Il Consiglio di Stato,in sede giurisdizionale, con ordinanza del 17 settembre 2021 ha ritenuto che la richiesta di green pass non viola il diritto alla riservatezza sanitaria ed ha respinto l’appello cautelare.

 

Dr. Pietro Cusati (giurista – giornalista)

Dr. Pietro Cusati

Roma ,18 settembre 2021 .Il Consiglio di Stato,in sede giurisdizionale ,Sezione Terza, con ordinanza del 17 settembre 2021 ,ha ritenuto che la richiesta di green pass non viola il diritto alla riservatezza sanitaria ed ha respinto l’appello cautelare. Con il ricorso di primo grado gli  appellanti hanno impugnato il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 17 giugno 2021, contenente le disposizioni attuative relative al sistema di prevenzione, contenimento e controllo sanitario dell’infezione SARS-CoV-2, mediante l’impiego della certificazione verde COVID-19 (cd. “Green pass”), chiedendone l’integrale sospensione dell’efficacia. Gli appellanti lamentano la lesione del loro diritto alla riservatezza sanitaria, il rischio di discriminazioni nello svolgimento di attività condizionate al possesso della certificazione verde, nonché il pregiudizio economico derivante dalla necessità di sottoporsi a frequenti tamponi. Gli appellanti sostengono il contrasto dell’impugnato DPCM, nonché della normativa primaria su cui esso si basa, con la disciplina dell’Unione europea e con la Costituzione italiana, con particolare riferimento alla protezione dei dati personali sanitari. Il Consiglio di Stato  ha ritenuto che la pronuncia cautelare di rigetto, adottata in primo grado, merita di essere integralmente confermata, quanto alla dichiarata carenza di una adeguata rappresentazione, ad opera della parte ricorrente, del periculum in mora, connotato dagli indispensabili requisiti di gravità ed irreparabilità, atteso che, da un lato, il prospettato rischio di compromissione della sicurezza nel trattamento dei dati sensibili connessi alla implementazione del cd. Green pass appare rivestire carattere meramente potenziale (non potendo ritenersi insito, ai presenti fini e per la sua astrattezza, nella qualificazione come “attività pericolosa” del trattamento dei dati, ex artt. 15 d.lvo n. 196/2003 e 2050 c.c. Gli appellanti, dichiarandosi contrari alla somministrazione del vaccino, nel pieno esercizio dei loro diritti di libera autodeterminazione, non subiscono lesioni del diritto alla riservatezza sanitaria in ordine alla scelta compiuta, dal momento che l’attuale sistema di verifica del possesso della certificazione verde non sembra rendere conoscibili ai terzi il concreto presupposto dell’ottenuta certificazione (vaccinazione o attestazione della negatività al virus).La graduale  estensione della certificazione verde ha oggettivamente accelerato il percorso di riapertura delle attività economiche, sociali e istituzionali. Il “green pass” rientra in un ambito di misure, concordate e definite a livello europeo e dunque non eludibili, anche per ciò che attiene la loro decorrenza temporale, e che mirano a preservare la salute pubblica in ambito sovrannazionale per consentire la fruizione delle opportunità di spostamenti e viaggi in sicurezza riducendo i controlli.Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale ,Sezione Terza,ha respinto l’appello cautelare. L’ordinanza del

17 settembre 2021  ha chiarito  che gli appellanti, dichiarandosi contrari alla somministrazione del vaccino, nel pieno esercizio dei loro diritti di libera autodeterminazione, non subiscono lesioni del diritto alla riservatezza sanitaria in ordine alla scelta compiuta, dal momento che l’attuale sistema di verifica del possesso della certificazione verde non sembra rendere conoscibili ai terzi il concreto presupposto dell’ottenuta certificazione ,vaccinazione o attestazione della negatività al virus.​​​​​​​Ha aggiunto che l’impugnato d.P.C.M. 17 giugno 2021, contenente le disposizioni attuative dell’art. 9, comma 10, d.l. 22 aprile 2021 n. 52 ha ad oggetto la definizione degli aspetti di regolamentazione tecnica dell’istituto del cd. Green pass, in attuazione della disposizione normativa delegante (art. 9, comma 10, d.l. n. 52 del 2021), essendo ad esso estranei, invece, i contenuti regolatori, inerenti alle attività sociali, economiche e lavorative realizzabili dai soggetti vaccinati, o in possesso di un’attestazione di “negatività” al virus, cui gli appellanti riconducono i lamentati effetti discriminatori: contenuti che sono propri di atti aventi forza di legge (in particolare, dd.ll. nn. 105 del 2021 e 111 del 2021), la cognizione della cui compatibilità, costituzionale ed unionale, non potrebbe essere devoluta, recta via ed in mancanza di eventuali specifici atti applicativi di cui siano destinatari gli odierni appellanti, al giudice amministrativo adito in sede cautelare, nemmeno al fine di investire delle relative questioni i Giudici (costituzionale ed europeo) competenti, fermi restando gli ulteriori approfondimenti che il giudice di primo grado svolgerà in fase di merito.

 

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