Ci sarà, questa volta, un nuovo giorno?

 

prof. Nicola Femminella (scrittore)

Il mezzogiorno

Continua a esercitare un forte richiamo la Questione Meridionale, così come si è evidenziata dall’Unità d’Italia  e cresciuta fino ai nostri tempi, determinando, senza giri di parole, due Italie, con differenti condizioni socio- economiche, di cui uno degli specchi che la riflettono è il fenomeno dell’emigrazione, diffuso soprattutto nel Meridione. Milioni di Italiani hanno lasciato le regioni del sud, indirizzando i propri passi verso paesi stranieri, con flussi abbondanti diretti al nord. Oggi tocca ai laureati e diplomati lasciare i patri lidi. Una emorragia spesso purulente per tante conseguenze e ricadute sofferte su famiglie e persone singole. Oltre a procurare lo spopolamento delle zone interne. Evidentemente la mancanza di lavoro e condizioni precarie di vita ne hanno determinato il numero elevato, che desta meraviglia in chi apprende per la prima volta il carico gravoso del fenomeno sulle nostre comunità.

Sono andato sempre alla ricerca delle cause, che hanno determinato, nel corso dei decenni, il ritardo dell’economia nel Mezzogiorno d’Italia, rispetto a quella che si è sviluppata in quasi tutte le regioni del settentrione, dove sono stati raggiunti, dalla fine del secondo conflitto mondiale ad oggi, in quasi tutti i settori produttivi, indici e livelli di crescita uguali a quelli delle zone europee più all’avanguardia, con pil e consistenze occupazionali di gran rilievo.

Si poteva certamente fare di più nei decenni passati, mentre il divario tra nord e sud cresceva e si affermava. Gli storici più avveduti non danno tutte le colpe a coloro che ci hanno governato, anche se costoro risultano primi nell’elenco dei colpevoli. I numerosi corpi sociali, che formano il tessuto del Paese, soprattutto quelli consapevoli delle svolte necessarie da intraprendere e adottare, per invertire la rotta, avrebbero dovuto correggere indirizzi errati o utilizzare al meglio le circostanze favorevoli allo sviluppo, quando si sono avute a portata di mano. Inoltre, anche le singole persone, nell’ambito del proprio diritto alla cittadinanza, avrebbero dovuto porre sul campo, nella prassi quotidiana, ogni grado di responsabilità al servizio della propria terra e a favore delle generazioni più giovani, attivando una partecipazione attiva per il bene comune. Sovente, però, hanno concentrate le proprie energie solo sulla salvaguardia degli interessi privati.

Ricordo un esempio, tra i tanti di cui è intessuta la storia del Meridione: la legge 219, del 1981, emanata subito dopo il terribile sisma dell’80, riportava nel titolo fortemente indicativo: “Provvedimenti organici per la ricostruzione e lo sviluppo dei territori colpiti”. Partecipai a molte riunioni, come rappresentante del Comune di Sassano, presente anche il Commissario del Governo Giuseppe Zamperletti, che si tennero dopo il terremoto. Non mancai di avvertire i presenti che le conseguenze nefaste di quell’evento terribile potevano segnare un momento di riscatto delle terre martoriate, impiegando le ingenti risorse destinate alle zone terremotate, anche per promuovere iniziative imprenditoriali, volte allo sviluppo occupazionale delle zone interessate. Si andò in altra direzione, poiché la maggioranza dei cittadini, tecnici e politici si concentrarono sulle costruzioni private, finanche su quelle, che nessun danno avevano subito dalle scosse.

Prof. Nicola Femminella - scrittore

In tutti questi anni ci sarebbe voluta una maggiore coesione sociale e una navigazione più accorta, con tutti gli addetti intenti a remare, per raggiungere porti sicuri. Ad iniziare dalle agenzie educative che avrebbero dovuto realizzare i propri compiti formativi, soprattutto quando nel 1962, con la legge 1859, fu istituita la scuola media per tutti i cittadini, con l’intento di elevare il tasso culturale nell’intero Paese, senza escludere chicchessia, e potenziare così lo spirito di iniziativa, la partecipazione e il protagonismo delle nostre masse giovanili.  È un peccato, mi ripetono amici tedeschi, che il sud non progredisca con lo stesso ritmo del nord, perché, a cominciare da Napoli e Palermo, la storia e la natura vi hanno concesse ricchezze inestimabili. Aggiungono che il problema è simile a quello che loro hanno avuto per la Germania dell’Est, quando, con la caduta del muro di Berlino nell’89, c’era da superare e condurre a buon esito il divario economico tra le due germanie, finalmente riunite il 3 ottobre 1990. Nel loro Paese il processo di unificazione economica è stato nel complesso portato a termine nel migliore dei modi e oggi i giovani dell’est non hanno alcuna difficoltà a trovare lavoro e non emigrano nella parte occidentale, come nei primi anni dopo il 1990.

Ma è tempo di lasciare il passato e affrontare il presente e il futuro, senza ripetere errori e assumere colpe aggiuntive. Riconduciamo la questione ai giorni nostri. Lo scenario che ci vede coinvolti, secondo il mio modesto parere, contiene tre elementi certi da cui partire.

1) La pandemia sembra allentare la minaccia sull’intero paese ed è utile che se ne colgano alcuni insegnamenti, per costruire maggiore vicinanza tra di noi e con le istituzioni, anche se l’ennesima divisione nociva tra la popolazione dei vaccinati, dei no vax e dei green pass riporta il tessuto sociale sulla strada dei contrasti laceranti e della disgregazione sociale. Non si cambia registro con le schiere contrapposte né la violenza contribuisce a farne un solo esercito coeso. La pandemia potrebbe darci impulsi fruttuosi, per cambiare strada e ricavare qualche utilità dai morti e dai danni all’economia, che essa ha procurato. Ognuno abbandoni gli atti immotivati, fuori dalle regole o dettati da centrali occulte, e compia il proprio dovere, lavorando per l’unità di intenti e il bene comune. I partiti politici diano per prima una immagine costruttiva e facciano tesoro dello schiaffo ricevuto dal non voto alle recenti elezioni. E per tutti noi, forse, si rende necessario limitare l’uso di Face Book, che io immagino come una immensa montagna calcarea, fatta di minutissime grotte, dove ognuno si rifugia per proclamare la propria verità e il convincimento radicale delle sue ragioni. Si torni al confronto delle idee e all’ascolto e comprensione delle altrui opinioni, per giungere ad una sintesi, presupposto per ricercare e definire le soluzioni giuste e utili alle comunità.

2) Si ipotizza una crescita del pil del 4%, che potrà imprimere all’economia un poderoso balzo in avanti. Non mettiamo bastoni paralizzanti tra le ruote, ma immettiamo energia propulsiva nel motore, per eguagliare le cifre della crescita dei paesi più virtuosi. Facciamolo lievitare al 6% con la concordia e non abbassiamolo al 2% con i tumulti divisivi. L’Italia ha le risorse sufficienti, per spiccare salti in avanti e, quando si è trovata a mal partito, ha espresso il meglio di sé. Questa estate si sono raggiunti nello sport traguardi luminosi, inattesi. Prendiamoli come esempio, per esprimere pulsioni propositive che, unite a determinazione e impegno, possano far risaltare le nostre potenzialità in tutti i campi e utilizzare al meglio la bella Italia.

3) I miliardi del Ricovery Fund. La quota spettante al sud del 34%, giunge sì in soccorso dei danni provocati dal Covid, ma deriva anche da una spartizione, che ha tenuto conto della popolazione, del divario di prodotto interno lordo e del tasso di disoccupazione. La ministra per il Sud e la coesione territoriale, Mara Carfagna, il 23 e 24 marzo scorso, ha organizzato per i sindaci del sud gli Stati Generali del Mezzogiorno, dai quali traggo stralci di enunciati di alcuni partecipanti:

Luigi de Magistris, sindaco di Napoli e vicepresidente Anci:  “… Il Mezzogiorno e i suoi sindaci si faranno trovare pronti per affrontare la sfida del Recovery Fund. … Avere dei progetti, condivisi con il territorio, approvati in tempi rapidi potrà favorire anche la ricostruzione del tessuto di coesione sociale che si è sfilacciato in questi anni: sarebbe un bel messaggio per l’immagine che l’intero Paese, unito nelle istituzioni, potrà proiettare verso l’esterno…”

Il sindaco di Ravenna e presidente dell’Upi, Michele De Pascale: “L’Italia negli ultimi vent’anni – ha ricordato – ha accumulato un ritardo significativo, su molti indicatori economici e sociali, nei confronti delle altre principali economie dell’Europa. Il Mezzogiorno, in questo trend, ha visto a sua volta aumentare il divario con le aree economicamente e socialmente più forti del Paese. Tuttavia, il ritardo complessivo dell’Italia si supera solo tenendo insieme il Paese, in una strategia di sviluppo comune e condivisa che valorizzi le complementarità, le interrelazioni e le interdipendenze tra Nord e Sud”.

Mi auguro che le parole dei due sindaci siano state tenute nella giusta considerazione nel programmare i provvedimenti più illuminati in risposta al Recovery Fund, perché la Comunità Europea ci chiede una progettualità di qualità e l’assoluto rispetto dei tempi, nonché la restituzione di buona parte delle somme concesse.  E su questi piani spesso abbiamo mancato, se si considerano i fondi europei non spesi o spesi male.

Sembra che queste condizioni, sgravate degli aspetti negativi, potrebbero arrecare un futuro prossimo più risolutivo alla Questione Meridionale. Non l’abbiamo fatto dalla fine della seconda guerra mondiale, nonostante le ingenti rimesse dei nostri emigranti sparsi nel mondo. Spero che da qui lo si faccia con il concorso di tutti.

 

 

 

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