Carissimi fratelli e sorelle,
abbiamo imparato a caro prezzo che “l’individualismo indifferente e spietato…, l’individualismo radicale è il virus più difficile da sconfiggere”.
“Individualismo” è una parola ideologica che la pandemia ha smentito: siamo tutti connessi e “sulla stessa barca”. Abbiamo bisogno di avere una visione planetaria della sopravvivenza e acquisire la consapevolezza che “o ci salviamo tutti o nessuno si salva”.
Papa Francesco, nella Lettera Enciclica Fratelli tutti, ci ricorda che “bisogna guardare al globale, che ci riscatta dalla meschinità casalinga” e che il mondo non è “un museo folkloristico di eremiti localisti, condannati a ripetere sempre le stesse cose, incapaci di lasciarsi interpellare da ciò che è diverso e di apprezzare la bellezza che Dio diffonde fuori dai loro confini”. Non si tratta solo della constatazione di un comune destino, che può essere di gloria o di fallimento, ma è la carica generativa che spinge a prendersi cura gli uni degli altri. A nessuno sfugge il messaggio che ci viene dal detto che ci consegna la saggezza popolare: “Il battito d’ali di una farfalla può provocare un uragano dall’altra parte del mondo”.
Il Covid-19 non ha risparmiato nessuno, ha valicato frontiere culturali, religiose, politiche, etniche e geografiche. Una grande lezione sul concetto di famiglia umana e di amicizia sociale, la cui radice risiede nell’universale riconoscimento della dignità umana e dei diritti fondamentali. Non possiamo alimentare, come ci dice Papa Francesco, la tragica illusione di alcuni di sentirsi “sani in un mondo malato”.
I provvedimenti determinati dalla necessaria strategia anti-contagio con le restrizioni che viviamo e l’impossibilità di incontri e di assembramenti, accentuano il distanziamento, ma non possono inquinare o indebolire la disposizione di ogni essere umano all’incontro e alla relazione. La presente fragilità ha smascherato l’inaffidabilità di una cultura egemone che ignora l’umanesimo: l’economia, l’educazione, le relazioni, sono poste sotto l’assedio di una vulnerabilità che può essere risanata solo ponendo al centro la persona umana e la sua dignità, che si esprime nella solidarietà. Ora, più che mai, abbiamo bisogno di senso, di motivazioni, di incontro e di coraggiosi e audaci tentativi per rimettere insieme i frammenti di una spiritualità che aiuti ad orientarci in tanta confusione, per scoprire che in ogni successo ed in ogni progresso la misura deve restare sempre la persona umana: non il denaro, né il profitto o la tecnologica, neppure la convulsa infodemia, ma l’uomo con la sua matrice divina che gli suggerisce allo stesso tempo l’origine e la destinazione finale.
Siamo a Natale, un evento di fede che il mondo occidentale fa coincidere, purtroppo, anche con il tentativo di un rilancio del trend dei consumi. In questa congiuntura pandemica quando si parla di salvare il Natale, ci si riferisce piuttosto all’aspetto economico e finanziario, con i consumi e le convulse corse spenderecce. Il Covid-19, in qualche modo, ha posto fine a questo modo di vivere il Natale. Sarà una rinnovata occasione per creare modalità di prossimità che ci aiutino a dare senso agli enormi sforzi per continuare a sperare. Quanti sono soli, vivono da dimenticati, esclusi, quanti confinati nelle periferie esistenziali! A Natale si inaugura la cultura dell’incontro che si oppone alla logica dello scarto e della ingiustizia.
Papa Francesco ci ricorda che nelle periferie Dio chiede di essere riconosciuto: “gli ultimi ingannati e abbandonati a morire nel deserto; sono gli ultimi torturati, abusati e violentati nei campi di detenzione; sono gli ultimi che sfidano le onde di un mare impietoso; sono gli ultimi lasciati in campi di un’accoglienza troppo lunga per essere chiamata temporanea. Essi sono solo alcuni degli ultimi che Gesù ci chiede di amare e rialzare. Purtroppo le periferie esistenziali delle nostre città sono densamente popolate di persone scartate, emarginate, oppresse, discriminate, abusate, sfruttate, abbandonate, povere e sofferenti”. La teologia dell’incontro supera le paure e oltrepassa le frontiere, è il senso autentico del Natale.
Recentemente il giornalista Giorgio Paolucci, sul quotidiano Avvenire, ha scritto: “In questi giorni da più parti si dice che ‘dobbiamo salvare il Natale’… ma quello che accade ci sfida a riconoscere che forse abbiamo bisogno di essere salvati noi dal Natale, di aprire il cuore al Dio che si è fatto compagno di strada dell’umana fragilità abbracciandola con un Amore più grande di quello che l’uomo è capace di produrre”.
Con sguardo di fede dobbiamo ricomprendere la cifra del mistero dell’Incarnazione e della Redenzione, con tutte le conseguenze, e lasciarci guidare dall’amore provvidente di Dio. A Natale si rivela Dio, con la potenza di tutta la sua predilezione di amore. A nulla possono valere i nostri discorsi intrisi di sentimentalismo sulla grotta, la mangiatoia, il freddo e il gelo, se sono diventati solo recinti del nostro egoismo e perciò ostacoli per incontrare il vero volto di Dio e dell’uomo nostro fratello. La scrittrice Alda Merini, con amaro realismo, in una sua poesia annota: “A Natale non si fanno cattivi pensieri ma chi è solo lo vorrebbe saltare questo giorno“. Aiutiamo a non saltare il Natale!