I Bronzi di Riace dimenticati ,cinquanta anni fa, il 16 agosto del 1972, il ritrovamento nella spiaggia di Riace Marina, sullo Ionio Reggino, sono considerati tra le testimonianze più significative dell’arte greca classica .

 

Pietro Cusati

Il ritrovamento dei bronzi di Riace,considerati tra le testimonianze più significative dell’arte greca classica, ha segnato un punto di svolta nella storia e nel patrimonio dell’archeologia ellenistica in Calabria e non solo. Due statue bronzee raffiguranti due uomini completamente  nudi ,con barba e capelli ricci,originariamente armati di scudo e lancia,divenuti simbolo della Città di Reggio Calabria. Le due statue ,ritengono gli studiosi, che sono state eseguite ad Argo, nel Peloponneso, come ha dimostrato l’esame delle terre di fusione eseguito dall’Istituto Centrale del Restauro di Roma. Le due statue sono di bronzo, dallo spessore molto tenue, tranne alcuni particolari in argento, in calcite e in rame. Sono in argento i denti della Statua A. In rame sono stati realizzati i capezzoli, le labbra e le ciglia di entrambe le statue, oltre che le tracce di una cuffia sulla testa del Bronzo B. In calcite bianca è la sclera degli occhi, le cui iridi erano in pasta di vetro, mentre la caruncola lacrimale è di una pietra di colore rosa. Un fatto non da poco, la scoperta fatta a 200 metri dalla spiaggia e ad una profondità di 8 metri, da un  sub che, durante un’immersione, aveva scorto le due statue parzialmente coperte dalla sabbia. Le opere, risalenti con tutta probabilità alla metà del V sec. a.C. e alte rispettivamente 1,98 e 1,97 metri, certamente realizzate ad Argo nel Peloponneso come venne poi accertato dall’analisi delle terre di fusione, una volta recuperate, si presentarono in un eccellente stato di conservazione. Le due statue  creazioni della bronzistica greca da ascriversi alla grande tradizione artistica del V sec. a.C.  Nel 1975 i guerrieri furono trasportati a Firenze dove c’erano attrezzature e personale con esperienza nel campo della conservazione dei reperti metallici di provenienza archeologica. Le attività di restauro furono complesse, durarono otto  anni  e si conclusero con una prima esposizione a Firenze (dicembre 1980-gennaio 1981) e poi a Roma al Quirinale (giugno-luglio 1981). “Mio padre Giuseppe era un calabrese al cento per cento ,ha raccontato  Alessandro Foti,il figlio dell’ex Soprintendente archeologico per la Calabria  e in quell’agosto del ’72 di ritorno da un viaggio in nave lungo le coste del Mar Nero fatto in famiglia, ricordo ancora gli occhi di mio padre accesi di contentezza mista a stupore e meraviglia davanti alle foto delle due statue che avrebbero dato nuova vita al museo di Reggio Calabria. Durante quel viaggio tra Odessa e la Crimea, quando possibile, papà era stato in contatto telefonico con gli operatori del recupero ma vedendo quelle immagini non era riuscito a trattenere la forte emozione”. Giuseppe Foti era tornato in Calabria, prima lavorava a Villa Giulia a Roma, nel dicembre del ’60 come direttore del Museo archeologico nazionale di Reggio e poi era stato nominato Soprintendente archeologico per la Calabria. Rimase in carica fino al 30 giugno dell’81, giorno della sua morte a soli 59 anni”.  ” Mio Padre riconobbe le due statue come creazioni della bronzistica greca da ascriversi alla grande tradizione artistica del V sec. a.C. – ha detto  Alessandro Foti – e dopo il primo intervento per la desalinizzazione nella Soprintendenza calabrese, per il restauro scelse il laboratorio della Soprintendenza archeologica della Toscana.

 

 

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