Riflessioni sanremesi

 

dal Dott. Vincenzo Mele (giornalista)

Angelina Mango

Cala il sipario sull’Ariston con l’edizione 2024 del Festival di Sanremo che ha vista vincitrice Angelina Mango, figlia del compianto Mango, con «La noia». Angelina Mango si è aggiudicata anche altri due premi: il Premio “Giancarlo Bigazzi” per la miglior composizione e il Premio Stampa “Lucio Dalla”.
Il testo di Angelina Mango è un inno alla noia: Angelina Mango, miscelando il Pop e la Cumbia, tipico ballo popolarissimo in Colombia, ci insegna che per imparare a gestire la noia, bisogna prima conoscere noi stessi. Il messaggio del brano è che la noia è tempo prezioso, non deve essere vista come un elemento negativo o come tempo perso, ma tempo dedicato a sé stessi. Se ben gestita la noia può portarci a fare cose molto creative; al contrario, se la si evita, non fa altro che aumentare quello stato di irrequietezza che la caratterizza.

Tuttavia ci sono altri artisti che avrebbero meritato la vittoria tanto quanto Angelina Mango o almeno essere nella Top 5 dei finalisti di questo Sanremo.
Un primo esempio è Fiorella Mannoia: con i suoi ritmi e la sua melodia che richiama alla musica gitana spagnola, «Mariposa», che ha vinto il Premio “Sergio Bardotti” per il miglior testo, è un’autentica ode femminista. “Sono il coraggio che genera il mondo/sono uno specchio che si è rotto/sono l’amore, un canto, il corpo”: il testo è un omaggio anche alle sorelle Mirabal, brutalmente assassinate nel 1960 in quanto si erano opposte al regime di Rafaèl Leonidas Trujillo in Repubblica Dominicana ed è stato scritto dalla Mannoia stessa e da Cheope (figlio del celeberrimo Mogol), Federica Abbate, Mattia Cerri e Carlo Di Francesco. «Mariposa» sarebbe stata un’ottima canzone da portare tra i cinque finalisti, non solo per la musica ma anche per il testo, una canzone che avrebbe potuto concorrere tranquillamente anche con artisti moderni come Geolier e Annalisa e, eventualmente, vincere il Festival.

Un altro cantante che sarebbe potuto andare in finale è Diodato: «Ti muovi» è una ballad che forse non è molto potente come «Fai rumore» con cui vinse la kermesse nel 2020, ma che è ben costruita e assemblata molto bene negli arrangiamenti, in particolar modo nella sezione degli archi. La sezione degli archi fa provare all’ascoltatore una sensazione di spensieratezza, di leggerezza, di felicità e di libertà ed è evidente specialmente nel bridge prima della strofa finale.
Quindi Diodato, come per la Mannoia, sarebbe stato un ottimo nome che avrebbe potuto vincere di nuovo Sanremo.

Terzo nome che avrebbe potuto essere nella terna dei finalisti è «La rabbia non ti basta» di BigMama. La rapper irpina, pseudonimo di Marianna Mammone, ha portato un testo potente e a tratti autobiografico, nella quale si trova anche un messaggio colmo di speranza, di trasformazione e di riscatto.
Nel ritornello c’è anche un tocco di resilienza: “Guarda me/adesso sono un’altra/La rabbia non ti basta,/hai cose da dire/se ti perdi segui me.”
BigMama ha voluto dedicare il pezzo a chi in passato ha subito violenze di vario genere ed è riuscito a rialzarsi senza perdere la propria autostima, essendo lei stata in passato oggetto di bullismo per via dell’aspetto fisico. BigMama, nonostante sia quasi sconosciuta al pubblico italiano tranne quello giovanile, è una vera ventata d’aria fresca della musica italiana e con «La rabbia non ti basta» sarebbe stata una magnifica risposta agli haters che l’hanno insultata sia prima che dopo Sanremo. BigMama è, artisticamente parlando, uno dei nuovi nomi di cui la musica italiana ha necessariamente bisogno per avvicinare i giovani.

Un gruppo che avrebbe potuto finire tra i cinque finalisti sono i Bnkr 44.
«Governo punk» dei Bnkr 44 è un racconto di uno dei tanti spaccati delle varie realtà sparse per il Belpaese (nel loro caso è Villanova, frazione del Comune di Empoli), ma leggendo attentamente il testo è una critica alla politica nostrana che si dimostra sempre più sorda alle richieste dei giovani, una sorta di rivoluzione politica, per sottolineare una presunta mancata attenzione ai più giovani e ai quartieri di provincia. Da qui il “governo punk” del titolo.
Una canzone come «Governo punk», con un messaggio molto attuale scritto nero su bianco, avrebbe potuto gareggiare per la finale facendo sentire sempre di più i giovani e le richieste, sempre più importanti dopo tre anni di pandemia.

Dulcis in fundo «Autodistruttivo» dei LaSad. I LaSad, che hanno in comune con i Bnkr 44 il Punk con elementi Rap tipici dei Blink-182 e di artisti come Machine Gun Kelly e Yungblud, portano a Sanremo un testo particolare, dedicato ad una tematica che è stata sottovalutata perfino in tempi di pandemia: il suicidio.
“Questa è la storia di un’altra vita sprecata/di un figlio triste appena scappato di casa/lui è cresciuto in fretta dopo un’infanzia bruciata/con sua madre che urlava, il padre che lo picchiava”: così recita il testo scritto da Riccardo Zanotti, cantante dei Pinguini Tattici Nucleari, che nel 2020 si piazzò con la stessa band al terzo posto al Festival di Sanremo. «Autodistruttivo» dei LaSad ha completamente stravolto le aspettative dei critici che prima dell’inizio di Sanremo avevano accusato la band di portare testi che incitano alla violenza, perché oltre al suicidio, la canzone parla del forte disagio nei confronti della nostra società e nel rapporto con altre persone. La sensazione di straniamento, di alienazione è talmente forte da chiamare l’io della canzone a bere fino a stare male per provare emozioni, pur sapendo quanto questo faccia male.
I LaSad, se non fosse per quella larga fetta di pubblico musicalmente ultraconservatore, starebbero tra i cinque finalisti per la musica energica e innovativa, con un testo di tutto rispetto.

Menzion d’onore va ad altri tre artisti: Dargen D’Amico, Ghali e Loredana Berté perché anche loro, come i cinque sovracitati, avrebbero potuto rientrare tra i cinque finalisti.

Dargen D’Amico con «Onda alta» ha raccontato in modo impeccabile le sensazioni dei migranti che ogni giorno attraversano il Mar Mediterraneo, per garantire ai loro affetti un futuro dignitoso, anche a costo della loro vita.
Nel ritornello Dargen canta: “Sta arrivando, sta arrivando l’onda alta/stiamo fermi, non si parla e non si salta./Senti il brivido, ti ho deluso, lo so/siamo più dei salvagenti sulla barca./Sta arrivando, sta arrivando l’onda alta/non ci resta che pregare finché passa”. Solo pochi, tra cui il sottoscritto, hanno colto un lontano riferimento al suddetto tema, ma da un’altra canzone, «Io non sono razzista, ma…» di Willie Peyote, uscita nel 2015, presente nell’album «Educazione sabauda»: “Parla di equità/ce ne fosse la metà/saremmo già da un pezzo/in fuga in mare aperto/E parla di onestà/ce ne fosse la metà/ sareste già da un pezzo/prossimi all’arresto.”
Inoltre è doveroso citare un passaggio di “Stranieri per sempre”, nuova fatica letteraria di Giuseppe Civati: “Chi ferma i migranti, con qualsiasi mezzo, è buono. Chi li salva dall’annegamento, è cattivo.”
Il tema dei migranti, tanto ostico all’attuale esecutivo, è il fil rouge che collega le due canzoni qui citate. Nonostante il sound Techno-Pop molto vivace, Dargen D’Amico sarebbe stato uno dei tanti nomi che avrebbe non solo vinto il Premio per il Miglior testo, ma sarebbe finito tra i primi tre.

Ghali, con «Casa mia», classificatasi (meritatamente) al quarto posto, va dritto ad una tematica tornata in auge, visti i recenti avvenimenti: quello della guerra, comprendendo conflitti tra Israele e Palestina e quello tra Ucraina e Russia.
Ghali porta un messaggio di uguaglianza e invita chiunque a prendere posizioni nei confronti di chi sta subendo i massacri di civili asserendo anche che il silenzio significa complicità, parafrasando il compianto Desmond Tutu.

«Pazza» di Loredana Berté, che ha vinto il Premio della critica intitolato alla sorella Mia Martini, è una dedica a sé stessa: Berté ci insegna, attraverso una canzone dai contorni Rock, a essere sempre consapevoli di noi stessi e anche a essere folli perché, a detta dell’artista, “la follia per me fa rima con libertà”.

Tra i momenti che hanno caratterizzato questo Sanremo 2024 ne figurano ben quattro ospiti: il primo è Stefano Massini, drammaturgo, attore e regista, vincitore di un Tony Award per “Lehman Trilogy”, che ha portato «L’uomo nel lampo» accompagnato dalla voce e dal pianoforte di Paolo Jannacci, figlio del celeberrimo Enzo, ricordando il tema delle morti sul lavoro, che nel 2023 aveva raggiunto la soglia di 1.041 vittime. L’altro ospite in questa kermesse è Giovanni Allevi, che è riapparso al grande pubblico dopo aver affrontato un mieloma multiplo che lo ha costretto ad una pausa di due anni. Attraverso un monologo, Allevi ha raccontato al pubblico presente all’Ariston di non aver perso le speranze mentre combatteva contro la malattia, prima di eseguire «Tomorrow». Il terzo ha visto Giorgia incantare ancora una volta Sanremo con un medley dei suoi successi, mentre l’ultimo è durante la serata finale, con Gigliola Cinquetti ospite che intona insieme al pubblico dell’Ariston «Non ho l’età», successo con cui vinse il Festival di Sanremo precisamente sessant’anni fa.

Non sono mancate le polemiche su alcuni artisti in gara, in primis Geolier. C’è chi lo contesta per la vittoria durante la serata dedicata alle cover che molti giudicano immeritata, altri contestano il fatto che i testi di Geolier siano pregni di violenza e di misoginia. Però le contestazioni sull’artista di Secondigliano sono poi sfociati a insulti sulla Campania e sul Sud Italia.
Che alcune contestazioni su Geolier possano essere fuori luogo e al limite del razzismo non ci piove, ma bisogna far attenzione alle contestazioni in questione perché esiste una linea sottile che separa il razzismo dal borbonismo, una delle forme di cultura antimeritocratica per eccellenza e che spesso e volentieri punta al vittimismo più puro.
Sulla questione dialettale c’è chi ha riportato molti esempi, come Stash dei Kolors che, nella puntata di TvTalk su Rai 3 di Sabato 10 Febbraio, ha ricordato Davide Van De Sfroos che nel 2010 si presentò con «Yanez», canzone interamente in dialetto comasco. Altri esempi possono essere Nino D’Angelo che partecipò in sei edizioni del Festival di Sanremo, cantando e duettando con altri artisti in dialetto partenopeo; nel 2018 Luca Barbarossa partecipò alla kermesse con «Passame er sale», tutta interamente in romano mentre, andando a ritroso, nel 1992 i Tazenda parteciparono con «Pitzinnos in sa gherra», cantato in sardo lodugorese, variante del sardo parlato nel sassarese.

Un’altra critica ma di minor misura è un possibile plagio di Annalisa. Il ritornello di «Sinceramente» è simile a «Can’t get out of my head» di Kylie Minogue; tuttavia non è stato possibile verificare con accuratezza.

Si chiude così il Festival di Sanremo con canzoni che entreranno nella testa degli italiani, mentre i vertici della Rai avranno tutto il 2024 per trovare il sostituto di Amedeus, che ha condotto il suo ultimo Sanremo.

 

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