Il lungo iter processuale della causa di diffamazione del Sommo Pontefice Pio XII

 

di Alberto De Marco

ROMA – Robert Katz, Carlo Ponti, George Cosmatos, furono citati al giudizio

direttissimo al Tribunale di Roma per rispondere: Robert Katz di

diffamazione mediante offesa consistente nell’attribuzione di un fatto

determinato commessa col mezzo della stampa (art. 595, 597 c.p. art. 13

legge 8 febbraio 1948 n. 47) per avere nel suo libro “Morte a Roma”

stampato a Roma nel 1967 ed in successive edizioni fino al 1973, offeso la

memoria del Sommo Pontefice Pio XII, attribuendogli di non avere fatto

quanto avrebbe dovuto e potuto fare per cercare di impedire l’eccidio delle

Fosse Ardeatine, perpetrato dai militari tedeschi il 24 marzo 1944; Robert

Katz, Carlo Ponti, George Cosmatos, di concorso in diffamazione

mediante offesa consistente nell’attribuzione di un fatto determinato

commessa col mezzo della cinematografia (art. 110, 595, 597 c.p.) per

avere previo accordo, nella rispettiva qualità: Robert Katz di

sceneggiatore; Carlo Ponti di produttore; George Cosmatos di regista; del

film “Rappresaglia”, tratto dal libro “Morte a Roma” e proiettato dal

principio di ottobre del 1973 in poi in varie città d’Italia, offeso la

memoria del Sommo Pontefice Pio XII, attribuendogli in varie sequenze il

fatto determinato indicato nel precedente capo di imputazione. Con la

sentenza del 27 novembre 1975, gli imputati furono dichiarati colpevoli

dei reati loro ascritti, unificati nella continuazione nei confronti di Robert

Katz e condannati con i benefici di legge, alla pena di 1 anno e 2 mesi di

reclusione, 500.000 lire di multa per Robert Katz, e di 6 mesi di reclusione

ciascuno per Carlo Ponti e George Cosmatos, nonché tutti al risarcimento

in forma generica del danno in favore della querelante, costituitasi parte

civile, Elena Rossignani, nipote del defunto Pontefice. Con la sentenza del

1 luglio 1978, la Corte d’Appello di Roma, in riforma della decisione del

Tribunale, assolse Robert Katz dal primo reato, trattandosi di persona non

punibile per avere agito nell’esercizio di un diritto, e lo stesso Robert Katz,

nonché Carlo Ponti e George Cosmatos, dalla seconda imputazione con la

formula “perché il fatto non costituisce reato” per mancanza di dolo. Il

Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Roma, a questa

sentenza propose ricorso alla Suprema Corte di Cassazione, che l’accolse

con la sentenza del 19 ottobre 1979, con la quale annullò la decisione

impugnata, con rinvio ad altra sezione della stessa Corte d’Appello

relativamente all’imputazione di diffamazione commessa col mezzo della

stampa; e senza rinvio con riguardo all’altra imputazione per essere il reato

estinto per amnistia, ferme rimanendo le statuizioni concernenti gli

interessi civili. La Corte Suprema di Cassazione precisò che non è precluso

al Giudice indagare sui fatti costituenti oggetto della ricerca storiografica,

quando si tratta di individuare la volontà dell’autore, nel confronto tra

l’opera scritta e la reputazione altrui; e riconobbe i vizi della motivazione,

per mancanza o contraddittorietà, sulla esatta individuazione delle finalità

attribuite al Pontefice, sulla forma usata, e sulla stessa qualificazione

culturale, come ricerca storiografica dell’opera di Robert Katz. Con la

sentenza del 2 luglio 1981, pronunciata in sede di rinvio, la Corte

d’Appello di Roma, ha confermato la decisione del Tribunale di Roma,

con riguardo all’imputazione residua ascritta a Robert Katz, determinando

la pena in 1 anno ed 1 mese di reclusione e quattrocentomila lire di multa

per effetto della già dichiarata estinzione dell’altro reato. La Corte

d’Appello di Roma, ha stabilito con la sua decisione che le accuse

dell’imputato non scaturivano da interpretazione, sia pure soggettiva, di

fatti e comportamenti obiettivamente accertati, ma dalla intenzionale

creazione di falsi presupposti, di fatto e soggettivi, dolosamente intesi a

sostenere le accuse stesse; ed ha ritenuto che nella formulazione dei

giudizi erano stati travalicati i limiti di forma, con parole inutilmente

sarcastiche e dispregiative. A seguito della suddetta sentenza, l’imputato

ricorre alla Suprema Corte di Cassazione ed il suo difensore chiede

l’annullamento della stessa. Il lungo iter processuale si conclude con la

sentenza del 29 settembre 1983 della Suprema Corte di Cassazione, per la

quale l’imputato è tenuto, secondo soccombenza, al rimborso delle spese

in favore della parte civile, liquidate nella misura indicata nel dispositivo.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in ordine al reato di

diffamazione aggravata commesso con l’edizione italiana del 1967 del

libro “Morte a Roma”, perché estinto per amnistia, ferme le statuizioni

concernenti gli interessi civili. Rigetta nel resto il ricorso e condanna

Robert Katz, al rimborso delle spese in favore della parte civile, Elena

Rossignani, che liquida in lire 450.000, di cui lire 430.000 per onorari di

difesa. Nonostante le evidenti responsabilità degli imputati, la causa di

diffamazione, intrapresa dagli eredi di Pio XII, ha avuto una sconcertante

conclusione. E’ un esempio emblematico, purtroppo sempre attuale dei

limiti della giustizia umana.

 

 

 

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