D’Andrea/3: il profilo personale

Aldo Bianchini

SALERNO – Lungo tutto l’arco della sua vita terrena in tanti si sono chiesti chi fosse mai “Cosimo D’Andrea”: temerario, temibile, temuto, riverito, rispettato, odiato, osannato, infangato, abbandonato, trascurato, vilipeso, processato, assolto, condannato, incarcerato, scarcerato, sorvegliato, aiutato e, infine, lasciato morire. Ma chi era veramente “don Cosimo” ? La risposta non è delle più facili, anche perché a distanza di oltre dieci anni dalla sua morte moltissimi sono gli interrogativi sulla sua azione di vita, come imprenditore e come presunto camorrista. Un dato è certo, le accuse contro di lui sono state tantissime, le sentenze di condanna passate in giudicato pochissime. Altra cosa certa è che si è prestato a dei compromessi con gli inquirenti, che le sue rivelazioni sono state utilizzate a seconda i tempi e le necessità degli stessi inquirenti che hanno dato a quelle rivelazioni credito e discredito al tempo stesso. Insomma quasi come a dire che Cosimo D’Andrea è, forse, rimasto vittima della sua stessa buona fede con l’obiettivo di ottenere tutti quei benefici di legge che normalmente venivano concessi in quegli anni ai veri criminali incalliti. Probabilmente lo hanno tradito non soltanto gli inquirenti ma anche gli stessi criminali incalliti che hanno poi, in effetti, ottenuto tutti quei privilegi di cui godono tuttora pur essendo ristretti nelle patrie galere. I nomi sono tra i più significativi della vecchia e della nuova criminalità organizzata: Cutolo, Autorino, Saccone, Cesarano, Galasso, Alfieri, Maiale, Pepe, ecc., quasi tutti super pentiti. E’ proprio la gestione di questi pentiti da parte degli inquirenti che andrebbe analizzata in maniera più approfondita per capirne di più. Gestione dei pentiti che è stata contestata agli inquirenti di Salerno anche dalla Procura Antimafia di Napoli con una serie di rapporti e di inchieste giudiziarie. Difatti la DDA di Salerno è tra quelle italiane che ha gestito più pentiti non solo in percentuale ma anche in senso numerico. L’unico errore di valutazione che, forse, “don Cosimo” ha commesso è stato quello di dare maggiore credito al presunto patto con gli inquirenti in danno di alcuni politici (tra i quali certamente l’ex ministro Carmelo Conte) con la sicurezza di farla franca per le responsabilità dei suoi presunti pregressi rapporti con gli esponenti di spicco della criminalità organizzata. Proprio questo errore lo perse definitivamente. Lui che in realtà non era inquadrabile in nessuna delle organizzazioni malavitose rimase impigliato nelle trame e negli intrecci tra queste ultime e parte degli inquirenti che per raggiungere gli obiettivi politici non andarono tanto per il sottile nel tessere dette trame contestate, come dicevo innanzi, finanche dalla Procura Antimafia di Napoli. Tutto il resto è soltanto chiacchiericcio, dalle accuse di essere il mandante di numerosi omicidi (da Colangelo a Casillo) fino a quelle di essere il “grande vecchio” capace di intessere amicizie (da Bettino Craxi fino a Galasso e Alfieri) sul filo di rasoio del codice penale. Per la storia concreta Cosimo D’Andrea era nato il 16 giugno 1946 a Battipaglia da madre cilentana e da padre napoletano. Aveva cinque sorelle e due fratelli. Aveva conseguito la laurea in economia e commercio ed era dotato di una capacità oratoria non comune. Scelse da subito la strada dell’imprenditoria, della grande imprenditoria e della grande finanza. Da qui il potere economico immenso che ebbe modo di amministrare a fasi alterne, così come le sue condizioni di salute, spesso malferme. L’ultimo arresto risale al giugno 2001 quando i Carabinieri di Orvieto lo fermano in seguito alla sentenza di condanna definitiva della Cassazione per il reato di mandate dell’omicidio Colangelo. L’ultimo magistrato ad interrogarlo è stato Antonio Centore nel carcere di Opera (Mi), ma di questo ho già parlato. Lo lasciano morire nel reparto detenuti, padiglione Palermo, dell’ospedale Cardarelli di Napoli. Era il 16 dicembre del 2001; qualche settimana prima aveva inviato il suo ultimo telegramma agli inquirenti di Salerno: “Tutta questa malvagità mi ha portato alla fine. E’ stato sconfitto il nemico, ma forse io ero un amico. Il nemico è in voi”. Forse “don Cosimo” aveva proprio ragione, la sua posizione era diventata pesantissima ed insopportabile per tutti. Nella prossima puntata cercherò di riportare come, invece, il profilo personale di D’Andrea è stato descritto da uno dei giudici che a lungo lo aveva indagato. Alla prossima.

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