TV PUBBLICO-PRIVATA: E DUO UNUM?

di Michele Ingenito

ROMA – In una intervista pubblicata ieri da un noto quotidiano nazionale, Milena Gabanelli, fantastica giornalista di inchiesta del TG3, ha espresso a chiare lettere il proprio parere sulle possibili conseguenze del risucchio di metà meno uno di RAI Way a favore della diretta concorrente privata MEDIASET: cioè, del 49%.  Giustamente la temutissima bionda della TV di stato eccepisce i rischi di una tale ipotesi tutt’altro che impossibile. Dubitando che, nelle nomine, sia il Premier Renzi a scegliere “i migliori”, la Gabanelli non è contraria ad “un’unica newsroom per l’informazione” così come illustrata nel piano Gubitosi approvato giovedì della scorsa settimana. Tuttavia la giornalista del TG-3 non appare per niente felice all’idea che una buona fetta della RAI finisca nelle mani della diretta concorrenza, ossia della famiglia Berlusconi, in quel caso una TV inguardabile, “anche da un punto di vista estetico”, come ha cinicamente osservato! Eccependo le proprie motivazioni al riguardo e su altro, la Gabanelli rivendica, nella sostanza, il diritto-dovere del giornalista di assumere la verità nelle proprie inchieste, senza mai scadere nel personalismo o nella parzialità della ricerca a senso unico, o giù di lì.

Il dibattito è aperto, come si vede, e non trascura ampi e qualificati spazi riservati ai migliori  opinionisti e addetti ai lavori in circolazione.

Una TV di governo, secondo la filosofia renziana, è quel che ci vuole oggigiorno. Un nuovo look a favore della credibilità e della serietà dell’informazione.

Nulla quaestio naturalmente, quando la nobiltà delle idee ispira le iniziative conseguenti a favore del benessere generale; nel caso specifico del diritto della gente di essere informata correttamente dei fatti e degli eventi che animano quotidianamente la vita pubblica di un Paese avanzato come l’Italia.

Ma, come sappiamo, le idee per quanto buone esse siano sono sempre al servizio di qualcuno disposto a sganciare moneta per acquisire un prodotto al quale, in un modo o nell’altro, è economicamente interessato.

E fermo restando la nobiltà delle idee, tutto è destinato a filare liscio fino a quando il prodotto realizzato risponde e corrisponde alle idee del padrone. Checché se ne dica o si pensi.

E qui casca l’asino. Berlusconi o non Berlusconi, in un mondo soggiogato dal denaro di una società sempre più capitalista, cosa volete che gliene importi agli esecutori delle volontà di chi li paga di nobilitare il proprio lavoro se non nei limiti interpretativi di quelle stesse volontà?

Ricordate i tg di Emilio Fede? Uno spettacolo, da tanti punti di vista. Ma pur sempre uno spettacolo di parte!

Né, nell’attuale sistema che consente simili bricconate, si può far torto al Berlusconi di turno di investire il proprio denaro come meglio ritiene. A maggior ragione se si considera il fatto che, al momento almeno, il Cavaliere è completamente tagliato fuori dalla politica dal punto di vista istituzionale.

Silvio Berlusconi è un cittadino libero di fare ciò che vuole dei propri soldi e, quindi, pienamente legittimato a rincorrere i traguardi economici e finanziari a cui è interessato. Non a caso alle proprie dipendenze ci sono vere e proprie squadre di professionisti in grado di dare filo da torcere al settore pubblico.

Stupisce, piuttosto, che in un Paese democratico sia consentito che la cultura e l’informazione possano confluire nella mani di uno solo, a discapito delle tante micro realtà economiche che hanno pur diritto all’esistenza.

E’ recente l’accorpamento della Rizzoli nelle mani della Mondadori. Altro blitz che consente ad un gruppo soltanto di assorbire la gran parte del mercato editoriale italiane.

In un modo o nell’altro, tutti – intellighenzia innanzitutto – dovranno inchinarsi ai piedi del padrone, pur di apparire almeno, diluendosi sempre di più la possibilità di essere.

 

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