Dossier Salerno/26: SEA-PARK … un processo lungo diciotto anni

Aldo Bianchini

SALERNO – All’inizio di questa lunga rivisitazione della storia giudiziaria di Salerno degli ultimi quarant’anni ho più volte affermato che la presente inchiesta giornalistica nel suo essere una “retrospettiva storica” è anche legata all’attualità della cronaca che si sviluppa nel periodo in cui sto redigendo questo lavoro che, senza strane pretese, vuole essere una specie di agenda degli avvenimenti per chi non ha seguito pedissequamente la cronaca di questi ultimi decenni e per i tanti giovani giornalisti che non hanno avuto modo, per ragioni di età, di vivere i momenti salienti del mio racconto. Devo, quindi, sospendere per un paio di puntate la descrizione di come a Salerno si è sviluppato il potere ecclesiastico rispetto a quello laico per fare un balzo sulle notizie di grande attualità.

E non c’è notizia più attuale di quella della sentenza del 29 settembre 2016 che ha mandato assolti sia l’ex sindaco Vincenzo De Luca che gli altri 39 imputati nel processo SEA PARRK che forse, anzi senza forse, sarà annoverato come il più grande bluff giudiziario della storia del distretto giudiziario di Salerno che da Salerno ha travolto anche la Procura della Repubblica di Catanzaro, il CSM (Consiglio Superiore della Magistratura) e forse anche il governo Prodi del 2006-2008.

Alla luce della sentenza di assoluzione “perché il fatto non sussiste” è giusto dichiarare che il processo SEA PARK (legato alla costruzione del parco marino più grande d’Europa, mai costruito) rappresenta la più cervellotica e fantasiosa inchiesta giudiziaria che ha attraversato in lungo e in largo la giurisdizione salernitana con ricadute (come dicevo prima) su Catanzaro e Roma, ma anche sul governo nazionale, esattamente quello presieduto da Romano Prodi e andato in frantumi nel gennaio del 2008.

Per chi, come me, è un garantista convinto non è difficile ammettere (semmai storcendo il naso) che il processo SEA PARK è stato lo strumento più volgare con cui è stato inseguito e perseguitato l’attuale governatore della Campania e che, in definitiva, è anche lo specchio o meglio la rappresentazione più plastica dello stato comatoso, perverso e contradditorio in cui versa la giustizia di questo Paese. Oltretutto il processo SEA PARK pone in grandissima evidenza l’annoso e mai risolto problema della responsabilità civile dei magistrati.

Ma il processo SEA PARK è anche il coacervo di tutte le contraddizioni possibili ed immaginabili ed è portatore di lunghe e insidiose ombre (come quella delle dichiarazioni, del presunto capo della camorra salernitana Cosimo D’Andrea, rese nel carcere di Opera a Milano nel 2001) mai pienamente e risolutamente risolte.

Fortunatamente più volte in passato ho scritto che tutto il processo e le dichiarazioni di D’Andrea, mi apparivano come il nulla fondato sul nulla; peccato che oggi, dopo la sentenza, nessuno ricostruisce tutta la storia di questa mostruosa indagine giudiziaria, una storia che è assolutamente interessante e che apre ad una inverosimile ridda di interpretazioni.

Bisogna innanzitutto chiarire, soprattutto per i non addetti ai lavori, che la sentenza è stata pronunciata dal collegio giudicante (della seconda sezione penale del Tribunale di Salerno) presieduto dal consigliere Vincenzo Siani che è, almeno per me, uno dei magistrati più seri e coscienziosi mai apparsi sulla scena giudiziaria salernitana. Per questo la sentenza assume una valenza importantissima e tutta in favore del governatore Vincenzo De Luca che esce da questa vicenda, ufficialmente, a testa veramente molto alta. Oltretutto la sentenza ha sancito l’assoluzione “perché il fatto non sussiste” e non “per non aver commesso il fatto”; dunque il fatto iniziale e i fatti di causa non esistono e lo stato italiano ha perso circa diciotto anni, con un aggravio di spese notevolissimo, a causa delle elucubrazioni mentali di qualcuno che aveva preso nel mirino l’azione dell’allora sindaco e/o deputato Vincenzo De Luca.

E’ molto giusto, quindi, cercare di rivisitare il quadro politico-giudiziario degli anni in cui la vicenda incominciò a fare i suoi primi passi sotto il profilo delle indagini preliminari che il pm Vincenzo Montemurro, in aula dibattimentale, non ha esitato a definire caotiche e inconcludenti, tanto da costringerlo a chiedere l’assoluzione di tutti gli imputati. Una severa lezione di diritto che Montemurro ha impartito a tutti i suoi colleghi magistrati (requirenti e giudicanti) che lo hanno preceduto nella titolarità del poderoso fascicolo. Un’assoluzione -ha detto Montemurro- assolutamente doverosa per ristabilire la credibilità della giustizia; e pensare che in sede preliminare il pm Gabriella Nuzzi aveva chiesto per tre volte l’arresto del deputato De Luca e dei suoi sodali e che per tre volte il gip Gaetano Sgroia aveva rigettato le richieste ed aveva ordinato la distruzione delle registrazioni telefoniche ed ambientali (provvedimento sancito anche dalla Commissione Parlamentare per le autorizzazioni a procedere, grazie al voto favorevole di Edmondo Cirielli che era presente in quella Commissione); correva la fine dell’anno 2005 e De Luca si accingeva a correre nuovamente per l’elezione in Parlamento e questa vicenda non solo non lo danneggiò ma gli diede la carica giusta per essere eletto in Parlamento e poco più di un mese dopo, nel giugno 2006, a stravincere le elezioni amministrative per riprendersi il suo posto di sindaco e battere il competitor Alfonso Andria, grazie anche all’alleanza con gli esponenti della destra Edmondo Cirielli e Nicola Cosentino (oggi in carcere per il reato di associazione camorristica).

L’inchiesta SEA PARK era nata a cavallo tra il 20° e il 21° secolo quando De Luca si accingeva, suo malgrado, a passare lo scettro sindacale nella mani dell’allora suo fidatissimo Mario De Biase e quando era già montata la violenta polemica del parco marino, degli espropri dei suoli (prima forte ombra tuttora presente !!), della costituzione di una società ad hoc per la riconversione dell’ex stabilimento industriale Ideal Standard, e delle manifestazioni con scioperi e sfilate dei circa duecento lavoratori finiti sul lastrico. La Procura della Repubblica di Salerno era retta dal magistrato Luigi Apicella, i due procuratori aggiunti erano Luciano Santoro e Michelangelo Russo e tra i sostituti di spicco c’era Filippo Spiezia al quale venne assegnato il fascicolo iniziale dell’inchiesta SEA PARK che sembrava doversi chiudere in poche battute, tanto erano fantasiose le accuse di malversazione e di elargizione di mazzette che emergevano da varie intercettazioni ambientali e telefoniche che erano state ricondotte nel fascicolo giudiziario in maniera visibilmente parziale e, forse, anche alterata. In pochi mesi il pm Spiezia venne letteralmente travolto dalle polemiche sul modo con cui conduceva l’inchiesta e, fortunatamente per lui, venne trasferito nella Procura della Repubblica Europea di Bruxelles.

Il fascicolo fu rapidamente riassegnato e toccò alla giovane sostituta dottoressa Gabriella Nuzzi che, guarda caso, era stata allieva sia di Michelangelo Russo che di Filippo Spiezia, continuare le indagini preliminari. La Nuzzi partì in quarta convinta che le raccomandazioni, del suo secondo maestro sulla veridicità delle prime corpose notizie e intercettazioni raccolte, fossero la strada giusta per arrivare alla verità. Le indagini puntarono decisamente sulle operazioni immobiliari degli imprenditori “Maiolica” che avevano acquistato una parte dei suoli dell’ormai abbandonato progetto del parco marino. Quei terreni entrarono nel mirino degli inquirenti per due motivi: modalità e prezzo di acquisto dalla società (di cui innanzi) titolare dei suoli ed anche perché quegli stessi suoli stavano per essere espropriati al fine di consentire la costruzione della centrale elettrica (un’altra faraonica opera sbandierata da De Luca sul piano mediatico). Quei suoli, in definitiva, potevano essere la cartina di tornasole di giganteschi affari speculativi nati e cresciuti all’ombra di due opere mai realizzate; inoltre la presunta vicinanza familiare ed amicale dei Maiolica con il procuratore aggiunto Michelangelo Russo faceva sensazione nel quadro generale dei rapporti tra politica-magistratura-imprenditoria e dava sostanzialmente fastidio a tanti imprenditori ed a tanti politici rimasti fuori; insomma è sempre la stessa solfa che induce a fare di tutto per questa benedetta guerra del cemento funzionale alla conquista del potere assoluto.

La bagarre tra politica e magistratura aumentò a dismisura; nella vicenda ci fu anche l’irruzione non secondaria dell’architetto Fausto Martino che dopo oltre dieci anni di “assessorato comunale all’urbanistica” si schierò decisamente contro il suo potente pigmalione fino al punto di diventare la punta di diamante della Procura, e quindi della Nuzzi, contro il potere politico (e non solo !!) di Vincenzo De Luca. Mentre l’inchiesta della Nuzzi andava avanti a tutto tondo si incominciava anche a profilare un quadro inquietante dei rapporti interpersonali e di lavoro tra alcuni sostituti procuratori operanti in seno alla Procura. In pratica Gabriella Nuzzi incominciò a dubitare dell’azione limpida e cristallina dei due procuratori aggiunti (Michelangelo Russo e Luciano Santoro) intenti, secondo la giovane PM, ad architettare un disegno devastante contro il corretto svolgimento dell’istruttoria sul SEA PARK per coprire i Maiolica (presunti amici del primo procuratore aggiunto) e direttamente lo stesso De Luca (il secondo procuratore aggiunto). Si parlò di incontri dinanzi al tribunale di Salerno tra Russo e i Maiolica (incontri avvenuti prima e dopo gli interrogatori giudiziari) e di pressioni di Santoro direttamente su Fausto Martino che era, guarda caso, collega di lavoro della moglie dello stesso Santoro presso la Soprintendenza dei Beni Culturali e Ambientali di Salerno. La Nuzzi spinta nel dubbio da un suggeritore rimasto avvolto nell’ombra cominciò a sospettare di tutti, anche dello stesso Fausto Martino che (sempre secondo la Nuzzi) forse stava recitando un pericoloso doppio gioco a cavallo tra gli interessi dell’inchiesta e le intrusioni nella stessa dei due procuratori aggiunti i quali, ad onor del vero, erano stati e sono tuttora agli antipodi nel modo di pensare e lavorare. Due elementi molto importanti rafforzarono l’idea dell’esistenza di una grande congiura, tutta interna alla Procura, contro l’azione giudiziaria che la Nuzzi riteneva al di sopra di tutti gli interessi possibili ed immaginabili. Quali furono questi due elementi, è presto detto. Il primo: la Nuzzi non fidandosi più dell’affidabilità di Martino dispose intercettazioni telefoniche a suo carico e lo beccò mentre era al telefono (giù per le scale del tribunale) subito dopo un interrogatorio con il numero di casa del procuratore aggiunto Santoro. La Nuzzi pensò di aver agguantato la prova regina; niente da fare, qualche tempo dopo si scoprirà che Martino aveva chiamato il numero di casa del magistrato per parlare di lavoro con la moglie di quest’ultimo che era anche sua collega d’ufficio. In giudizio, poi, Martino sconfesserà buona parte delle sue stesse dichiarazioni rendendo il compito del collegio giudicante più facile verso l’assoluzione. Il secondo: La Nuzzi riuscì a scoprire (non si sa bene come !!) che i due procuratori aggiunti avevano cercato di entrare abusivamente nel suo computer per succhiare alcuni elementi dell’inchiesta che potevano essere utili per le difese dei Maiolica e di De Luca; in precedenza la Nuzzi sollecitata dai due a fornire notizie, anche in forza della loro specifica delega al coordinamento delle inchieste sulla pubblica amministrazione,  si era drasticamente celata dietro il segreto istruttorio. Quella che sto raccontando non è un’invenzione o una fantasticheria giornalistica ma è la storia reale portata all’attenzione dei giudici in vari processi presso il tribunale di Napoli (competente territorialmente sui magistrati di Salerno) e in vari pronunciamenti del CSM (Consiglio Superiore della Magistratura) con l’assoluzione sia di Russo che di Santoro ma con la conseguenza di piccoli e significativi provvedimenti disciplinari nei confronti dei due alti magistrati con il trasferimento di Russo presso la Corte di Appello di Roma e di Santoro alla presidenza del Tribunale di Sala Consilina. Va anche detto che tutto questo accadimento non fu altro che il frutto pesante ed inquietante di una guerra intestina nella Procura salernitana che non finì con l’epurazione dei due procuratori aggiunti. Difatti il procuratore capo Luigi Apicella, dopo la presunta azione di spionaggio in danno della Nuzzi, si convinse forse della bontà dell’azione giudiziaria della stessa ed incominciò a sposare pienamente le sue inchieste che portarono allo scontro terribile tra la Procura salernitana e quella di Catanzaro, per le inchieste Way Not e Toghe Lucane;

uno scontro montato parossisticamente sulla base delle numerose deposizioni (oltre settanta) del magistrato Luigi De Magistris che nel frattempo era stato silurato dai vertici del CSM e trasferito alla Procura partenopea, prima che lo stesso si dimettesse dalla magistratura per entrare in politica insieme a Di Pietro nel Parlamento Europeo e poi come sindaco di Napoli. Lo scontro tra Salerno e Catanzaro portò negli anni successivi l’espulsione dalla magistratura del procuratore capo Luigi Apicella e il trasferimento della stessa Gabriella Nuzzi in altra sede giudiziaria; ma lo scontro, se vogliamo analizzare il caso fino in fondo, ebbe anche il suo speso specifico per le dimissioni dell’allora ministro della giustizia Clemente Mastella (dopo il clamore dei due processi catanzaresi e la nuova inchiesta con arresto contro la moglie che era presidente del consiglio regionale campano) e la conseguente caduta del secondo governo di Romano Prodi. Dunque le indiscrezioni iniziali del “caso Sea Park” hanno avuto, nel tempo, non solo una eco extranazionale ma hanno prodotto, in termini di spesa di denaro pubblico, un danno erariale inimmaginabile. Al centro di tutto questo l’immarcescibile presenza dell’attuale governatore della Campania, Vincenzo De Luca, che ha sempre pretestato la sua assoluta innocenza e la difesa della sua azione politica rivolta solo nell’interesse dei 200 operai rimasti senza lavoro a causa della chiusura della Ideal Standard che, è bene ricordare e ribadire, chiuse perché ormai i suoi vertici avevano deciso di trasferire altrove le maestranze ed avevano cercato un ennesimo affare nella vendita dei suoli a quella società (ricordate !!) che era stata costituita da imprenditori privati che avrebbero poi dovuto gestire il parco marino enfatizzato dallo stesso De Luca.

La sentenza del 29 settembre 2016 chiude una delle più brutte, pretestuose e scandalose inchieste giudiziarie di tutti i tempi, almeno per la giurisdizione salernitana.

Tutti ora dovremmo chiederci quanto è costata tutta questa boutade giudiziaria che, sulla base della sentenza assolutoria, è stata montata su fatti che non esistevano; nell’attesa delle motivazioni incominciamo a chiederci chi dovrebbe pagare tutte queste spese e fino a che punto anche per questa vicenda è invocabile la “responsabilità civile dei magistrati” e di quanti magistrati; perché se è vero come è vero che i primi due PM ad avviare il tutto furono Filippo Spiezia e Gabriella Nuzzi è altrettanto vero che la loro azione è stata, passo dopo passo, analizzata da diversi altri magistrati fino al gup Anita Mele che dispose il giudizio a carico di Vincenzo De Luca ed altri 39 imputati.

Per dovere di cronaca, però, devo anche ricordare che su tutta la vicenda incombe anche una lunga ombra; quella delle deposizioni giudiziarie di Cosimo D’Andrea (il cosiddetto capo dei capi) interrogato, anche sul Sea Park, dal procuratore antimafia Antonio Centore nel carcere di opera a Milano il 19 luglio 2001, pochi mesi prima della sua morte.

La responsabilità civile dei magistrati e l’ombra lunga di D’Andrea saranno l’oggetto principale della prossima puntata di questa lunga telenovela.

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