Elisabetta II e il mito dell’eterna Virtù

 

 

da Angelo Giubileo

(avvocato-scrittore)

 

Quattro miliardi di persone avrebbero partecipato in presenza e a distanza, mediante i canali tv e internet, alla cerimonia tradizionale di addio alla regina inglese, Elisabetta II. Un evento pertanto epocale, che ha avuto il pregio essenziale di mettere la realtà delle cose di nuovo al centro delle nostre vite. Altro cioè che i quotidiani mondi virtuali di internet, a cui sembrava che ci fossimo definitivamente assuefatti. Un mondo “reale”, dominato dalla vita e dalla morte della regina, madre di tutti i cittadini del Commonwealth britannico, e madre di una più antica tradizione. Un mondo partecipato da tutti, amici e nemici, a eccezione di pochissimi esclusi, tra cui Putin, il leader della Russia, che ha definito tale atto di esclusione, “immorale”. Così come lo avrebbero giudicato i più antichi saggi taoisti della Cina imperiale, cantori della Virtù originale (cfr. M. Granet).

A corredo di tutto, dunque, e salvo tale residuo mancato, le immagini di un’antichissima Tradizione fatta di suoni, come quello della cornamusa al termine dell’intero protocollo celebrativo, immagini – di paesaggi naturali, cattedrali, torri, bandiere e stemmi di antichissimi casati -, parole, ma soprattutto silenzi. Ma sarebbe meglio dire: il silenzio, che appartiene, come re e sovrano, al destino di ogni essere umano.

 

 

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