CASSAZIONE: “il valore del dubbio” da Bossetti al Crescent … visto da Cecchino Cacciatore

 

 

 

 

 

Aldo Bianchini

 

SALERNO – Dopo la sentenza della Cassazione sul “caso Bossetti” e la sentenza di 1° nel processo “Crescent” di Salerno è necessario continuare a parlare della giustizia, delle sentenze (anche quelle passate in giudicato), dei dubbi e delle incertezze che dovrebbero assalire i giudicanti, della frettolosità o della caparbietà con cui si vogliono chiudere alcune inchieste, del filone magico e unidirezionale di tanti Pubblici Ministeri che si intestardiscono a ricercare solo le prove della presunta colpevolezza e non anche quelle dell’innocenza, di quegli Uffici Giudiziari che sembrano stampati con il più classico dei ciclostili (di storica memoria) nella loro azione di controllo della legalità, oppure di indagini più o meno delicate che vengono affidate sempre agli stessi uomini in modo da creare un corpo unico tra PM e  investigatori, senza avere nessuna controprova per la genuinità e verginità delle indagini.

            Insomma per tutto questo coacervo di punti nodali è necessario anche analizzare le sentenze scendendo nei loro meandri più oscuri e, spesso, incomprensibili.

            Ho sempre saputo che la giustizia, in tutte le sue ramificazioni e modificazioni, si basa su quattro elementi fondanti ed intoccabili: reato, prova, imputato, sentenza. La giustizia raggiunge il suo massimo obiettivo, cioè la verità giudiziaria, quando sui quattro elementi fondanti non si allunghi la minima ombra di dubbio; quest’ultima deve per forza spazzare via tutti e quattro gli elementi e rendere l’imputato una persona innocente anche perché ogni sentenza di condanna deve essere emessa soltanto quando ci sono tutte le condizioni per superare “ogni ragionevole dubbio”.

            E come si fa a non avere dubbi di fronte a reati che vengono raccontati in mille modi diversi dalla prima dichiarazione raccolta dalle Forze dell’Ordine fino alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo; per questa ragione necessitano prove inoppugnabili e conclamate e non chiudersi a riccio su una convinzione basata comunque sul dubbio e non concedere alla controparte (leggasi caso Bossetti) neppure la possibilità di una superperizia.

            Ma cosa è il dubbio o meglio cosa rappresenta il dubbio nel processo penale ?  Prova a spiegarcelo con un linguaggio molto chiaro e comprensibile il noto avvocato penalista Cecchino Caccciatore, rampollo di una delle famiglie che hanno fatto la storia dell’avvocatura salernitana.

“”Il valore del dubbio nel processo penale ha a che fare col tempo. Di conseguenza, anche con la storia e con il suo contenuto primario: la vita.

Venditti cantava: che fantastica storia è la vita. Un inguaribile ottimista, uno che non sa che il processo penale può spezzarne il legame e sospendere in un vuoto irreale la vita, mentre la storia continua a scorrere provocando uno scompenso grave.

Lo sapeva bene Croce, che chiarendo la posizione di Hegel, amava scrivere che la storia è in effetti proprio la sintesi di vita e pensiero ed è al tempo stesso vita del pensiero e pensiero della vita ed è dunque un grave errore dell’incedere della civiltà la sua separazione.

Ma accade. Accade che vita e storia si spezzino. Accade che drammaticamente si spezzi il tempo psichico (il tempo interno) della persona sottoposta ad indagine dal tempo della storia del processo che viene celebrato nei suoi confronti.

E’ evitabile?

In un sistema democratico come il nostro l’accertamento giudiziario è ineliminabile, né è da sottovalutare o guardare con sussiego, peggio con fastidio; soprattutto, se in esso vi sono gli anticorpi agli abusi ed agli arbitri: le garanzie.

Il dubbio ragionevole è una di esse. Un’altra è la ragionevole durata.

Se utilizzate entrambe in simbiosi reciproca, non è vano anelito credere che possa arrivare finalmente a comprendersi che tanti processi, il cui esito assolutorio, oltre a dimostrare l’innocenza dell’imputato, sono soprattutto affermazione dell’inutilità del loro svolgimento perché non dovrebbero proprio iniziarsi e concludersi con una archiviazione tempestiva. Sono, cioè, mortificazione della presunzione di non colpevolezza quando, pur a fronte dell’emergere del dubbio ragionevole fin dall’inizio delle indagini, si vada comunque a processo, il quale, appunto, poi si concluderà comunque per l’insipienza dell’accusa che tale si mostrava dal principio.

Il fenomeno è ricorrente e cela tutta l’insidia insita nell’obbligatorietà dell’azione penale, la quale, abusata ipocritamente, svilisce strumentalmente il valore del dubbio già palese all’alba dell’inchiesta per rimandarne la sua piena dignità al tramonto con la sentenza.

Si tratta di una ingiustizia manifesta.

Tra l’alba e il tramonto si snocciola la storia di un individuo con la sua vita. La prima, incessante ma zoppa, avanzerà come storia senza anima- infatti si parla di storia giudiziaria-; la seconda, priva del riferimento temporale nel quale si incanala per completarsi e diventare storia vissuta e animata- appunto- rimarrà in apnea, ferma a mezz’aria, incapace di programmare se stessa in quanto timorosa del futuro, mentre sconta la sordità di chi dovrebbe ascoltare la voce del dubbio e della sua ragione.

Ma è davvero affetta da sordità modo di tipo di amministrare la giustizia o, piuttosto, ribalta al contrario il peso che va dato al ragionevole dubbio? Da strumento per assolvere a strumento per cercare una condanna.

Una prospettiva del genere oltre che errata è ormai datata e fuori moda. La Costituzione repubblicana e la Corte europea dei diritti dell’uomo ne sono prova.

Tra l’altro, non porta bene: le imprecazioni sia degli assolti in ritardo che dei giudici che hanno lavorato inutilmente hanno un potenziale (non è vero ma ci credo, si dice qui da noi al sud) che i più efficaci scongiuri fanno fatica a frenare””.

            Cosa aggiungere alla ricostruzione meditata, precisa, puntuale e condivisibile dell’avv. Cecchino Cacciatore sul valore che il dubbio dovrebbe sempre avere nel processo penale se non vogliamo trasformare la cosiddetta “culla del diritto” in una speculativa, arraffazzonata e orrida “inquisizione” (che di santo non ha nulla) che tutto travolge e strumentalizza nell’ambito di quell’esercizio molto personalizzato del “potere giudiziario” finalizzato alla crescita di un potere molto personale e molto pungente sia nella vita politica che sociale di intere comunità, e non solo delle vite proprie e familiari di tantissimi indagati, arrestati, processati e poi assolti tra l’indifferenza generale.

            Pensavamo che il passaggio dal processo inquisitorio a quello accusatorio, con la virtuale parità tra accusa e difesa, potesse modificare e rimodellare lo strumento giudiziario secondo le moderne concezioni della giustizia che pur preservando l’irrinunciabile necessità del processo pretende che esso sia “giusto e rapido”; così non è stato, anzi dal 1989 in poi la pubblica accusa ha assunto un ruolo ed un potere devastante che neppure la “grande politica” dei Padri della Patria avrebbe potuto mai immaginare.

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