La narrativa russa della guerra 6: la via diplomatica

 

scritto da Luigi Gravagnuolo il 28 Luglio 2022 per Gente e Territorio (Cava)

 

 

La nuova geografia dopo gli accordi di Minsk del 2014-2015

Le accuse reciproche tra Russi ed Ucraini di indisponibilità alla via diplomatica per mettere fine alla guerra trovano, volta per volta, conferme per entrambi i contendenti.

Abbiamo ricordato su queste colonne come il Memorandum di Budapest del 1994 sia stato disatteso da parte russa e come gli Accordi di Minsk 1 e 2 del ’14-’15 siano stati violati per otto anni da entrambe le parti.

Quanto alle responsabilità ucraine a questo riguardo, incontestabili, ne abbiamo una testimonianza diretta dal nostro Presidente del Consiglio dei Ministri di quel tempo, Matteo Renzi. Questi ha ricordato più volte come, nella sua qualità, provò a suggerire alle parti il ‘modello Tirolo’ per le regioni contese del Donbass e del Luhans’k, trovando disponibile la Federazione russa, ma indisponibile il governo ucraino. Gli Accordi di Minsk, grosso modo, ricalcavano lo spirito del modello Tirolo, non furono perciò bene accetti agli Ucraini che non se ne sentirono vincolati, pur avendoli sottoscritti. Così come sono stati innumerevoli, quasi giornalieri dal ’15 al febbraio ‘22, i rapporti dell’OSCE, garante degli accordi di Minsk, sulle violazioni da entrambe le parti.

In realtà i due belligeranti si conoscono bene e non si fidano gli uni degli altri. Ed è davvero arduo trovare un’intesa tra due contraenti, entrambi pronti a sottoscrivere un impegno oggi ed a contravvenirlo domani.

Ne abbiamo avuto una conferma anche dopo il 24 febbraio, giorno dell’invasione. Da subito, già il 28 febbraio, non appena i Russi dovettero prendere atto che la guerra lampo per la conquista di Kiev e la sostituzione del governo Zelens’kyj con uno filorusso era fallita, le parti si incontrarono a Brest, nella regione bielorussa di Gomel, al confine con l’Ucraina, per verificare la possibilità di un compromesso, finalizzato quanto meno all’apertura di corridoi umanitari e, se possibile, ad un cessate il fuoco.

Il capo della delegazione russa, l’ultranazionalista Vladimir Medinskij, sedendosi al tavolo ebbe preliminarmente a dichiarare che ‘la delegazione russa è pronta a negoziare con l’Ucraina tutto il tempo necessario per raggiungere un accordo’ ed il delegato ucraino, Oleksij Reznikov, per parte sua, chiedeva un cessate il fuoco immediato ed il ritiro delle truppe russe dal suolo ucraino.

Si sa come andarono le cose, meno di un paio di giorni e già il tentativo era naufragato. I Russi, mentre trattavano, perpetravano l’eccidio di Bucha; un membro della delegazione ucraina, Denis Kireyev, veniva ucciso, non si è ancora capito se giustiziato dagli Ucraini perché sospettato di essere una spia o da sicari russi; sul campo infuriavano i combattimenti, che non risparmiavano residenze civili, ospedali, scuole, luoghi di culto. Certo non il clima ideale per ‘negoziare tutto il tempo necessario per raggiungere un accordo’. A meno che parlando del tempo necessario per raggiungere l’accordo, Medinskij non intendesse la resa incondizionata degli Ucraini.

Da allora è stato un susseguirsi di inganni e di dinieghi alla via diplomatica: dai famosi corridoi umanitari per l’evacuazione dei civili, prima garantiti e poi bombardati, ai tentativi di mediazione di Papa Bergoglio, dei Turchi, degli Israeliani, di Macron e dell’ONU naufragati, fino alle palesi provocazioni a sberleffo dell’ONU. Il giorno 27 aprile, dopo essere stato ricevuto a Mosca dal Presidente Putin, da cui a suo dire aveva ricevuto attenzione, il Segretario Generale dell’ONU, Antonio Guterres, si recò a Kiev per riferirne al governo ucraino. Il giorno dopo, mentre assieme al Presidente ucraino Zelens’kyj stava tenendo la conferenza stampa sull’esito di detti colloqui, fu raggiunto, a pochi passi dal luogo dove si trovava, da due missili russi. Sbigottito, il buon Guterres se ne disse ‘scioccato’ e, sconsolato, dichiarò alla CNN: ‘La guerra non finirà con le riunioni, la guerra finirà quando la Federazione Russa deciderà di finirla’. E solo quattro giorni fa, appena sottoscritto tra le parti l’accordo per la ripresa dell’esportazione del grano dai porti ucraini – accordo controfirmato dal Presidente turco Erdogan e da Antonio Guterres – il porto di Odessa è stato fatto oggetto di un bombardamento russo mirato proprio ai silos del grano.

Inaffidabilità di Putin? Scollamento tra la direzione politica della Federazione russa ed il suo comando militare in Ucraina? Divergenze interne alla gerarchia militare russa? Il braccio destro che non sa cosa fa il sinistro? Tutte le ipotesi sono plausibili, certo è che è davvero complicato perseguire una via diplomatica tra parti che non hanno voglia o non sono in grado di dare seguito agli impegni che assumono.

In conclusione, e per andare alla sostanza, gli Ucraini non sono disponibili ad accettare alcun accordo che non preveda il ritiro dell’esercito russo nei propri confini ed i Russi non recedono dall’obiettivo di annettere alla loro Federazione tutta l’Ucraina, parte integrante ed ineludibile del proprio ‘spazio vitale’. La questione, purtroppo, pare destinata a trovare una soluzione solo sul campo di battaglia, laddove per ora tutto sembra volgere verso l’annessione alla Russia delle regioni orientali dell’Ucraina e della Crimea, restando alla Repubblica ucraina l’Occidente.

Nessuno può oggi sapere se effettivamente questa sarà la conclusione, ma ancora una volta la narrazione moscovita, questa volta di una Federazione russa rispettosa del diritto internazionale e desiderosa di un’intesa diplomatica contro la quale si opporrebbe con cocciuta ostinazione la Repubblica ucraina, contiene segmenti di verità coperti da omissioni, travisamenti e stravolgimenti della realtà a fini propagandistici.

Ed è questo impasto di verità e di mistificazioni il tratto costante del racconto russo degli eventi. Di quelli di quest’anno e di quelli della storia dei secoli passati.

 

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