PD: tra Schlein e Bonaccini … l’analisi di Adinolfi

 

aldo bianchini

SALERNO – Ho letto con attenzione l’analisi del voto per le primarie PD scritta, per Il Mattino, dal noto prof. Massimo Adinolfi (professore ordinario di Filosofia Teoretica presso l’Università Federico II di Napoli) dal titolo “PD spaccato: perché il Sud non ha votato per Schlein”.

Un’analisi dettagliata e convincente che condivido in ogni sua sfumatura; anche in relazione alla stampa internazionale che ha definito la Schlein “un leader radicale, giovane e donna” forse un po’ troppo frettolosamente e sommariamente, dando probabilmente alla definizione “radicale” il senso non proprio aderente a come viene ritenuta nella nostra Nazione; così come per gli appellativi “giovane e donna”.

Condivisibilissima  anche l’affermazione del prof quando, nel precisare che la Schlein è stata più votata al nord (dove soffia il vento dell’innovazione e del cambiamento) piuttosto che al sud (dove invece prevalgono le resistenze del “partito apparto”, parla di “un passo breve” tra le due correnti di pensiero e scrive testualmente:

  • Breve, ma forse meno lineare di quanto si creda. È indubbio che nel risultato di Bonaccini in Campania ha pesato, e molto, l’appoggio del Presidente De Luca, così come in Puglia quello di Emiliano, così come è evidente la presa della Schlein sull’opinione pubblica dell’elettorato urbano, specie al Nord. Ma in un’analisi così condotta che richiederebbe comunque di essere ulteriormente raffinata, disaggregando approfonditamente il voto manca perlomeno un elemento, che va al di là della freschezza giovanile della vincitrice delle primarie: il contenuto della proposta politica.

Bene, bravissimo; ed è proprio sul contenuto della proposta politica tuttora quasi sconosciuta che Elly Schlein rischia miseramente di incartarsi su se stessa e di far franare ciò che ancora resta del Partito Democratico; in effetti se cede al partito apparato del sud delude il vento di innovazione e cambiamento del nord che, con i suoi voti, le ha consentito di vincere la difficile partita.

Questo, ovviamente, di là da venire (anche se i tempi consentiti non sono poi così lunghi come in passato); mentre sulla stretta attualità, almeno per quanto mi riguarda, la Schlein non ha fatto altro che ricopiare le vecchie pagine, desolanti e disarmanti, del PCI/PDS/PD nel rincorrere i falsi e fuorvianti obiettivi polemici sulla difficile materia dei migranti e di chi li trascina, in tanti casi, verso un morte sicura. Chiedere le dimissioni del ministro degli interni non è un atto nuovo e coraggioso, è semplicemente la fotocopia ingiallita di vecchie battaglie perse dalla sinistra a tutto vantaggio della destra. Non pronunciare, infine, neppure un parola sull’azione eclatante ma fuori della grazia di Dio della Procura di Bergamo contro l’ex premier Conte, l’ex ministro della salute Speranza e il governatore della Lombardia Fontana (da poco riconfermato con un plebiscito elettorale), non mi sembra un buon inizio.

Alla fine il prof Adinolfi, da par suo, evidenzia anche le sostanziali differenze tra l’antico partito/lavoro e quello che vorrebbe la Schlein:

  • Un’analisi semantica non ci porterebbe molto lontano: la quota di elettori che ha votato avendo letto le mozioni temo sia risibile (ed è giusto così). Però colpisce: è qui che ci sono, in realtà, le parole antiche della sinistra partito e lavoro mentre mancano nell’incipit della mozione Schlein, che per declinare le sue parole d’ordine rinuncia di fatto tanto all’antico contenitore “il partito” quanto all’antico contenuto “il lavoro”.

L’inizio, insomma, per la vincitrice Elly Schlein non è dei più facili, oltretutto dalla sua parte ci sono antichi capi bastone della presunta sinistra che in queste prime ore cercano di accaparrarsi quanti più posti di potere possibili lanciando nella mischia mogli, fidanzate e amanti nell’ottica di quel “tengo famiglia” che non si rinnega mai.

 

 

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