Le verità sommerse/2: Panico, Esposito Tedesco e Manzi … dal filosofo alla casta !!

Aldo Bianchini
SALERNO – Il fatto che sulla vicenda del diniego alla presentazione in quel di Vietri sul Mare del libro di Vittoriana Abate “Le verità sommerse” sia intervenuto Guido Panico mi induce ad un nuovo approfondimento per meglio precisare alcuni aspetti del mio primo intervento del 4 luglio scorso. La presentazione di Salerno (Hotel Mediterranea) è tutta un’altra storia e inquadra (mio malgrado, pensavo potesse rappresentare altro !!) la Abate in uno schema di “casta ben consolidata ma ormai obsoleta e spenta” visto i nomi dei relatori (Franco Esposito, Michele Tedesco e Andrea Manzi) che aveva scelto sapientemente e per tempo con la segreta speranza di un successo con rivincita mediatico-legale. Ma è meglio ritornare a Guido Panico (filosofo, scrittore, giornalista e docente di “Storia del giornalismo” nell’Università di Salerno) che in un certo senso non ha fatto altro che ribadire, in una chiave culturale molto più elevata rispetto alla mia, il nocciolo reale della questione e cioè che “a nessuno può essere negato il diritto di parola”, neppure a Francesco Schettino (coautore con Vittoriana Abate del lavoro letterario malamente contestato). Lo ribadisco, a nessuno può essere negata la parola, e lo dico anche se sono profondamente deluso dall’atteggiamento di appartenenza alla casta della Abate. Anche Panico parla del “circo mediatico” definendolo più brutalmente “baraccone mediatico” (ecco quello dell’Hotel mediterranea è stato un vero baraccone !!) messo in piedi intorno al personaggio Schettino che a suo dire rimane, comunque, la figura centrale dell’opera edita da Grauss, rispetto alla quale quella di Vittoriana se non scompare quantomeno si scolora e di molto. Perché ? Sempre colpa del circo mediatico, aggiungo io; un circo che, come dicevo nel precedente articolo, è stato costruito con pervicace perspicacia dagli stessi giornalisti di respiro nazionale evidentemente per rispondere alle esigenze del telespettatore e del lettore nell’ambito di una specifica strategia commerciale degli editori (siano essi televisivi che di carta stampata) che ha fatto della “cronaca nera”, soprattutto televisiva, un punto di arrivo irrinunciabile per la sopravvivenza di decine di trasmissioni condotte, spesso, da personaggi che si muovono tra falsità e negazioni di fronte alla verità storica di alcuni fatti; anche se a nessuno deve essere negata la parola (dice Panico) nell’ottica di “un banale principio di derivazione illuministica”. E perché allora indignarsi nel momento in cui altra esigenze editoriali sembravo prendere una strada diversa ? Questione di orticelli di potere che i giornalisti difendono a denti stretti. Ora, però, sulla vicenda della “cronaca nera in tv e sui libri” si affaccia un problema grande quanto una montagna. Non è affatto vero che la “cronaca nera” è diventata (come ebbe modo di dichiarare Roberta Bruzzone nel contesto di un convegno svoltosi a Lagonegro il 15 giugno 2015 dal titolo “Informazione e processo penale: la cronaca nera in tv”, presente anche la stessa Vittoriana Abate con Ilenia Pietracalvina) quasi come un’esigenza di sopravvivenza per sterminate platee di spettatori e che quindi non finirà mai; è vero il contrario. E’ vero cioè che i mass media sono riusciti nel giro di qualche anno (con grande abilità mediatica, va riconosciuto) a portare la cronaca nera fino a livelli parossistici tanto da creare la mostruosità del “processo mediatico” che va spasmodicamente alla ricerca di capri espiatori su cui addossare tutte le responsabilità, prima ancora che cominci il vero e insostituibile “processo penale”, quello che si svolge nelle aule di giustizia; ma questa è una macchina infernale che va fermata prima che incominci ad incidere pesantemente sullo stesso svolgimento del dibattimento processuale che non può e non deve essere condizionato da niente e da nessuno. Essendo in un sistema democratico, quando non ci si riesce a dare una precisa regola deontologica arriva, infine, la magistratura e ci pensa lei a surrogare spesso anche principi di libertà, soprattutto nel campo dell’informazione. Non a caso in queste ultime settimane sono accaduti due fatti molto importanti, dei quali bisogna tenere assolutamente conto. I due fatti riguardano i due processi che al momento appaiono come quelli più importanti e che nel corso delle lunghe indagini preliminari hanno subito l’irruzione violenta e poco attenta del famoso “circo mediatico” sotto forma di “diritto all’informazione”, parlo del processo “Buoninconti” (accusato di aver ucciso la moglie Elena Ceste) e del processo “Bossetti” (accusato di aver ucciso Yara Gambirasio). Ebbene per questi due processi il mondo dell’informazione si era preparato alla grande per portare telecamere e macchine fotografiche all’interno delle aule, per esplorare anche i minimi battiti di ciglia degli imputati, per analizzare i loro movimenti, per carpire le loro parole e riportare il tutto, con commenti stravaganti, al lettore o al telespettatore sempre sull’onda di quel presunto diritto di cui sopra. Ci ha pensato la magistratura (che spesso anche io accuso di tracimare dai suoi compiti), e questa volta giustamente, a porre un brusco freno. Per Buoninconti il giudice Roberto Amerio ha vietato la presenza di pubblico e giornalisti in aula; per Bossetti il pm Letizia Ruggeri ha indotto la Corte d’Assise a fermare i mass media fuori della porta in attesa di future prossime decisioni. E già in tutte le trasmissioni televisive (ed anche sui giornali) ecco riapparire, come d’incanto, i disegni e le vignette riproducesti led varie fasi dibattimentali ricostruite anche con una certa fantasia. E’ accaduto quello che in tanti si auguravano; negli USA, ad esempio, questo già accade da decenni perché anche lì l’eccessiva esposizione mediatica dei processi cominciava a dare segnali di disgregazione e di cattivo esercizio della giustizia reale. Ecco perché nel precedente articolo parlavo di una Vittoriana Abate caduta, suo malgrado, in una trappola tesagli dal “circo mediatico” di cui essa fa parte a pieno titolo anche perché Lei lo ha fatto sempre con grande professionalità non lasciandosi mai andare a congetture e ricostruzioni fantasiose. E se, infine, non è possibile negare la parola al comandante Schettino, figurarsi se questo può essere messo in atto in danno della giornalista Vittoriana Abate che (pur essendosi esposta suo malgrado ai voleri del suo editore !!) ha tutto il diritto di condurre le sue inchieste e di pubblicarle; rimanendo fermo il principio che la stessa può essere contestata nel merito ma non nella negazione di un diritto sacrosanto. Ma a Salerno si è ripetuta, purtroppo, la contestazione di carattere generale e fuori luogo e a nulla le sono valsi i tre prodi cavalieri (Esposito, Tedesco e Manzi) che alle prime difficoltà, se non sono scappati, via hanno quantomeno ritenuto necessarie alcune precisazioni di merito affidate all’ottimo penalista Michele Tedesco. Per quanto mi riguarda la sceneggiata di Salerno è ancora peggiore di quella consumatasi a Vietri sul Mare. E come sempre chi era presente ha assistito ad una accomodante mediazione, un aggiustamento, un accordo a mezza strada: Schettino è entrato come se uscisse, è uscito come non fosse entrato. Una bella prova di giornalismo, non c’è che dire. Per buona pace di Vittoriana Abate.

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