MCM: un processo da non fare ?

 

Aldo Bianchini

SALERNO – La sera di mercoledì 11 dicembre 2013 so di aver deluso profondamente un amico (avversario di De Luca e tuttora valido esponente politico provinciale) per via della risposta che gli ho dato quando mi ha annunciato che per la vicenda MCM il sindaco di Salerno, Vincenzo De Luca, con altri imputati era stato assolto con la classica formula piena <<perché il fatto non sussiste>>. Ma che cosa ho risposto all’amico che mi informava della sentenza monocratica di Ubaldo Perrotta (giudice della seconda sezione penale); gli ho semplicemente detto che <<sono pienamente soddisfatto della sentenza di assoluzione perché io, pur essendo un avversario politico, non sono un nemico personale di De Luca in quanto ho difeso e difenderò sempre lo stato di diritto di ogni indagato che fino a sentenza passata in giudicato è da ritenere innocente>>. Oltretutto gli ho spiegato che è necessario, quando si assumono posizioni radicali come la sua, comunque aver letto le carte processuali prima di sparare a zero. Io quelle carte processuali, in buona parte, le ho lette, così come ho letto quelle famose o famigerate 154 pagine dell’interrogatorio fatto nel carcere di Opera a Milano da Antonio Centore (DDA Salerno) a Cosimo D’Andrea che qualche mese dopo morì nel padiglione Palermo (riservato ai detenuti) del Cardarelli di Napoli. Ebbene in quel famoso interrogatorio (sbandierato ai quattro venti dai nemici di De Luca !!) D’Andrea parla spesso della MCM ma non spiega e non dice nulla di credibile e provabile a carico di Vincenzo De Luca; arriva anche a dire che <<per fare qualcosa a Salerno bisogna avere il consenso di De Luca>> ma non va oltre e neppure il pm lo spinge ad andare oltre; anzi tutto l’interrogatorio sembra quasi frutto della fretta da parte dei diversi attori in campo: il pm, l’indagato, gli avvocati, gli assistenti del pm. Ma così è, e questo non può assolutamente portare da nessuna parte, figurarsi ad una condanna penale. Poi ho cercato di calmare il mio amico spiegandogli che la sentenza monocratica di primo grado in genere non è esaustiva ma che in questo caso, invece, lo è perché anche il pm Vincenzo Montemurro ha chiesto, salomonicamente, l’assoluzione perché <<il fatto non costituisce reato>> cercando di salvare capre e cavoli, ovvero un certo fatto c’è stato ma lo stesso non costituisce reato penalmente perseguibile. Bene ha fatto il giudice monocratico a cancellare tutto. E’ presumibile, quindi, che nessuno faccia ricorso in appello e, dunque, eccezionalmente una sentenza di primo grado è da considerare come se emessa dalla Cassazione. A questo punto sarebbero, però, necessarie alcune riflessioni che mi sarei aspettato di leggere su qualche giornale importante, invece niente. La prima riflessione è quella che è sotto gli occhi di tutti, o almeno dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti. A Milano si dice che <<giustizia è stata fatta>> contro Berlusconi perché dieci-undici giudici dal primo grado alla Cassazione hanno sancito la sua colpevolezza, anche se altri giudici di altra sezione hanno mandato assolti altri personaggi coinvolti nello stesso scandalo. A Salerno, invece, basta un solo giudice per smantellare il lavoro fatto da tutti gli altri (Filippo Spiezia, Gabriella Nuzzi, Gaetano Sgroia, Anita Mele, tribunale libertà, ecc.) che hanno, chi per un verso e chi per altro, chiesto ed ottenuto il rinvio a giudizio di Vincenzo De Luca + altri tredici. Finanche Montemurro che nel chiedere l’archiviazione <<perché il fatto non costituisce reato>> ha surrettiziamente fatto intendere che qualcosa era stato commesso, anche se quel qualcosa non costituisce reato di natura penale. E tutti convinti (come lo sono anche io) che l’unico giudice bravo è stato il monocratico Ubaldo Perrotta. Va bene così. La seconda considerazione che mi sarei aspettato riguarda il pm Gabriella Nuzzi (ora sbarcata a Latina) e della sua caparbietà nel chiedere per ben tre volte l’arresto dell’allora deputato Vincenzo De Luca, richiesta respinta per ben tre volte dal gip Sgroia che ordinò anche la distruzione delle bobine contenenti le intercettazioni telefoniche ed ambientali. A questo punto, nei panni di uno dei tanti commentatori, mi sarei chiesto come si fa a far continuare il mestiere di pm ad un soggetto che viene sconfessato per ben tre volte e che alla fine viene distrutta con la cancellazione di tutta la sua inchiesta, nata male e finita peggio. Delle due l’una: o la Nuzzi non fa più il pm o ha ragione. E pensare che se le richieste di arresto fossero state accolte sarebbe cambiata la storia di questa Città e dell’intera provincia. La terza considerazione attiene i tempi biblici della giustizia, anche penale, nel nostro Paese; questa è un’inchiesta nata agli inizi del 2000 che arriva a sentenza di primo grado dopo tredici anni; veramente una porcheria, per dirla alla De Luca. La quarta considerazione la riserverei al modo di fare le inchieste giudiziarie; ci sono quelle che partono dalla base e fanno molto male; ci sono quelle che partono dall’alto e finiscono spesso nel nulla. Questa della MCM, così come saranno quelle del Sea Park e del Crescent, sono nate male perché sono partite dall’alto, Non ci vuole mica la sfera magica per capire che se invece di chiedere l’arresto di De Luca e di alcuni altri, il pm Nuzzi avesse chiesto soltanto l’arresto di alcuni altri i risultati sarebbero stati diametralmente diversi. Ma va bene così. La quinta e ultima considerazione la dedicherei al collegio difensivo di Vincenzo De Luca composta da Paolo Carbone per gli aspetti penalistici e Antonio Brancaccio per gli aspetti amministrativistici. Soprattutto Paolo Carbone ha dimostrato a tutti, foro salernitano compreso, come si fa il mestiere e come si porta avanti una difesa eccellente, rischiando e facendo passi indietro, costringendo la controparte alla difesa preventiva su aspetti processuali che potevano chiaramente essere sconfessati perché palesemente privi di riscontri oggettivi, osservando in aula e soprattutto fuori sempre un atteggiamento di attenta professionalità senza mai superare i limiti del mandato. Paolo Carbone ha dimostrato come si può vincere un processo difficile e molto articolato pur apparendo fuori dal processo con un modo di fare che a volte anche gli stessi clienti non capiscono fino in fondo ma che è estremamente produttivo. Non per niente Paolo è uno dei migliori penalisti in assoluto. Ci vorrà un po’ di tempo ma credo che diremo le stesse cose anche per il processo Sea Park, alla faccia dei tanti tirapiedi.

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