Ma lei, dove arbitra?

Chi non ricorda la voce di Sandro Ciotti esclamare alla radiolina “Arbitra, Pietro D’Elia da Salerno…”. La questione odierna sul sesso degli arbitri ha fatto discutere quelli del regolamento corretto. La stessa protagonista che ha esordito nella massima serie di calcio giocato italiano, Maria Sole Ferrieri Caputi, alle interviste ha dichiarato di non sapere né voler fare differenza o importanza su come la si potesse definire professionalmente.  Di norma la voce del verbo arbitrare vuole che sia un arbitro, perché “arbitra” é la terza persona singolare come appunto gli speaker radiofonici o televisivi  dicono prima, durante e dopo il commento di una partita. Non si tratta quindi della solita querelle come nel caso tra avvocato e “avvocata”, ( al femminile detiene ancora un’accezione più religiosa nella nostra cultura, per declinare volgarmente ad avvocatessa) o preside e presidentessa, poiché un match sportivo é regolamentato da chi arbitra, o che stia arbitrando; ma non si può dire “L’arbitra” perché in semplice grammatica significa che  qualcuno “la arbitra” senza apostrofo come ad esempio, parafrasando nello scritto il parlato, “l’attacca” più sbrigativamente di “lo attacca”. Ancora più esattamente l’articolo é normale che lo si trovi davanti al sostantivo “arbitraggio; dire però “l’arbitra” come diceva Ciotti va bene nel caso ad esempio:“ Salernitana- Torino, l’arbitra tizio, guardalinee, caio e sempronio, al var Catone il censore”. Il var non c’era ai tempi di Ciotti e nemmeno negli anfiteatri di Roma antica, ma essendo il var un acronimo, “la varista”, d’altro canto, si può dire.

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