D’Ambrosio e Mani Pulite: quando veniva ad Acciaroli per erudire i PM salernitani !!

 

Aldo Bianchini

 

SALERNO – E’ morto Gerardo D’Ambrosio, onore alla sua memoria. E’ stato un personaggio osannato dalla sinistra e ferocemente contestato dalla destra. E’ stato, comunque, un valente magistrato. A Santa Maria a Vico (CE) dove era nato il 20 novembre 1930 gli hanno negato la cittadinanza onoraria perché <<non aveva volato alto>> dissero in tanti, ed oggi il sindaco Alfonso Piscitelli afferma che rifarebbe tutto. Un personaggio controverso dunque che Antonio Di Pietro, il magistrato simbolo di quella stagione di vendette, ha salutato con un semplice tweet: <<Gerardo, meno male che c’era lui>>. Giusto, ed io vorrei partire proprio da questa affermazione del <<Tonino nazionale>>, che rappresentava la manovalanza del pool  e che venne emarginato dalla parte intellettuale dello stesso pool, per cercare di spiegare chi è stato Gerardo D’Ambrosio. A mio opinabile giudizio è stato il vero ispiratore, sia dal punto di vista intellettuale che giudiziario, di quella stagione che è passata alla storia come “Mani pulite” o meglio ancora come “Tangentopoli”. Prima di quella stagione aveva maturato un’esperienza davvero impressionante ed era divenuto il custode di tantissimi segreti italiani: strage di Piazza Fontana, omicido-suicidio dell’anarchico Giuseppe Pinelli, crac Banco Ambrosiano, ecc. Aveva il fiuto dell’investigatore, quello vecchia maniera, senza bisogno di intercettazioni ambientali e telefoniche e questa sua qualità cercò di passarla, con scarsi risultati, ai suoi tantissimi collaboratori pm che ha incrociato sulla sua strada. Grazie al suo amico Ferdinando Pomarici (noto magistrato meneghino e marito di una cilentana) scoprì per la prima volta agli inizi degli anni ’90 (subito dopo l’intervento chirurgico di trapianto di cuore) lo splendore della costiera cilentana e, soprattutto, di Acciaroli dove andò ad alloggiare spesso nell’Hotel L’Ancora della famiglia di Alberto Schiavo, notissimo imprenditore di Vallo della Lucania. Poi allo scoppio di tangentopoli (17 febbraio 1992) i viaggi da Milano verso Acciaroli divennero sempre più numerosi come numerosi furono i magistrati che seguirono le orme di D’Ambrosio e di Pomarici, sicuramente tra questi Antonio Di Pietro. E sulla costa cilentana, nei luoghi più incantati di Acciaroli, tra la villetta di Pomarici e l’Hotel L’Ancora, giunsero ovviamente anche diversi magistrati inquirenti della Procura salernitana. Si tennero diversi summit, quasi come una scuola di investigazioni incentrata sui  lavori pubblici che vedevano impegnate le grandi imprese nazionali e locali (eccezion fatta per le CCC, cooperative rosse !!). In quei summit venivano analizzate le possibili connessioni tra le predette imprese e la politica senza tralasciare eventuali infiltrazioni malavitose ed anche le ricadute in sede locale. Probabilmente proprio lì prese corpo la presunta tangentopoli salernitana sulle cui tracce già era impegnata la Procura di Salerno forte com’era dell’esperienza milanese del pm Michelangelo Russo che era stato a scuola da Bevere, Alessandrini, Galli ed altri. Da più parti si disse che i <<tre Di Pietro di Salerno>>, Michelangelo Russo – Luigi D’Alessio e Vito Di Nicola furono probabilmente assidui frequentatori di quei summit sui quali primeggiava Antonio Di Pietro con il suo amico avvocato di Vallo della Lucania Giuseppe Lucibello. Per questa controversa amicizia venne fuori la storia delle <<autovetture Mercedes>> che l’avvocato avrebbe fornito ad alcuni pm milanesi, vicenda poi chiusa con un non luogo a procedere da parte della Procura di Brescia competente per le indagini su Milano. Probabilmente, ma non ci sono precisi elementi storici per poterlo affermare, da quei summit venne fuori l’idea di contattare e stringere d’assedio alcuni dei grandi imprenditori salernitani dell’epoca (Alberto Schiavo, Vincenzo Ritonnaro e Gerardo Satriano, per citarne solo alcuni !!) inducendoli a spostarsi dall’area demitiana a quella contiana per dare facilmente, con le loro rivelazioni, lo spunto agli investigatori di indagare e conseguentemente entrare nei segreti del Partito Socialista che allora esprimeva il ministro per le aree urbane e dominava quasi tutti i grandi lavori pubblici salernitani. Per carità le colpe dei socialisti, verosimilmente, c’erano tutte ma il piano strategico-giudiziario fu architettato in maniera assolutamente efficace e non contrastabile dagli ignari cosiddetti <<uomini di potere>> di quegli anni e, soprattutto, fu un piano unidirezionale. Difatti, e questa è storia vera, i primi scossoni al <<sistema socialista>> furono inferti proprio attraverso le dichiarazioni giudiziarie di Schiavo, Ritonnaro e Satriano che diedero la possibilità di colpire quei tecnici (Raffaele Galdi e Franco Amatucci) del PSI, definiti i <<compassi d’oro>>, che governavano progettualmente quasi tutti i grandi lavori pubblici e che avevano chiesto (secondo la versione degli imprenditori pentiti !!) onerose dazioni di denaro (una sorta di tangenti !!) per sostenere l’iniziativa editoriale de “Il Giornale di Napoli” che tantissimi guai arrecò ai socialisti. Ora Gerardo D’Ambrosio riposa in pace nella <<sua Milano>> mentre i giudizi sul suo operato sono, naturalmente, difformi e diametralmente opposti. Qualcuno ha addirittura affermato che non si era mai fatto trascinare da quelli che potevano essere i suoi orientamenti politici. Sarà vero, non oso metterlo in dubbio, però è stato anche il grande animatore e suggeritore di magistrati del calibro di Antonio Di Pietro, Gherardo Colombo, Pier Camillo Davigo, Francesco Greco, Armando Spataro ed altri. Sicuramente, e di questo bisogna dargliene atto, era convinto della sua battaglia che dopo il pensionamento aveva portato anche in Parlamento, con il PDS prima e il PD poi, per trasformarla in una azione politica molto più sobria e lenta e senza quegli eccessi tipici che hanno evidenziato tanti altri magistrati. Ultimo esempio in ordine di tempo quello di Giancarlo Caselli che, nel dicembre scorso, nel giorno prima di andare in pensione ha depositato la richiesta di rinvio a giudizio a carico del governatore del Piemonte Roberto Cota e della sua giunta. Ma tutte queste discussioni ormai non gli riguardano più, ora appartiene al regno dell’immortalità.

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