Aldo Bianchini
SALERNO – Oggi ricorre il 23esimo anniversario della morte di Cinzia, Caterina ed Erica; una morte sicuramente evitabile, avvenuta per colpa di un indisciplinato automobilista che nel tentativo di sorpassare sulla destra l’autovettura guidata da Cinzia causandone lo sbandamento e la rovinosa e mortale caduta in un burrone all’altezza dello svincolo autostradale di Sicignano degli Alburni, carreggiata sud.
Era il 7 luglio del 2001, sabato intorno alle ore 11.00, e di quell’incidente io fui l’unico testimone oculare; sono passati già ventitre anni ma ho sempre impressi nel mio cervello gli occhi, smarriti ed impauriti e forse terrorizzati, della giovane ragazza alla guida di un’autovettura Ford/Focus mentre precipitava dall’ultimo viadotto prima dello svincolo di Sicignano (direzione sud) per schiantarsi, una trentina di metri più giù, sul pilone di cemento armato dell’autostrada finendo sull’asfalto di una stradina interpoderale.
Ho fatto e scritto tantissimo su quel gravissimo incidente, ripetermi sarebbe superfluo; una cosa sicuramente mi ha fatto piacere a distanza di tanti anni, un cosa che sicuramente riconcilia con i doveri di cittadino (la mia testimonianza fu utile all’identificazione del responsabile dell’incidente che era fuggito) e con quelli di giornalista tenuto a raccontare la verità. Qualche giorno fa l’anonima OLGA ha inviato il 18 giugno scorso a questo giornale un bel post che vale bene la pena di pubblicare perché non solo ricorda la sciagura di tanti anni fa ma aggiunge alle mie considerazioni qualcosa di una valenza molto umana e commovente:
- … io lavoravo con Erika, era il mio braccio destro. Lavoravamo insieme alla sede “strike“ di Agropoli. Una settimana prima avevo partecipato al suo matrimonio. Una ragazza semplice, con pochi vizi, proveniente da una famiglia molto umile. Il giorno prima dell’incidente ero a lavoro con Erika, la quale mi portò a conoscenza di un piccolo problema di salute. Si era sempre rivolta ad un dottore che a quel tempo lavorava sopra il nostro ufficio. Non colsi l’intero discorso, capii solo che sarebbe andata da un altro dottore, su consiglio del neo marito Paolo. Non avevo colto il fatto che sarebbe andata a Polla. Il giorno dopo non lavoravo. Intorno alle 14, ricevo una chiamata da parte di un altro collega, Mimmo, che mi chiese di raggiungerlo ad Agropoli perché stava poco bene: “non mi sento bene , puoi venire per piacere ? “. La cosa mi rimase un po’ interdetta e pensai di chiamare il collega della sede strike di Capaccio (sede in cui lavorava Caterina) per capire se ci fosse qualche problema con la sede principale che si trovava a Napoli. Il collega di Capaccio mi disse “c’è stato un incidente, Caterina è morta“. Caterina aveva di recente preso la patente, guidava da pochissimo. Non collegai le due cose, convinta che fosse mancata Caterina, con la propria auto. Il collega mi raggiunse e insieme ci recammo alla mia sede di lavoro. Prima di arrivare chiesi al collega cosa fosse successo e mi disse “c’è stato un incidente a Polla, sono morte tre donne“. Erika quel giorno lavorava di pomeriggio, e pregai Dio di trovarla seduta in ufficio alla sua postazione di lavoro. Ma appena misi piede nell’agenzia, capii subito che non c’era più. I clienti attoniti, in un silenzio tombale. I colleghi, tutti in lacrime. Non ci volevo credere. Una settimana prima avevo assistito al suo matrimonio. Incredula chiesi “cosa si è fatta ? cosa si è fatta ? dove sta Erika ?”. Nessuno rispose. In lacrime con i colleghi e mio papà, ci recammo a Polla sul luogo dell’incidente. Non mi permisero di vederla, ma mi fu detto che il suo volto era il volto della paura. Il volto di una persona che aveva capito che stava per morire. I capelli dritti le mani e gli occhi aperti. Erika era una ragazza meravigliosa. Per una serie di fausti eventi, quel giorno, a 7 giorni dal matrimonio, aveva perso la vita. Doveva essere in viaggio di nozze, non doveva essere neanche in quella macchina quel giorno. Ma quel giorno Dio, ha deciso diversamente per quelle giovani vite. Non ho mai saputo realmente come fossero andati i fatti, fino alla lettura di questo articolo. Non sapevo ci fosse un colpevole, nè un testimone. Mi sono sempre chiesta cosa fosse successo e credo che la mancanza di contatto dei familiari, sia stata una forma di difesa. Perché quelle persone, tutte le persone collegate a queste ragazze, morirono con loro quel giorno. Sento ancora i loro pianti nel pronto soccorso di Polla. Sono passati anni, Erika è sempre nel mio cuore. Queste ragazze sono nel mio cuore. Avevo 21 anni, oggi ne ho 44. Quel giorno tre famiglie furono distrutte. Paolo, lo sposo, non si riprese mai. Le loro famiglie, non si ripresero mai …”