Tangentopoli (68): Fiat-Agnelli-Romiti e … il giorno della civetta

 

Aldo Bianchini

Nella foto da sinistra: Cesare Romiti (1923 - 2020) e Giovanni Agnelli (1921 - 2003)

SALERNO – Nel lungo racconto della “tangentopoli, trent’anni dopo” (siamo alla 68^ puntata) è doveroso soffermarsi anche sui fatti e/o misfatti nazionali che, comunque, determinarono eventi irripetibili e segnarono anche la visione ben determinata da parte dei magistrati rispetto alla definizione dei capi di imputazione che portano gli indagati in carcere o piuttosto sul lungomare.

Il giorno del 17 aprile del 1993, di trent’anni fa, è passato alla storia come “il giorno della civetta” per le sorti giudiziarie dell’industria automobilistica per antonomasia, la FIAT, e per le sue due eminenze grigie Gianni Agnelli (l’avvocato) e Cesare Romiti (lo “sgiafelaleon”, lo schiaffeggia leoni); anche se nella realtà storica il solo enorme protagonista diretto fu Cesare Romiti.

Il pool mani pulite di Milano è all’apice del successo e del consenso popolare, da tempo indaga sui tre soggetti precitati, l’ora delle decisioni irrevocabili è arrivata.

 

Ricostruzione desunta, in parte, anche dal racconto scritto  dall’ex magistrato del pool Tiziana Maiolo due giorni dopo la morte di Romiti: “”” … Il 17 aprile 1993 segnò l’ultima grande vittoria e la prima clamorosa sconfitta del pool, che aveva imposto il proprio potere, costringendo il più grande gruppo industriale italiano a trattare e poi a inchinarsi. Anche la Fiat portò a casa un gruzzoletto, perché ogni indagine sull’azienda quel giorno magicamente cessò. Le due autovetture della Guardia di Finanza attesero nel piazzale Mirafiori l’arrivo di Cesare Romiti scortato da due agenti; il manager sale sulla seconda autovettura ed il convoglio parte verso Milano, destinazione Procura della Repubblica. Le auto imboccano il casello torinese dell’A/4, l’ordine è tassativo e senza esitazione: Romiti deve arrivare subito al cospetto di Di Pietro, D’Avigo, Colombo e Borrelli per il primo interrogatorio dopo la notifica del mandato di cattura. Proseguono veloci le due autovetture ma dopo 62,5 chilometri si incanalano improvvisamente nell’uscita di Vercelli e cambiano senso di marcia ritornando verso Torino dove Cesare Romiti viene lasciato libero proprio nel posto dove era stato prelevato poco più di quaranta minuti prima. Pochi giorni dopo, lunedì 19 aprile, un aereo planò quasi su via Fatebenefratelli a Milano e sulla testa del questore Achille Serra. Portava Cesare Romiti all’interrogatorio. Non arrestato, non indagato, un semplice testimone, “persona informata dei fatti”. I magistrati arrivarono con lampeggianti e sirene non inferiori a quelle che normalmente accompagnano, immaginiamo, il Presidente degli Stati Uniti. Portiere sbattute, passi veloci, l’accoglienza del questore. Non si parla di reati, troppo volgare nei salotti buoni. Si parla di politica. L’amministratore delegato della Fiat tocca le corde giuste, ha studiato. Attacca frontalmente il nemico numero uno del pool, Bettino Craxi (detto il cinghialone). Ne ha anche per AndreottiCirino Pomicino. Il mio mito è Berlinguer, sussurra virtuosamente, e cita la “questione morale”. Che importa di Maurizio Prada o di quell’altro che ha detto come proprio il giorno precedente l’incontro in questura Romiti abbia bruciato un bel po’ di carte? Ormai il ghiaccio è rotto e tutti si vogliono bene, tanto che nel secondo interrogatorio Cesare Romiti stringe tra le mani la copia del Corriere della Sera dove lui stesso ha vergato parole dolci come il miele: “Aiutiamoli, questi giudici, stanno cambiando l’Italia” … “””.

Ha vissuto 97 anni, è morto il 18 agosto 2020. Non tutti hanno avuto il loro 17 aprile, Lui era speciale.

Cosa sia accaduto nel giorno della civetta del 17 aprile 93 sull’autostrada A/4 nessuno lo ha mai spiegato, anche se si sussurra di una convulsa telefonata tra Gianni Agnelli e Francesco Saverio Borrelli. Ma le ricostruzioni, anche fantasiose, di quel momento nel corso di questi tre decenni si sono succedute con un ritmo impressionante, l’una diversissima dall’altra.

L’ipotesi più accreditata, ancora oggi, è che quel giorno i tre pm e il procuratore capo furono messi di fronte ad una scelta precisa: Agnelli e Romiti sapevano delle malefatte commesse da alcuni loro subalterni già arrestati o non sapevano niente.

Scelsero, in piena autonomia e per libero convincimento, che i due grandi manager “potevano non sapere”, e la storia venne archiviata. Lati oscuri di tangentopoli ?

Ma la  “the day after tomorrow” (l’alba del giorno dopo) era ormai arrivata e un mcigno pesante come una montagna era caduto sulla credibilità del pool; del resto lo aveva anticipato il mitico segretario della DC Enzo Carra (1943 – 2023) quando in schiavettoni poco più di un mese prima (il 4 marzo 93) venne trascinato in aula davanti al pm Di Pietro; e già allora il mondo intero si era scandalizzato.

Per la cronaca Carra, qualche anno dopo, riferendosi a quella difficile giornata, disse: “… se riuscii a superarla fu perché, anche grazie alla violenza che mi fu riservata, il clima nel Paese cominciò a migliorare e i garantisti trovarono finalmente spazio sui media …”.

 

 

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