carmela, Marianna e Maria Antonietta. Ma la questione del puntale non vide fine subito e la cima dell’abete, preso dal cinese, accolse una sfavillante stella di brillantini rossi. Lo sguardo contrariato di lui fu spento da un sorriso appena accennato “chi viene in pronto soccorso ha bisogno di trovare una stella alla quale affidarsi e il nostro compito e fargliela trovare!

Del reparto a lei piaceva soprattutto quella vecchia lavagna. Il piano di ardesia grigio-verde aveva ospitato, sin dal primo giorno, una frase del suo amico fraterno Fabio: “la medicina d’urgenza è una fantastica storia!” Ogni attimo, di giorno e di notte, anche inconsapevolmente, ciascuno di noi ne racconta un piccolo pezzo.

Carmela ne ha scritto una pagina!

 

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