CORONAVIRUS: LA VENDETTA DEGLI DEI

di Eppe Argentino Mileto

ROMA – Ho atteso, prima di scrivere. Ho ascoltato e letto di tutto. E ho pensato ancora. E ancora e ancora. Adesso è arrivato il momento. Lo sento. Sono sempre stato lontano anni luce dal “politicamente corretto”. Quindi immune, emendato, purificato da ogni strisciante ipocrisia. E mi son detto: “che vadano al diavolo tutti. Scrivo di getto e basta, e vada come vada!” Anche in questo caso.

Non ho mai scritto per piacere agli altri, per essere condiviso, blandito, lusingato. Ho sempre scritto cercando di dare ordine alle cose prive di ordine, senso alle cose prive di senso, colore alle cose prive di colore, forma alle cose prive di forma. E non sono qui certo per scrivere il temino sul coronavirus, o la letterina delle buone intenzioni, per dispensare consigli o perdermi sui ricordi romantici dei tempi andati, sulle memorie dei padri o dei nonni, sul “come eravamo”. Soprattutto non scrivo per dire che mi dispiace. Perché non mi dispiace affatto. Anzi, lo trovo giusto, inevitabile, doverosamente onesto, questo virus. Lo trovo un giustiziere che punisce, un dio incazzato che sguaina la spada e la brandisce su un bianco destriero, un eroe biondo dai boccoli del grano che galoppa sulle spiagge imbiancate dalla spuma rigurgitata del mare. Un eroe che arringa le truppe, un titano fra comuni mortali, un gigante fra nani. Un amante infedele che ti fotte il cervello prima di fotterti. Un tarlo che ti tormenta l’anima prima di strappartela. Un tiasiota fra i tiasioi. Una pioggia invocata sulla mediocrità. Un modulo stravolto sulla prevedibilità. Un dialogo lirico in tetrametri trocaici catalettici, cui segue la sticomitia, la rhesis, la discomitia che precede un’altra sticomitia fra due sopravvissuti, il virus e il filosofo, per poi esplodere in un magico, geniale, rivelatore monologo. Una vendetta attesa da millenni. Dal quinto secolo avanti quel Cristo che ci ha sempre odiati, altro che amati. E ne ha pienamente ragione. A quell’epoca, nell’odierna Grecia, avevano capito tutto. Dal mare, dai monti, dai vulcani ascoltavano gli dei. Ed ubbidivano tutti agli dei. Senza albagia alcuna, l’uomo ascoltava. L’avevano trovata, la formula della vita. Eccome se l’avevano trovata. Avevano raccontato la vita nell’unica sua forma possibile: la tragedia. Avevano capito che non esiste innocenza alcuna, ma solo la colpa. Ed avevano trovato la strada per la salvezza, quegli uomini. Una strada fatta di speculazioni, filosofia, arte, lettere, matematica, astronomia, scienza, medicina, natura. Parlavano alla natura attraverso gli dei, quegli uomini. Parlavano a Dio e mai di Dio. E nutrivano l’anima come un giardino composto di fiori oltrani. Ecco, avevano trovato un’altra dimensione. Era l’oltre. Tutto era oltrano a quel tempo. Tutto. Poi qualcosa si ruppe. E venne il nulla spacciato per civiltà. La catabasi culturale fu inevitabile. Ed allora, come faccio a dispiacermi di un dio che bussa alle porte dell’umanità travestito da virus per dirci che non abbiamo capito nulla? È venuto per farci comprendere quello che non abbiamo voluto o potuto comprendere; per ristabilire gli equilibri là ove erano solo squilibri; per ridare luce là dove si vedevano solo le tenebre; per restituire bellezza contro ogni scempio, sfregio, schiaffo o bestemmia alla cultura. Pensate solo alla felicità di Raffaello, Leonardo, Michelangelo, Giotto, le cui opere hanno ricominciato a respirare, senza quelle orrende code davanti ai musei e ai commenti beceri di chi non sa neppure chi siano stati Raffaello, Leonardo, Michelangelo, Giotto. E pensate a tutti gli altri grandi artisti morti, vilipesi, lapidati, contestati, crocifissi, impalati, stuprati, fucilati, impiccati, dileggiati dal potere nel tempo in cui hanno vissuto. In nome di cosa? Del potere di turno. Oh quanto odio il potere! Provo orrore davanti al potere, e ai suoi tanti, troppi, innumerevoli servi, la cui unica coniugazione è l’ipocrisia. L’ipocrisia spacciata per buone maniere, per buonismo, condiscendenza, generosità. Quanto odio il potere. Il potere che inebria, seduce, eccita, entusiasma, accende. Il potere affacciano ai balconi, nascosto sotto le gonne dei preti, il potere delle sale dei bottoni. Il potere di chi decide per me ma non in mio nome. E poi il potere del finto amore, che in realtà è sempre e solo possesso. Il potere dell’uno sull’altro. Il potere di chi non ama su chi ama. Perché il potere non è un concetto astratto. Non esiste se non è esercitato su qualcuno. Non esisterebbe alcun potere senza un posseduto, una vittima, un agnello sacrificale. È in nome del potere economico che abbiamo distrutto tutto. Il potere dei soldi che ti fa vedere vincenti i perdenti, felici gli infelici, onesti i disonesti. Tanto se hanno i soldi ti convinci che siano vittime essi stessi. Vittime da assolvere. Purchè siano ricchi. Per questa umanità corrotta, purulenta, marcescente, cariata, puzzolente, decomposta, il virus, questo virus, rappresenta una risposta. Di più, una speranza. Quella della salvezza. Lo trovo orrendamente giusto, il coronavirus. E spietatamente intelligente. Perché si beffa della nostra scienza, dei grandi poteri delle multinazionali farmaceutiche, della borsa, di wall street e dello spread. Si beffa del potere economico. Sodomizza il potere economico. E uccide i suoi servi. Tutti i suoi servi. Abbatte il potere che ottunde l’intelligenza, che deforma il giudizio, che dilata le reali dimensioni, la statura di ogni individuo. Oh, quanto lo trovo giusto il virus! Si cerca un antidoto, ma egli stesso è un antidoto contro il potere. E soprattutto rende giustizia. Fa evaporare ogni ipocrisia, attaccando il mondo nei santuari del suo potere. Sì, perché se avesse colpito i paesi poveri, le persone povere, i continenti poveri, non avrebbe fatto notizia. E invece no, non dà scampo ai ricchi. E ai servi dei ricchi. Lo trovo coerente alla sua mission. Ridisegna la mappa del mondo. Forse edificherà nuove città, nuovi stili, nuovi approcci e nuove avanguardie, questo virus. Forse gli dei riporteranno indietro a quel quinto secolo avanti quel Cristo che non ci ama affatto le lancette della storia. Poiché spinge la gente corrotta nelle fogne umane da cui proviene. E spero risparmi i pochi illuminati che sapranno indicarci e ritrovare la strada perduta. Lo trovo intelligente perché fa paura, il virus. Gioca con noi con intelligenza. Per lui gli esseri umani o gli scarafaggi, le dorifere, le piattole sono la stessa cosa. E fa paura. Sai quanto si diverte nel vedere gli uomini impauriti? O indossare ridicole quanto inutili mascherine? Sai quante volte si starà chiedendo di cosa gli uomini hanno paura? Vai a spiegarglielo cosa temono: di perdere i soldi più della loro stessa vita; di non poter seguitare a fare la stessa vita cui erano avvezzi, fatta di stronzate; di modificare abitudini fatte di niente. E che oggi si trovano in quarantena a dover fare i conti ciascuno con il proprio io malato. E condannati alla pena peggiore: leggere un buon libro. È proprio vero: la vita ha molta più fantasia di noi tutti.

 

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