La giustizia uccide le cooperative sociali.

 
da Salvatore Memoli

(avvocato – scrittore)

Avv. Salvatore Memoli

Che cosa può contare una sentenza che costruisce una risposta perfetta, anzi indefettibile per una vicenda politico-giudiziaria come quella delle cooperative sociali  di Salerno? La legge si organizza per ricostruire una vicenda difficile, l’esamina come un corpo in autopsia, viviseziona i suoi brandelli ed intelligentemente tira fuori il risultato che è il suo risultato. Può essere giusto, anzi lo è! Ma a che serve una fredda dichiarazione che interpreta una vicenda sociale, quando contrappone un generico diritto a una concreta vicenda umana, di lotte e di presenza, che sfida tempo, luoghi, carte bollate e pretese per restituire un pezzo di pane ai lavoratori? Le chiamano sentenze e tutti dicono che non si discutono. Le sentenze non si discutono, sono figlie di parrucconi ben pagati che siedono su poltrone di pelle e si chiudono in stanze ovattate. Le sentenze sono atti sclerotici di vicende sublimate, presupposte e passate in un tritacarne che ne ha fatto scappare l’anima. Quello che si giudica è un corpo inanimato, freddo come la morte. Quando arriva sul banco dei giudici ha già perduto la sua vitalità. Anche nella difesa c’è una disparità. Che volete che sia una difesa di diritti della povera gente quando dall’altra parte si pronuncia una dichiarazione di principi generali ed astratti? Le cooperative sociali sono vita di un territorio e di cittadini che hanno lottato per stare dentro un sistema produttivo malato e fuorviante. Hanno scelto una nicchia di lavoro scartato, un lavoro umile ma essenziale che fa bene alla città. Non hanno chiesto di occupare scrivanie o di partecipare alle decisioni, hanno accettato di pulire strade, cessi, ambienti sporcati da altre persone, per restituire a tutti il decoro di una comunità civile. I lavoratori delle cooperative sociali, non hanno lauree, non hanno specializzazioni, non hanno pretese. Sono donne e uomini che hanno accettato la parte più umile, più nascosta, più semplice della vita lavorativa. Mentre altri dormono, essi lavorano,  mentre altri riposano essi col buio preparano strade, giardini, stanze, corridoi, cessi, per essere pronti per la parte di casta che potrà giudicarli senza mai essersi reso conto di chi ha tolto le lordure che hanno lasciato durante il loro passaggio.
Come si può pensare che gente così concreta, silenziosa, operosa che presta la sua opera nel nascondimento possa capire una sentenza di un alto organo giudiziario che ne decreta la sua morte civile?
La sentenza del Consiglio di Stato che conferma l’esclusione delle Cooperative sociali dalle gare del Comune di Salerno è un capolavoro d’ingegneria giudiziaria ( uno dei tanti) dove trionfa un diritto applicato contro i deboli. Per carità non c’è imbroglio ma continua ad essere in sintonia con una catena di atti che hanno costruito il mostro. Le cooperative sociali sono il mostro della macchina amministrativa, sono il fastidio che bisognava scartare, la riprova che le cose si fanno per rispettare la legge. Chi ha detto che un ragionamento perfetto non possa essere il più perfetto delitto sociale verso categorie di persone che hanno avuto il solo torto di credere negli altri, in chi avrebbe dovuto difenderle, in cambio di tanta lordura tolta dai luoghi da loro usati e per giunta creata con tanta disinvoltura? Questo si chiama socialità malata, contrapposizione di caste, ipocrisia politica. Le risposte della giustizia possono essere indefettibili ma si riferiscono a situazioni ideali, ipotesi di scuola che sono lontane dalla realtà. La realtà è fatta di persone vive che hanno fatto una lotta per stare dentro un processo produttivo, invece  oggi sono dall’altra parte di chi le giudica e le rimanda nella stessa posizione dell’inizio della lotta sociale, come se si potesse cancellare la storia, le lotte per l’inserimento sociale, la costruzione di un modello di civile convivenza. Chi vuole il diritto perfetto se ne assuma le responsabilità. In questa vicenda sono più i silenzi e le solitudini che le solidarietà e le tutele. Dov’è il sindacato che difende il lavoro? Il silenzio crea i mostri e non corregge gli errori compiuti in risposta a obiettivi che hanno diritto a più tutela. Assenza si, tanta. Colpevole ed ipocrita. Dal far finta di non vedere al far finta di non sapere! Incapace di abbracciare una lotta, di correggere interpretazioni e di creare percorsi legali per tutelare i deboli. I giudici sono costretti ad applicare leggi fatte da chi difende il potere e sempre meno per chi vive nella necessità.  Le sentenze sono morte perché fanno riferimento ad un diritto senza anima.

 

 

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