BETTINA: un nome … una storia, per Monte San Giacomo

Aldo Bianchini
MONTE S. GIACOMO (SA) – Nel mese di settembre 2017 è andata in scena nel prestigioso Palazzo Marone di Monte San Giacomo la prima edizione di un premio-borsa di studio annuale da destinare allo studente o alla studentessa più meritevole dopo i rispettivi esami di maturità; iniziativa subito condivisa dall’Amministrazione Comunale di Monte San Giacomo, dall’Associazione Libertas Antonio Nicodemo e, diciamolo pure, dalla grande capacità di Angela D’Alto (assessore comunale e vice sindaco) di vedere nella cultura uno dei fattori trainanti per la sua comunità.
Questa in estrema sintesi l’essenza del premio ideato e voluto da Gianfranco Izzo (Procuratore della Repubblica di Nocera Inferiore) in memoria della mamma Elisabetta Nicodemo, meglio nota come “Bettina” scomparsa all’età di 81 anni quando la sera del 28 dicembre 1993 nella casa napoletana del figlio Gianfranco, proveniente da Roma dove era stata dall’altro figlio Ezio, decise di andarsene per sempre per completare, forse, il suo desiderio inconscio di concludere la vita terrena in casa del suo primogenito Gianfranco.
Lo sviluppo della vita terrena di Bettina non deve essere sottovalutata e ridotta alla stregua di una semplice e casuale vita vissuta all’ombra di una famiglia dalle origini prestigiose; è molto altro e le sue ragioni vanno ricercate non solo nel personaggio di Elisabetta ma anche nelle spinte storico-sociali che nel tempo lontano degli anni 50 e 60, quando appena affioravano i primi vagiti del femminismo, la comunità del piccolo paesino del Vallo di Diano esprimeva attraverso uno stato sociale femminile molto avanzato e sicuramente precursore delle grandi battaglie per la “parità di genere” che sarebbero venute diversi decenni dopo. Su questo aspetto, assolutamente non secondario, è giusto un approfondimento da parte dell’Amministrazione Comunale al fine di pubblicizzare meglio il ruolo che hanno recitato le donne di Monte San Giacomo, e tra queste sicuramente Bettina, contrassegnando fin dal profondo delle sue radici la storia dell’intera comunità che, rispetto alle altre realtà valdianesi, si è posta sempre con qualche anno-luce di vantaggio. In definitiva la storia di una comunità si scrive passando attraverso tutte le realtà che la comunità ha espresso ed esprime e non soltanto con la ricostruzione, in chiave marcatamente politica, dei suoi interessi, delle sue radici e delle sue prospettive.
Prima di andare avanti è giusto ricordare che la prima edizione del premio-borsa di studio è stata assegnata, il 23 settembre scorso, alla giovanissima Giulia Monti, diciottenne studentessa capace di superare gli esami di maturità del liceo linguistico Pomponio Leto di Teggiano con la votazione di 100+lode su 100. Ma come ho già scritto la “borsa di studio Elisabetta Nicodemo” deve essere letta anche sotto altri profili storico-sociali in una sorta di congiunzione tra passato, presente e futuro nell’ottica di reiterare il ricordo certamente di una nobildonna, ma anche al fine di valutare quanto e come il suo messaggio di vita (dedizione assoluta alla famiglia immersa in un ambiente ovattato e protetto) ha prodotto effetti importanti nella sua come in altre famiglie per tutto l’arco del ‘900, per essere proiettati anche nel 2000 con risvolti assolutamente più moderni e tecnologizzati, anche se sempre nel solco di “una costante” presente nel dna della comunità sangiacomese che riesce ad intercettare i cambiamenti del futuro molto prima delle altre comunità del comprensorio, e non solo.
Ma chi era, o meglio chi è stata, Elisabetta Nicodemo ?
Per capirlo bisogna partire dal presente per ricostruire la storia lunga, importante ed anche drammatica della famiglia Nicodemo di Monte San Giacomo. Difatti se esiste, come esiste, l’Associazione Libertas Antonio Nicodemo, brillantemente presieduta del dott. Gerardo Marotta, è perché la comunità sangiocomese ha ritenuto giusto ricordare ed immortalare nel tempo l’opera e la figura di Antonio Nicodemo, primogenito della famiglia nata dal matrimonio di Pietro Nicodemo e Raffaella Salerno (proveniente da una nota e stimata figlia di Camerota), fratello della nostra Elisabetta insieme a Teresa, Angelo, Carolina, Beatrice (detta Bice) e Silvia (l’unica ancora in vita). Il capostipite Pietro era stato podestà di Monte San Giacomo negli anni ’30 e il primogenito Antonio sindaco del dopoguerra fino alla sua drammatica morte avvenuta il 7 dicembre 1960 nel corso di una movimentata adunanza del consiglio comunale.
La prima battaglia di vita portata avanti da Bettina, nata nel 1912 come quarta figlia dei Nicodemo, fu quella di incominciare a scardinare il principio secondo cui all’epoca il diritto allo studio era riservato soltanto ai figli maschi (da qui il nesso con la borsa di studio di oggi !!); e si distinse subito per le sue naturali e spiccate qualità intellettive fino a diventare una donna, anzi una nobildonna, capace di superare i limiti deprecabili imposti dalle usanze del primo novecento in danno delle donne (che non avevano ancora diritto al voto) facendo anche leva sui mezzi e sugli strumenti economici e culturali che la sua famiglia poteva mettere in campo. Insomma Bettina è stata una donna che non si è mai lasciata andare completamente all’oblio dell’agiatezza, comunque riservatole, ma ha cercato di far leva sul contesto generale e socio-economico della sua famiglia che giustamente la preservava dalle inquietanti sottomissioni, cui tutte le altre donne erano costrette, riuscendo a maturare una cultura fatta di letture di un certo livello, di precise regole di vita, di comportamento, di bontà d’animo e di tutti quei valori e quegli insegnamenti familiari che costituirono e costruirono nel suo futuro di moglie – mamma e nonna quella solida base di appoggio da trasferire, pari pari, ai suoi figli, alla sua famiglia ed all’intera comunità sangiacomese, e non solo.
Era religiosa ma non bigotta e, sebbene abituata in un quadro culturale in cui svettavano i fratelli maschi, rivaleggiava con tutti (spesso primeggiando) nei lunghi salotti sapientemente organizzati ed aperti a parenti ed amici che per decenni ne hanno stimato le qualità signorili ed i profili educativi che da essi promanavano verso il mondo esterno. Completamente dedita ed anche devota (senza però alcuna sensazione di sottomissione) al marito Rocco Izzo, noto e stimato dirigente del Banco di Napoli, seppe trapiantarsi nella metropoli partenopea senza mai dimenticare il passato di ragazza bella e felice, nata in un paesino del Vallo di Diano che l’aveva prima cullata e poi anche coccolata. Ha amato i figli Gianfranco ed Ezio in maniera viscerale, quasi totalizzante, ma è stata molto attenta a non scadere in sterili sentimentalismi, inopportune smancerie e facili concessioni. Amava la musica e suonava benissimo il pianoforte, segno di distinzione e di signorilità, spesso si esibiva per chi sceglieva con una selezione molto dura ed al tempo stesso riservata e mai eclatante; la musica -diceva- è per quelli che l’amano, la capiscono e la vivono intensamente.
Morì la sera del 28 dicembre 1993 in casa del figlio Gianfranco a Napoli ed a ben pensarci, in una sorta di post-pensiero, aveva forse scientemente scelto in quei giorni prima il figlio Ezio a Roma per chiudere, infine, la sua vita in casa del figlio Gianfranco; entrambi stravedevano per Lei ed ancora oggi ne serbano un caldissimo e struggente ricordo. In fin dei conti Bettina è stata donna, moglie, mamma e nonna fino in fondo decidendo di raggiungere il marito Rocco (morto nel marzo del 1991) non appena ha ritenuto che il tempo era ormai maturo per poter lasciare la tanto amata famiglia e sicura di aver fatto tutto quello che una mamma ed una nonna può e deve saper fare.

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