Il “mondo” liberale e il “nuovo” contratto sociale

Angelo Giubileo

ROMA – Nei periodi di transizione da un sistema ad altro è piuttosto normale che si generi confusione, e in particolare se abbiamo a che fare con il nostro linguaggio di uomini.
Sono passati esattamente trent’anni da quando il compianto filosofo, sociologo e politico tedesco Ralf Dahrendorf (1929-2009) ha dato alle stampe Fragmente eines neuen Liberalismus, tradotto in Italia l’anno dopo con il titolo Per un nuovo liberalismo, e quindi esattamente un anno prima della caduta del muro di Berlino (1989), segno dell’inizio della nostra nuova era “globale”.
Attraverso una più che estrema sintesi di contenuto, il saggio si chiude con un capitolo intitolato I liberali e il contratto sociale, ponendo l’accento su tre elementi storici ed essenziali costitutivi del nuovo sistema di democrazia post-Novecento, segnato terribilmente da due guerre “mondiali”:
•“i liberali hanno strappato allo Stato assoluto le costituzioni, e con esse governi vincolati al diritto e l’uguaglianza di tutti davanti alla legge”; e tuttavia:
•“alla liberazione della società dallo Stato è seguita la consegna della società allo Stato, e alla scoperta del mercato la sua limitazione”.
E dunque, in base a tali premesse, come è possibile che si risolva la contraddizione reale (!) che ne deriva? In merito, il Filosofo conclude:
•“(i diritti civili e politici) rimangono formali. Solo il terzo gradino, quello della creazione e assicurazione di uno status sociale ed economico fondamentale dà una sostanza ad essi”.
Così che il “liberalismo” è sempre una questione di politica “costituzionale” e, nella fase di transizione a cui abbiamo accennato in principio, diventa anche una questione di politica “istituzionale”, che attiene alla costruzione e realizzazione di un nuovo “contratto sociale”, in grado di contenere “quelle norme dell’ordine sociale che in un determinato momento garantiscono la misura massima della libertà”.
Nella più stringente attualità, che offre uno spiraglio minimo alla quotidianità, il linguaggio dei media contrappone, secondo la moda francese, i liberali europeisti à la Macron ai populisti e sovranisti à la Le Pen o à la Mélenchon; piuttosto che evidenziare e sottolineare l’avanzata di un progetto e di un programma politico ed economico, che ha inizio dalla fine della seconda guerra mondiale.
Gli ostacoli al progetto sono tanti, ma connessi alla funzione degli ordinamenti e delle istituzioni, politiche ed economiche, nel senso che è stato poc’anzi precisato e ribadito, che devono garantirne e tutelarne l’attuazione.
In estrema sintesi, si tratta di perseguire la rotta della Terza Via, così ampiamente tracciata nel corso della seconda metà del secolo scorso; a meno che non si voglia, per assurdo, ritornare a un passato che possa dirsi – usando un’espressione del linguaggio, che com’è solito accadere ha generato e genera ancora confusione – molto “marxista”, assai poco “marxiano”, per nulla “liberale”.

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