LA VOCE DEL PADRONE/4: da Berlusconi (Milan, Mediaset, Mondadori, ecc.) a Lambiase (TV Oggi), da Budetti (Lira Tv) a Lombardi (Ance Channel), per finire ad Ammaccapane (Italia/2 Tv e Televallo) … la storia è sempre la stessa … con l’unica eccezione di Calabrese (Quarta rete Tv)

Aldo Bianchini

SALERNO – Prima di andare avanti nel racconto, mi ero fermato alla telefonata di Giovanni Vitale dell’autunno del 1985, è necessaria una fermata per meglio spiegare lo spirito con cui mi avvicinai al mondo dell’informazione locale. Lo feci nel senso più pieno della parola “dilettantismo” anche perché, avendo un lavoro, non potevo dedicarmi full-time al mestiere di giornalista per farne una professione (giornalista professionista). Io sono stato è sarò “giornalista pubblicista” per sempre, e me ne vanto per una serie infinita di ragioni che sarebbe molto farraginoso elencarle tutte; ne tratterò soltanto alcune. Prima, però, lasciatemi dire una cosa che ho da tempo sullo stomaco. Ci sono in giro tanti colleghi che a tutte le ore del giorno e della notte evidenziano, senza remore, il loro status di “giornalisti professionisti” e lo dicono con una tale arroganza come se volessero precisare che il professionista è superiore al pubblicista nella forma e nel merito. Non voglio disilluderli ma non è così. Pur tenendo conto ed evidenziando che il giornalista professionista, rispetto al pubblicista, per ottenere il tesserino (che fortunatamente da molto tempo è identico anche nel colore !!) deve comunque sostenere un esame specifico; un esame che tempo fa rappresentava un buon ostacolo per molti e che negli ultimi tempi è diventato molto abbordabile per tutti. Quindi il tasso di qualità è sceso di molto e nella sua esecuzione pratica le due iscrizioni (pubblicisti e professionisti) sono omologate verso il basso, purtroppo. Ci sono, ovviamente, giornalisti e giornalisti, vale a dire che anche nel giornalismo c’è chi fa il mestiere con passione perché possiede quel “quid” naturale in più, e chi lo fa soltanto per un mero progetto economico a livello di dipendente pubblico seduto per quarant’anni dietro una scrivania. C’è poi la categoria dei giornalisti che fanno questo mestiere per puro spirito dilettantistico e con grande passione, io mi onoro di appartenere a questa categoria, cogliendo spesso risultati lusinghieri che vanno al di là del tesserino, tenendo sempre ben presente di non dover rispondere al padrone di turno che soprattutto nel mondo dell’informazione locale ha un potere incontrollato ed incontrollabile. Insomma, come dire, meglio essere un giornalista pubblicista libero che professionista obbligato a seguire certi schemi e determinati comandi senza possibilità di poter esprimere, dopo la doverosa cronaca, i propri convincimenti. Oltretutto, lo dico per l’ultima volta, il vero giornalista professionista è colui che è titolare di un contratto di lavoro che lo vincola alla testata giornalistica a tempo indeterminato; tutti gli altri, seppure professionisti, già appartengono ad una categoria non ben identificabile perché rientrante in svariate denominazioni sorte nel corso del tempo. Tutte queste differenziazioni le capii immediatamente, negli anni ’80, quando mi avvicinai per caso al mondo dell’informazione locale; ne trassi subito i giusti insegnamenti e saggiamente decisi di tenermi fuori da tutti questi baratti mercimoniosi che non consentivano e non consentono alcuna possibilità di crescita sul piano professionale (termine diverso da “professionista”). Mi rendo conto che avevo le possibilità di farlo, avevo un lavoro sicuro, non avevo mire economiche di sorta, non andavo e non vado alla ricerca della classica “una pizza e una birra” (come dice il sindaco Vincenzo De Luca quando sparla dei giornalisti salernitani, e non solo), ho sempre cercato di confrontarmi con i vari editori che ho avuto (Telelibera Battipaglia, TV Oggi, Quarta Rete ed in parte con Televallo e Ance Channel per quanto attiene la TV e poi con I giorni di Erò, Cronache del Mezzogiorno, Cronache del Salernitano e Città Vallo per quanto attiene la carta stampata) senza mai accettare supinamente i loro diktat; non è che io non abbia mai dovuto seguire una “linea editoriale” ma ho sempre avuto l’accortezza di concordarla preventivamente con i rispettivi editori ai quali non ho mai concesso di entrare con irruenza (come di solito fanno in tutte le tv e in tutti i giornali) nei compiti specifici del “direttore responsabile” previsti non solo dalla legge ma soprattutto dal buonsenso e dal tasso di dignità e di autostima che ogni direttore dovrebbe avere. In quest’opera non facile ci sono quasi sempre riuscito, quando mi sono sentito stretto nel mio ruolo ho subito salutato tutti e sono andato via, senza tentennamenti. Ho parlato in questi ultimi capoversi di “direttori responsabili” saltando letteralmente le redazioni che sono un elemento indispensabile per ogni attività editoriale-giornalistica. C’è una ragione per questo salto, in effetti io ho avuto poca esperienza di redazione perché mi sono ritrovato relativamente presto nelle condizioni di assumere il ruolo di “direttore responsabile”; ma questa mancata esperienza non ha pesato più di tanto nella mia lunga gestione di testate giornalistiche perché mi sono mosso sempre sulla linea di quei principi di autonomia e dignità che ho descritto prima innalzando vere e proprie barriere tra i vari editori e le redazioni ad essi collegate perché un principio fondamentale è quello che <<un editore deve sempre e solo confrontarsi con il direttore>>, se gli si lascia la possibilità di rapportarsi ai singoli componenti la redazione arrivano subito i problemi, le inimicizie, le congiure e i tradimenti messi in atto sempre all’ombra di “una pizza e una birra”. Ma di questo ci sarà tempo per parlarne.

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