RUGGI: magistratura, stampa, utenti e sanità pubblica … un rapporto difficile

 

Aldo Bianchini

SALERNO – L’ultimo caso di “presunta mala sanità” accaduto all’interno dell’Azienda Ospedaliera Universitaria San Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona (meglio nota come RUGGI) riporta prepotentemente alla ribalta l’antica questione del difficile rapporto tra magistratura – stampa – utenti e sanità pubblica.

Questa difficoltà nei rapporti determina danni incalcolabili per l’immagine della sanità pubblica in genere e per il Ruggi in particolare. Un danno che, a voler essere estremamente sinceri, è prodotto più dalla stampa locale assetata di notizie con titoloni ad effetto che dalla magistratura sempre abbastanza attenta, in molti casi, a non andare oltre quello che è la giusta e doverosa  indagine. Difatti nella stragrande maggioranza dei casi gli indagati vengono addirittura prosciolti in sede istruttoria e se non fosse per il clamore suscitato dai media tutto sarebbe riconducibile nella norma. Invece sul terreno restano feriti gravi ed anche cadaveri (si fa per dire !!) di medici e di paramedici che sono costretti a vivere incubi inenarrabili in cui vengono coinvolte anche le rispettive famiglie.

Uno degli ultimi casi è accaduto, tanto per cambiare, qualche giorno fa al Ruggi di Salerno con la morte di una signora sessantenne (Maria G. – 61 anni) che era stata oggetto di intervento chirurgico di isterectomia; intervento effettuato dal prof. Antonio Mollo (notissimo chirurgo del Dipartimento di Medicina – Chirurgia e Odontoiatria “Scuola Medica Salernitana”) nel reparto di ginecologia.

Nei giorni scorsi diverse testate giornalistiche hanno eclatato la notizia della morte della malcapitata Maria come un “caso di malasanità” (l’ennesimo in questo periodo nel Ruggi, sempre secondo la stampa).

Fa parte del gioco, potrebbe dire più di qualcuno: la notizia viene diffusa, anche in maniera distorta, i giornali la pubblicizzano, semmai la magistratura indaga e tutto finisce, poi, a tarallucci e vino.

Nel caso di specie, però, non è così perché c’è un valore aggiunto forse mai accaduto prima d’ora: i familiari della de-cuius scrivono e sottoscrivono una lettera aperta che la Direzione Generale del Ruggi (guidata dal dr. Enzo D’Amato) senza alcun accenno polemico diffonde a tutte le testate giornalistiche locali grazie all’ottimo lavoro della portavoce Maria Romana Del Mese:

  • Lettera pervenuta dalla famiglia D’Agostino, in data 16 febbraio, in seguito al decesso di una loro congiunta. “Non abbiamo intenzione di presentare nessuna denuncia questo sia chiaro. Ci sono state fughe di notizie completamente lontane dalla realtà, lei è deceduta per delle patologie pregresse e non certo per un problema legato all’intervento di isterectomia effettuato a Salerno dal professore Mollo. I problemi di salute di mia mamma, si sono complicati bensì in un intervento effettuato a Roma diverso tempo fa. Ciò che ci fa oltremodo male, oltre all’immenso dolore per la morte della nostra cara, è vedere menzionati illustri specialisti, infangati ingiustamente, come nel caso specifico del Professore Mollo, che ci è stato vicino seguendo una linea perfetta dal punto di vista professionale e ancor di più sotto il profilo umano. Il paradosso è che l’intervento di cui si parla, è andato come doveva andare, poi sono sorte altre complicanze”.

Tutto chiarito e finito ? Macchè, la resistenza va oltre la resilienza ed alcuni giornali, invece di plaudire a questo nuovo modo di vedere la sanità pubblica da parte degli utenti, machiavellicamente nel mentre danno la notizia senza commento della lettera affiancano il caso di specie ad altri casi di presunta malasanità; quasi come a dire che il coraggio della famiglia D’Agostino è soltanto un’eccezione che conferma la regola di un Ruggi ormai allo sbando sul piano sanitario, come fosse una struttura pericolosa per la salute pubblica.

Resto basito; capisco che la ricerca dello scoop è affannosa e che le risorse economiche della stampa sono ormai agli sgoccioli, ma si può vendere di più anche chiedendo scusa e ricominciando daccapo.

 

 

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