RIBERY: Apologia per un campione eclettico.

da Antonio Cortese  (giornalista)

 

Frank Ribery è il primo “straniero” di vero peso internazionale della storia sportiva a Salerno. Ingresso e presentazione alla Maradona, un calcio al palloncino verde che dà il via alla corsa, tacchetti sull’erba, al campionato. La profusione di affetto iniziale ha incondizionatamente puntato l’ottimismo sull’uomo-squadra che è sempre mancato, almeno sui palcoscenici di massima serie ancora in attesa. Le sue caratteristiche appartengono però alla più originale concezione del calcio giocato che vogliono davvero i suoi tifosi. Niente pailletes o vetrine da fashion star per un calciatore che Pablo Picasso avrebbe già immortalato. Non è una battuta infantile ma é reale costituzione fisica di un play maker che così mimetizza classe e forza che neanche un boxer da combattimento saprebbe dimostrare alle prese con gli avversari. Egli stesso ha dichiarato la sua volontà di andare fiero delle proprie cicatrici diversamente da altri campioni che nel tentativo di farsi valere di più si tatuano anche le teste di morte. Magari col sopraggiungere dei successi in una realtà di provincia, che provincia non è più, saprà liberamente pensare se farsi bello per la sera. Nel frattempo, ora, l’importante è correre con la velocità di una gazzella, la forza di una tigre e l’agilità di una murena; come un campione di football americano prestato al mondo del calcio, che sappia pennellare di granata la rete in fondo alla meta.

 

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