“Magistra Vitae” … la storia insegna

 

 

 

 

 

 

 

Aldo Bianchini

SALERNO – Previa specifica autorizzazione verbale da parte dell’autore provvediamo a pubblicare una lettera (datata 16 luglio 2018) scritta da Giuseppe Cacciatore (detto Peppino), filosofo e storico del nostro tempo. Ancorchè già pubblicata da altre testate giornalistiche, la lettera ci appare piena di riflessioni importantissime sulle quali bisognerebbe necessariamente avviare un dibattito; ci riserviamo, pertanto, alcune osservazioni alla fine della lettera quì sotto riportata:

“””Mi accingo a scrivere alcune riflessioni sul pericolo di una grave crisi istituzionale -un ministro che chiede alla polizia di arrestare i presunti dirottatori e che impedisce ad una nave militare italiana di entrare in un porto italiano- che rischia di intaccare uno dei principi fondamentali della democrazia liberale e del costituzionalismo moderno: la separazione e l’autonomia dei poteri. Ma mentre mi fermo a riflettere sugli argomenti che vorrei trattare, mi accorgo che è il 14 luglio, data ben nota della presa della Bastiglia nel 1789. Scarto subito l’idea di scrivere qualcosa su questo evento sul quale sono state scritte intere biblioteche ed emeroteche, limitandomi ad osservare che dei tre famosi principi –libertà, uguaglianza e fraternità– il primo è largamente adottato ed applicato, almeno in buona parte del mondo occidentale, mentre gli altri due, e specialmente il terzo, sono stati in passato e sono tuttora disattesi, come ben si può vedere a partire dalla crisi che attanaglia da tempo l’Italia sulla questione dei migranti e della piaga della disoccupazione giovanile, solo per fare gli esempi più evidenti. Ma c’è un altro 14 luglio che è passato quasi inosservato: in questa data esattamente 80 anni or sono, sul “Giornale d’Italia”, appariva un articolo –ispirato e fortemente voluto da Benito Mussolini- intitolato “Il fascismo e il problema della razza”. Lungi da me ovviamente –sarei peraltro un cattivo storico- il tentativo di trovare analogie con gli eventi che ormai da tempo stanno caratterizzando la drammatica vicenda dei migranti. Le nostre istituzioni, malgrado qualche piccola scossa tellurica, sono ancora saldamente democratiche e rispettose ognuna delle prerogative e delle funzioni delle altre. Il mio intento è solo storico-pedagogico, di qualcosa cioè che sta gradualmente scomparendo dall’orizzonte culturale medio di buona parte dei cittadini italiani e, purtroppo, di buona parte dei giovani nati all’alba del 2000. Mai come in questa difficile era di trapasso da un modello di società tradizionale a un modello dominato dai paradigmi mediatici e informatici e caratterizzato dalla velocità e caducità degli eventi, si dovrebbe ridare spazio a una rinnovata funzione dell’ historia magistra vitae. Così non si dovrebbe mai dimenticare che ci fu un momento della storia del nostro Paese in cui si decretò per legge che “esiste una pura razza italiana”, che “gli ebrei non erano appartenenti alla razza italiana”. Da allora la minoranza ebraica fu privata di ogni diritto, espulsa dalle professioni, dagli uffici, dalle scuole, fu proibito per legge il matrimonio tra gli ariani e gli ebrei. Essa divenne il pretesto per ridare fiato al fascismo e per avvicinarlo sempre più all’hitlerismo, creando quell’asse delle nazioni fasciste che avrebbero messo a ferro e fuoco l’Europa e ucciso milioni di ebrei. Allora, dopo la guerra d’Africa e la proclamazione dell’impero, il fascismo toccò il massimo dei consensi del popolo italiano, con gli antifascisti in carcere o al confino. Questa è forse la più evidente ed inoppugnabile dimostrazione che non sempre la maggioranza ha ragione ieri come oggi. Su “Repubblica” di ieri è apparso un articolo di Carlo Greppi nel quale si ricorda l’incontro di 32 nazioni europee e americane i cui rappresentanti si riunirono a Ginevra nel luglio del 1938 con all’ordine del giorno l’individuazione dei mezzi per venire in soccorso ai rifugiati politici dalla Germania. Quando si passò a discutere le “quote” da distribuire tra i vari Paesi, la conferenza naufragò in un nulla di fatto, e sappiamo com’è andata a finire. Ancora una volta abbiamo bisogno di guardare alla storia come magistra vitae”””.

Considerazioni:

            Per prima cosa mi corre l’obbligo di precisare che Peppino Cacciatore è uno dei pochi, forse l’unico, tra i filosofi-storici-scrittori contemporanei che riesce ad esprimere in maniera compiuta, lucida e comprensibile il suo pensiero. Tanto da poter essere facilmente annoverato tra i grandi pensatori del nostro tempo, e non sono tanti. Ed ha anche la capacità, ampiamente dimostrata nei suoi lunghi anni di docenza universitaria, nella lettera sopra riprodotta e nelle apparizioni pubbliche sapientemente centellinate, di modellare e rinnovare il suo pensiero ponendolo indiscutibilmente al passo con i tempi per riuscire a prendere i necessari spunti dal passato in modo tale da poter suggerire gli atteggiamenti comportamentali del presente e del futuro in una società che si evolve, nel bene e nel male, a velocità stratosferica ed impensabile fino a qualche decennio fa.

            Per questo condivido in pieno il pensiero di Peppino Cacciatore, almeno quello contenuto nella lettera di cui sopra, pur dovendo ammettere con me stesso che alcune delle sue posizioni non mi convincono fino in fondo perché, forse, frutto di una sua troppo ampia visione delle tante esperienze umane che ha vissuto e studiato nel corso della sua vita. Una visione che gli impedisce di allungare lo sguardo oltre i confini di quella che sembra la realtà palpabile che nasconde una realtà virtuale molto più vasta ed incontrollabile della prima. Ad esempio il parallelismo tra i due 14 luglio, quello della presa della Bastiglia e quello dell’articolo prodromo per le leggi razziali di Mussolini, non regge più innanzitutto perché dopo la presa della Bastiglia (icona della rivoluzione francese) con il motto “libertà, uguaglianza e fraternità” ritornò a dominare violentemente la scena la monarchia che generò addirittura due guerre mondiali e ben due rivoluzioni industriali per riconsegnare poi il tutto al fascismo ed all’hitlerismo che in pratica hanno avviato l’era post moderna (forse sarà chiamata in futuro la terza rivoluzione industriale) che ha fatto scoprire all’intera umanità i confini, prima di allora mai percepiti, di una società che fatalmente, per rispondere alle esigenze della globalizzazione sulla scia di un’economia imperante e senza scrupoli, sta portando il mondo verso l’annullamento di quei principi solidissimi e fondamentali per la democrazia liberale e il costituzionalismo moderno, esattamente come dice Peppino Cacciatore.

            Il rischio serio è che, secondo il mio umile pensiero, potremmo trovarci presto senza alcuna separazione o autonomia dei poteri, senza alcuna parcellizzazione temporale tra i vari Stati ma con un’unica entità superiore e suprema che ci illude con fantasiose raffigurazioni di liberismo ma che, in pratica, domina ogni nostro movimento o scelta futura. Difatti se nel 1938 ben 32 nazioni cercarono di raggrupparsi contro l’incalzante fascismo-hitlerismo, oggi è tutto più normalizzato da questa potenza occulta che sposta interi continenti da destra a sinistra e viceversa.

            Ma Peppino Cacciatore, da buon filosofo e storico, lancia dei messaggi molto precisi; messaggi che, a partire dalla stampa, non devono essere raccolti come uno sfogo personale di un compassato docente universitario perché quei messaggi (e sono tanti !!) non sono assolutamente una manifestazione esteriore di saggia cultura, sono momenti cruciali di riflessione e di invito ad un dibattito che deve allargarsi il più possibile per toccare fortemente le nuove generazioni del 2000 che appaiono sempre più demotivate e prive di quel “qualcosa che sta gradualmente  scomparendo dall’orizzonte culturale medio di buona parte dei cittadini italiani (e io aggiungerei del monto) e, purtroppo di buona parte dei giovani nati all’alba del 2000”.

            E’ questo il messaggio più significativo che Peppino Cacciatore, a mio modo di vedere, ha lanciato con la sua lettera aperta; questo messaggio deve essere raccolto, discusso, dibattuto, ampliato, forse anche modificato, e portato tra i giovani fin dalle scuole elementari come punto di riferimento culturale per cercare di ricostruire un tessuto che sembra dilaniato dalla travolgente e forzata, quasi ossessiva, tecnologizzazione di ogni aspetto social-culturale della nostra vita.

            Non basta, quindi, ricevere e pubblicare una lettera-pensiero di Peppino Cacciatore perché non parla e non scrive mai a vuoto o tanto per esibirsi in una parlata o uno scritto, non ne ha bisogno e non rientra nel suo stile di vita; lo fa per lanciare messaggi e noi abbiamo il dovere di riflettere e commentare, anche se non si è d’accordo su tutto, il pensiero dell’ultimo filosofo-storico di una generazione culturale della quale si sta perdendo ogni traccia.

            Come dire, il mondo che abbiamo conosciuto negli oltre settant’anni della nostra vita (mia e di Peppino, per intenderci !!) non esiste più e il 4 marzo 2018 ha tracciato una profonda linea di demarcazione; l’importante è far capire a tutti che la storia, sempre e comunque, è maestra di vita; come giustamente e saggiamente afferma Peppino Cacciatore.

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