GIUSTIZIA: l’uso politico dei processi

 

di Giovanni Falci

(avvocato penalista – architetto)

 

avv. Giovanni Falci

SALERNO – Parlare di questo argomento è sempre imbarazzante perché significa non avere, fino in fondo, fiducia nell’amministrazione della giustizia.

In effetti il più delle volte non è colpa di giudici o avvocati se la giustizia non “funziona”.

Il vero responsabile è la politica che fa leggi a volte assurde che è difficile cambiare anche perché la Corte Costituzionale sta perdendo quella funzione di “garante” della legge per assolvere sempre più a “garante” delle maggioranze.

La riforma della prescrizione ne è l’esempio più attuale.

E allora, invece che in chiave attuale, prendendo le mosse da tanti processi dei nostri giorni che hanno corsie “preferenziali” di pubblicità solo perché riguardano uomini politici in vista, vorrei svolgere alcune riflessioni su un processo di letteratura: il mercante di Venezia di Shakespeare.

Questo processo per i problemi legali e morali che solleva si collega al pregiudizio razziale, pregiudizio in senso etimologico: il giudizio finale è fortemente, quasi obbligatoriamente, influenzato da idee preconcette su un gruppo di individui.

Più in generale la storia veneziana di Shakespeare ha al centro un problema di giustizia, e un problema di arroganza del potere politico che va oltre la legge, il potere imbroglia in Tribunale per schiacciare un indesiderato.

Il mercante di Venezia ruota intorno ad un dilemma: se l’applicazione della legge debba essere letterale, e quando questo tocchi la sostanza della giustizia.

L’ebreo Shylock esige letteralmente la libbra di carne dal veneziano Antonio che non ha rispettato il contratto; il tribunale cristiano lo segue in una interpretazione altrettanto letterale, e alla fine vessatoria, del contratto: sì alla libbra di carne, purché non venga versata una goccia di sangue.

L’amministrazione della giustizia è sbagliata e addirittura contraffatta.

Visto da vicino il processo in cui Shylock viene condannato è una farsa, con una donna travestita da giudice (all’epoca e per molti secoli dopo le donne non potevano studiare all’università ed esercitare le professioni forensi), e la sentenza di condanna è palesemente ingiusta.

L’imparzialità della legge è smentita a priori dalla prima frase del Doge, che appena entrato, si rivolge ad Antonio: “Mi rincresce per te, che devi rispondere a un avversario di pietra, una disumana canaglia, che non conosce pietà ed è completamente privo anche di un solo grammo di misericordia (mercy)”.

Si continua poi con l’ingresso di Shylock che entra portando con sé bilancia e coltello, in una disperata, folle e patetica parodia della giustizia.

A questo punto il Doge dice: “fate largo e lasciate che si mostri di persona”.

Shylock allora deve avanzare tra due ali di folla, gli amici di Antonio, i veneziani, i cristiani, che faranno sentire tutto il loro odio nei suoi confronti durante il dibattimento (la folla davanti il tribunale di Milano, vicino ai cronisti, all’epoca di Di Pietro).

L’accerchiamento è anche verbale; il Doge dice: “Shylock tutti pensano, e io sono tra quelli, che tu proseguirai in questo atteggiamento malvagio solo sino all’ultimo momento e poi, si crede, mostrerai misericordia (mercy) e compassione (remorse).

“Tutti” da una parte; Shylock dall’altra.

Colpisce che in questo processo la parte formalmente sotto accusa perché inadempiente, intervenga in continuazione, sovrapponendosi al giudice e alla fine proponendo la sentenza.

E’ qualcosa che sembra anticipare l’ingerenza dei mass media e della pubblica opinione nei processi che hanno un forte impatto sociale, razziale, o politico.

Shakespeare che di diritto ne capiva molto (in altre opere e anche nei sonetti parla della differenza tra proprietà e possesso, parla di usufrutto o procure etc.) vuole mostrare come l’applicazione letterale di una legge possa essere usata pretestuosamente per colpire un outsider o una minoranza o un caprio espiatorio.

Ai nostri giorni “esigenza cautelare attuale e concreta” è l’applicazione letterale della legge per arrestare.

Cosa significhi “attuale” e “concreto”, cambia da persona a persona e da giudice a giudice.

E allora la morale è che in ogni epoca quando un processo nasce da una base di pregiudizi, tende a presentare argomenti emotivamente forti ma poco, o per nulla legali, e neppure documentati, nel senso di provati.

Nella parte finale del processo Shakespeare usa i due termini “justice” e “jew” come una mazza con cui demolisce il tempio della giustizia.

Porzia dirà rivolgendosi all’ebreo (jew) alla fine della sua “motivazione” della sentenza: “In ginocchio, dunque, e invoca la misericordia (mercy) del Doge”.

La misericordia che doveva concedere spontaneamente, ora Shylock è costretto a chiederla in ginocchio.

Gli viene risparmiata la vita per quella misericordia dei cristiani che invece l’ebreo si è rifiutato di mostrare.

Il processo ha letteralmente distrutto Shylock, perché il processo è una terribile arma di distruzione dell’imputato.

Porzia: “sei soddisfatto ebreo”; Shylock: “sono soddisfatto”; Porzia: “scrivano stendete l’atto di donazione”; Shylock: “vi prego concedetemi il permesso di andarmene. Non mi sento bene. Mandatemi l’atto a casa e lo firmerò”.

Shylock è stato annientato; è “soddisfatto”, dice chinando il capo e uscendo di scena senza reazioni e con una acquiescenza dolorosa.

Questo è un processo che si ripete sempre alla stessa maniera.

Diceva il mio maestro, il prof. Giuseppe Gianzi di Roma, “il processo penale è come un incidente stradale, finché non ti capita non riesci a comprendere quanto sia grave e doloroso; la fantasia non raggiunge mai la realtà”.

 

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