La Corte Costituzionale con la sentenza n.22 del 22 febbraio 2024, mette in discussione la norma sul Jobs Act.

da Pietro Cusati (Giurista-Giornalista)

 

La Consulta  mette in discussione la norma sul   Jobs Act, con la sentenza n. 22, del 22 febbraio 2024 ,si è  espressa a favore di un allargamento delle tutele dei lavoratori dipendenti  nel caso di licenziamento e reintegro sul posto di lavoro. La Corte Costituzionale  ha messo in dubbio il concetto per cui ai fini del reintegro sul lavoro per nullità del licenziamento ,per coloro che sono assunti con contratti a tutele crescenti, queste  nullità devono essere sancite  “espressamente”. Le cause per cui un licenziamento è da considerarsi nullo non sono solamente quelle definite espressamente dalla legge, ma anche in base alla giurisprudenza della Corte di Cassazione. Tali  norme prendono in considerazione l’eventualità  del licenziamento illegittimo,infatti ,prima del Jobs Act il lavoratore poteva sempre essere reintrodotto nell’azienda .La Corte Costituzionale è intervenuta a tutela dei lavoratori per il reintegro in azienda in diversi casi di licenziamento. La sentenza va ad aggiungere tutele ulteriori rispetto a quelle previste dalle norme, ovvero garantisce al giudice l’interpretazione della legge in base al caso specifico ,quindi, è  possibile per il  giudice del lavoro sostenere il diritto di reintegro di un lavoratore licenziato ingiustamente anche se non rientra in un caso espressamente  previsto. Con questa sentenza  si torna all’articolo 18 dello  statuto dei lavoratori che   proponeva una tutela  più ampia  e una interpretazione specifica da parte del giudice, quello che propone  la  Consulta. Limitatamente alla parola “espressamente” la  disposizione, quindi, è stata ritenuta illegittima nella parte in cui, nel riconoscere la tutela reintegratoria, nei casi di nullità, previsti dalla legge, del licenziamento di lavoratori assunti con contratti a tutele crescenti , a partire dal 7 marzo 2015 , l’ha limitata alle nullità sancite “espressamente”.  La Corte di cassazione rimettente, nel sollevare la questione, aveva censurato tale limitazione, in riferimento all’articolo 76 della Costituzione, per violazione del criterio di delega fissato dall’art. 1, comma 7, lettera c), della legge n. 183 del 2014 ,cosiddetto Jobs Act, deducendo che l’esclusione delle nullità, diverse da quelle «espresse», non trovasse rispondenza nella legge di delega, la quale riconosceva la tutela reintegratoria nei casi di “licenziamenti nulli” senza distinzione alcuna. La Corte costituzionale ha ritenuto fondata questa censura, osservando in particolare che il criterio direttivo, nella parte rilevante in proposito, aveva segnato il perimetro della tutela reintegratoria del lavoratore nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, escludendola, in negativo, per i licenziamenti “economici”, e prevedendola, in positivo, nei casi di licenziamenti nulli, discriminatori e di specifiche ipotesi di licenziamento disciplinare. La Corte Costituzionale ha sottolineato che il testuale riferimento ai “licenziamenti nulli”, contenuto nel criterio direttivo, non prevedeva , e non consentiva quindi, la distinzione tra nullità espresse e nullità non espresse, ma contemplava una distinzione soltanto per i licenziamenti disciplinari ingiustificati. Ne  consegue che il regime del licenziamento nullo è lo stesso, sia che nella disposizione imperativa violata ricorra l’espressa sanzione della nullità, sia che ciò non sia testualmente previsto, sempre che risulti prescritto un divieto di licenziamento al ricorrere di determinati presupposti.

 

 

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