Carlo Falvella: il ricordo del tempo

Aldo Bianchini

SALERNO – Sembra essere passato un soffio di tempo piuttosto che quarantadue anni delle nostre vite. E’ passato quasi mezzo secolo da quella drammatica sera del 7 luglio 1972 e quasi non ce ne siamo accorti. C’è stato addirittura il passaggio da un secolo all’altro, anzi da un millennio all’altro, e quasi non ce ne siamo accorti. Sono addirittura finite, morte e sepolte, le ideologie per le quali tanti giovani hanno sacrificato, nel giusto o nel torto, le loro vite e le loro esistenze, e quasi non ce ne siamo accorti. E’ caduto il Muro di Berlino, il Comunismo si è sfasciato, la destra storica è stata distrutta da Gianfranco Fini, ma ancora c’è qualche fastidiosa ruggine idealista che si insinua nella mente dei giovani, e non ce ne accorgiamo. Hanno consumato le proprie vite Carlo Falvella, e con lui anche Giovanni Marini e Francesco Mastrogiovanni, sull’altare di una ideologia distinta e contrapposta che oggi fa soltanto sorridere, e quasi non ce ne siamo resi conto. I tanti “perché” posti fin da quella tragica sera sono rimasti desolatamente senza risposte, e abbiamo fatto e facciamo finta di niente. Il dramma di quelle lotte fratricide ce lo ricordano loro, soltanto loro. Dietro una nuvoletta, lassù, le mani buone di Vittorio Bachelet e Guido Rossa, con l’aiuto di Tommaso e Nino, hanno allestito un tavolo a tre ed hanno fatto di tutto per convincerli ad incontrarsi, per la prima volta dopo tantissimi anni, per ragionare, per tentare una riconciliazione impossibile e, forse, per abbozzare una spiegazione ed anche un messaggio per le future generazioni. Il primo ad arrivare é lui, Carlo Falvella, la vittima per eccellenza in quanto unico morto di quella sera quasi surreale e sicuramente oltre ogni logica. Anche gli altri due, se ragioniamo, sono state delle vittime, non per eccellenza, ma hanno pagato fino in fondo il loro debito, quasi come se avessero bevuto a lungo dalla ciotola della cicuta. Carlo arriva e si siede con naturalezza, lo ha già fatto negli anni scorsi con altri personaggi morti per i loro ideali (i suoi amici Vittorio e Guido), ma quest’anno é un’occasione speciale, dovrà incontrarsi con i suoi principali avversari e, per altri versi, anche suoi assassini. Li aspetta con coraggio, come del resto ha sempre fatto quando da ragazzo troneggiava sul lungomare di Salerno che ora guarda da lassù e lo scopre con oltre ottocento palme tagliate a causa del punteruolo rosso, con una mega costruzione rimasta a metà che deturpa la vista delle due costiere ed anche del centro storico, con le fontane a zampillo che non funzionano mai, con il Bar Nettuno (ah!! quel bar Nettuno …) che é sempre lì anche se ha cambiato spesso gestione. Non é la Salerno che lui avrebbe voluto, quella sotto i suoi piedi è ancora una città bigotta e poco progressista,  sicuramente non é la Salerno per la quale ha combattuto e sacrificato la propria vita; una vita che lui voleva dedicare all’onore, alla famiglia e alla Patria. Mentre pensa a tutte queste cose ecco che dal buio di una nuvola esce Giovanni Marini, capelli lunghi, scuro in volto, con le mani in tasca, con il capo chino, un pò imbarazzato, insomma come era solito fare con quegli occhi infossati e profondi; non avrebbe voluto essere lì ma non poteva dire di no a chi glielo ha chiesto. Tommaso Biamonte, comunista per eccellenza, ha lavorato ai fianchi in maniera egregia, come aveva fatto in politica per tantissimi anni, vezzeggiando e bacchettando alla bisogna. Marini muove un passo dietro l’altro, lentamente, e si avvicina al tavolo; un brevissimo e quasi impercettibile segno di saluto per una risposta altrettanto impercettibile ma rapida e decisa di Carlo. Anche Giovanni incomincia a sorseggiare un dissetante aperitivo da un bicchierone estivo. Non fanno in tempo a scambiare neppure una parola che da dietro una nerissima nuvola esce Francesco Mastrogiovanni, incazzatissimo come sempre; si avvicina con passo rapido e molto più sicuro di Marini, lui ha già deciso da tempo di incontrarsi con Carlo, ha ancora molti problemi da risolvere sulla terra ed ha bisogno della vicinanza di tutti. Adesso sono in tre, seduti intorno al tavolo appositamente imbandito, ma tacciono, nessuno apre bocca per cominciare la discussione. I minuti passano lenti, inesorabili, il cielo si sta oscurando. Finalmente arriva la prima parola, è il professore ad aprire le danze, come si conviene ad un letterato come lui: “Scusatemi, ma sono proprio incazzato nero, non capisco come laggiù i giudici non riescano ad individuare le vere responsabilità della mia morte, disumana e da paese incivile“. Gli fa subito eco Carlo: “Ma che vuoi anche il processo che noi tre abbiamo vissuto (io da morto e voi da vivi !!) fu pieno di ombre e di pressioni extragiudiziarie, cercarono di intimidire perfino il mio amico Primo Carbone che aveva smascherato il superteste della difesa organizzata da Gaetano Pecorella che su quel processo ha poi irrobustito la sua fama. Ancora oggi mi vergogno, purtroppo é così, i giudici non cambiano mai. Figuratevi che cercarono di mettere in dubbio che ad essere stato colpito per primo alle spalle non fu Giovanni Alfinito, roba del mondo dei vivi. La ricostruzione di Angelo Orientale, poi, non rispecchia completamente la realtà. Lo ribadisco, quella sera fu prima colpito alle spalle Giovanni Alfinito e poi io stesso che ero intervenuto in suo soccorso; senza dimenticare che qualche giorno prima un nostro <camerata> era stato selvaggiamente picchiato sul lungomare. E poi ve lo dico con franchezza, quel grido di <uccidere un fascista non è reato, Giovanni Marini sarà liberato> mi fa ancora male adesso, se ci penso“. Il terzo ospite, Marini, guarda incuriosito e segue la discussione. Il professore aggiunge deciso: “Scusa Carlo, sul tuo processo credo non sia questo il luogo per discuterne, ma nel mio caso la responsabilità diretta degli infermieri é così evidente da lasciare basiti. Non é più come quarant’anni fa, ora gli infermieri sono tutti professionalizzati, molti con laurea breve, ed hanno specifiche mansioni organizzative e dirigenziali che sono fuori dal controllo diretto dei medici. A loro i sanitari danno soltanto indicazioni sulle terapie e nulla più. A legarmi sul letto sono stati gli infermieri e non altri; per carità non voglio assolvere i medici, ma di certo non possono pagare più degli infermieri“. L’atmosfera si sta surriscaldando, il professore comincia a parlare anche del TSO che lo spedì in ospedale e, quindi, anche di Angelo Vassallo che lo sottoscrisse, ma viene prontamente fermato dalla voce sottotono di Giovanni Marini: “Ragazzi, vi prego, calmatevi. Che cosa dovrei dire io che sono passato prima nel silenzio assoluto quando facevo il giardiniere del Comune e poi sono stato lasciato morire come un cane; anche il funerale fu seminascosto e totalmente dimenticato da tutti. Almeno per voi c’è stata e c’è ampia discussione sulla vostra morte. Comunque siamo stati messi qui, intorno a questo tavolo, per altre ragioni che non sono né il lungomare di Salerno, né le stupefacenti esternazioni del sindaco De Luca, né i vostri processi e neppure i giudici che continueranno ad esercitare il loro potere come hanno sempre fatto. Siamo stati messi quì per un altro motivo; dobbiamo cercare di capire perché tanti anni fa accadde quello che é accaduto. Chi per un verso e chi per l’altro abbiamo pagato tutti e tre lo stesso prezzo, siamo morti, e da quí, dalla nostra posizione possiamo fare ben poco per cambiare le cose. Se possibile dobbiamo contribuire a superare certe posizioni preconcette, quello fu un momento storico particolare, non possiamo continuare a dire che la colpa fu tutta della destra (aggressiva, squadrista, ecc.) e che la sinistra era ingenua e predicava la pace. Ad esempio le posizioni del circolo Makeba sono ancora troppo chiuse anche se qualche spiraglio comincia a filtrare anche da lì. Per piacere cerchiamo di incominciare, se ne avete voglia, una discussione seria. Io dopo tanti anni vorrei capire se eravamo <<folli o giusti>>, chiaro !! altrimenti non chiamatemi più“. Due ombre si allungano verso il tavolo, sono Tommaso e Nino (Biamonte e Colucci) che arrivano sottobraccio sostenendosi l’un l’altro. I tre zittiscono, sanno che devono rispettarli e li rispettano. Tommaso guarda verso Nino che dice: “Per questa volta può bastare, possiamo fermarci quí, c’é tempo per capire e per lanciare messaggi positivi verso quelli che oggi laggiù ricordando Carlo ricordano anche voi due. Io e Tommaso cercheremo di rimettervi presto allo stesso tavolo“. I tre si alzano e si allontanano, senza salutarsi, almeno per ora sono ancora su posizioni molto lontane. Carlo va verso i suoi amici Vittorio e Guido; Giovanni e Francesco verso nuvole separate. Tommaso e Nino se ne vanno insieme, così come erano arrivati sulla scena dell’incontro e le loro ombre si dissolvono tra le nuvole, forse un pò delusi, ma del resto si è trattato del primissimo incontro dopo oltre quarant’anni ed è anche logico che i tre siano su posizioni completamente diverse. Laggiù in Via Velia, intanto, arrivano i ragazzi e gli adulti del “Comitato x Carlo Falvella” nato per non dimenticare Carlo; lo schieramento prudenziale delle forze dell’ordine c’è, ed ecco che arriva anche <<donna Assunta Almirante>> (vedova di Giorgio, una figura che Carlo aveva mitizzato oltre ogni misura) accompagnata da Marco (fratello di Carlo). Donna Assunta arriva per la prima volta nella sua vita sulla scena di quel  delitto che suo marito nel fervore dei comizi le aveva fatto quasi rivivere, minuto dopo minuto, per tantissime volte. Donna Assunta si ferma e rimane immobile dinanzi al piccolo monumento  dedicato a Carlo, ha lo sguardo fisso, quasi gelido, sul suo viso non si muove un solo muscolo. E’ la donna che tutti hanno sempre ammirato, è la donna che ha accompagnato il mito vivente della destra storica per mezzo secolo senza mai intralciarne il suo percorso. Via Velia è piena di gente, il silenzio è assoluto, tutti pensano a questi quarantadue anni trascorsi come un lampo. Anche Carlo, mentre abbraccia Vittorio e Guido, gira lo sguardo verso Donna Assunta che proprio in quel momento alza gli occhi al cielo in una sorta di feeling suggestivo. E la pace, o meglio la pacificazione che vogliono Tommaso e Nino ?  Beh !!, forse non è ancora tempo di pace, domani chissà. Domani è un altro giorno.

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