Assad: tra potere e riforme

Maria Chiara Rizzo
Il presidente siriano Bachar Al Assad ha emesso un nuovo decreto che annuncia la formazione di un comitato ad hoc, composto da 29 membri, per l’elaborazione di una nuova Costituzione, mentre continuano incessanti manifestazioni e repressione per le vie del Paese. La messa a punto di una nuova costituzione è una delle rivendicazioni portate avanti dall’opposizione dall’inizio del movimento di contestazioni, lanciato il 15 marzo scorso. Sin dagli albori delle rivoluzioni Assad promette riforme costituzionali che non sono mai state concretizzate e oggi la popolazione e i militanti pro democrazia chiedono le dimissioni del presidente, elezioni libere e l’abbattimento della supremazia del partito Baath che governa il Paese da oltre 40 anni. Gli appelli per la cessazione della violenza arrivano anche dalla comunità internazionale e pochi giorni fa Russia e Cina hanno esortato Assad ad accelerare le riforme. Le ONG siriane fanno sapere che fino ad oggi si contano più di 3 mila vittime della repressione del regime, mentre il governo siriano continua ad accusare gli insorti di essere bande di terroristi armati, supportati da una cospirazione internazionale. All’inizio delle rivolte, per prevenire quanto accadeva in Egitto, il presidente siriano aveva messo in atto delle timide misure che garantivano sussidi alla disoccupazione, diminuzione dei prezzi e calmieramento dei prezzi dei medicinali e dell’elettricità. Ma il risultato non è stato quello sperato. Poi, a distanza di qualche giorno, per evitare che minoranze etniche potessero approfittare del caos e unirsi ai rivoluzionari, Assad aveva pensato di attuare una nuova manovra politica: concedere la nazionalità ai curdi, circa il 15% della popolazione, che da più di 50 anni vivono in Siria da stranieri. I ministri arabi degli Affari esteri si sono riuniti domenica scorsa nella capitale egiziana per fare un punto della situazione in Siria. La riunione è stata fortemente voluta dai Paesi del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Arabia Saudita, Oman, Kuwait, Bahrein, Emirati Arabi Uniti e Qatar) con l’obiettivo di “studiare la situazione in Siria, nettamente deteriorata sul piano umanitario, ed eventuali misure da adottare per porre fine a questo bagno di sangue”, ha annunciato un comunicato.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *