SCUOLA: dalla perequazione alla meritocrazia !!

Aldo Bianchini
SALERNO – Il “problema italiano” nasce, a mio sommesso avviso, subito dopo gli anni del famoso “miracolo economico” durato troppo poco, tra il 1962 e il 1964, e sapientemente spiegato nel libro “Avevamo la luna” da Michele Mezza. Il “problema italiano” può essere descritto con pochissime parole, subito dopo gli anni del boom che segnarono il trapasso dalla stretta meritocrazia alla popolarissima perequazione. Quel passaggio fu epocale e si passò rapidamente e sconsideratamente dalla cosiddetta “Fiat di Valletta” al potere sfrenato e incondizionato dei sindacati; nessuno in quelle circostanze seppe scegliere una via di mezzo ovvero un sistema moderato che potesse allontanare il mondo del lavoro dall’oppressione imprenditoriale e si preferì dare fiato alle trombe della “lotta contro il padrone” a tutti i costi. E’ vero che la “meritocrazia” pura è portatrice anche di disuguaglianze e di parzialità ma è altrettanto vero che la sistematica applicazione della “perequazione” nel mondo del lavoro (dalla scuola a tutti gli altri ambiti) è stata la prima causa di un avvilimento delle creatività personali a tutto vantaggio dei cosiddetti “nullafacenti” mirabilmente descritti da Pietro Ichino. “”Il termine “meritocrazia” apparve per la prima volta nell’opera Rise of the Meritocracy (1958). L’autore, il sociologo britannico Michael Young (1915-2002), intendeva usare il termine in senso dispregiativo. Nel libro tratteggiava lo scenario di un futuro distopico in cui la posizione sociale di un individuo veniva determinata dal suo quoziente intellettivo e dalla capacità di lavorare. Nell’opera, l’oppressione generata da tale sistema sociale finisce per portare a una rivoluzione in cui le masse rovesciano i governanti, divenuti arroganti e distanti dai sentimenti del popolo””. Ecco la ragione per cui i sindacati, negli anni dal 65 al 70, si scatenarono alla conquista di posizioni mai conosciute nei decenni precedenti ed è in quel preciso momento che la “politica democratica e di centro sinistra” non seppe o non volle resistere all’incalzare devastante degli slogan contro i padroni. La via di mezzo si allontanò immediatamente e i danni di quelle scelte li paghiamo ancora oggi. Perchè, amici lettori, il “vero problema italiano” è tutto nel fatto che nessuno di noi è più abituato ad essere scelto e giudicato sulla base della valutazione delle singole capacità “intellettive e lavorative”. E’ vero che dopo cinquant’anni di “sistema perequativo” in cui tutti sono stati considerati sulla stessa posizione, almeno ordinamentale ed economica, l’arrivo improvviso della meritocrazia può lasciare sul terreno molti feriti e, forse, anche qualche morto; ma è indubitabilmente vero che il mondo di oggi si muove soltanto sulla base delle valutazioni meritocratiche a disdoro di quelli che fanno soltanto chiacchiere. Bisogna trovare o riscoprire la via di mezzo, questo è certo, ma non si può non far passare il concetto della meritocrazia, sarebbe la fine. Io personalmente vinsi un concorso pubblico nell’INAIL e presi servizio il 12 settembre 1964; ebbene alla fine di quell’anno le mie “note di qualifica” (così si chiamava allora il metro valutativo) mi assegnarono un punitivo 85 (cioè appena sufficiente !!); ci vollero quattro anni prima che raggiungessi il famoso 100 (che poi divenne ottimo col cambiare della denominazione meritocratica esercitata); poi piano le valutazioni scomparvero dal panorama del pubblico impiego o tutti beccavano subito il 100. Dagli anni ’70 in poi è stato tutto un susseguirsi di degrado e davanti ai miei occhi sono sfilati tantissimi dipendenti pubblici che per un’intera vita hanno messo un timbro (sempre lo stesso, perché non erano in grado di cambiarlo) su un foglio di carta ma che hanno percepito, a parità di grado lo stesso stipendio di chi mandava avanti un intero ufficio grazie alle sue capacità intellettive e lavorative. Non so se i docenti (che un tempo si chiamavano professori !!) hanno torto o ragione in questa battaglia che mi appare più contro i presidi che devono giudicarli che contro il ministro e lo stesso Matteo Renzi; il problema, ripeto, non è questo ma il fatto che nessuno in questi ultimi decenni è riuscito a far somatizzare dalla massa dei dipendenti pubblici la possibilità che possa esserci davvero un dirigente in grado di giudicarlo e selezionarlo. Per dirla tutta, il nostro Paese, noi tutti, siamo ancora lontani anni luce dal concetto di “staff” scelto da chi vince e governato da un responsabile; cosa questa che in altri Paesi all’avanguardia è un concetto ormai radicato non solo nei singoli individui ma nel costume di intere comunità. Inutile fare esempi, lo sanno tutti, lo sappiamo tutti cosa e come avviene in tutto il resto del mondo. Se non riusciamo a superare questo gap non andremo molto lontano; fa bene, dunque, il Governo a mantenere (spero che lo faccia davvero !!) il punto sulla facoltà dei presidi di giudicare, selezionare e scegliere con l’aiuto, ma solo in qualche caso, del Consiglio d’Istituto.

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