il Quotidiano di Salerno

direttore: Aldo Bianchini

De Luca: dalla segreteria del PCI a sindaco di Salerno e governatore della Campania, come nasce la sua epopea.


Aldo Bianchini

SALERNO – Come ho già più volte scritto l’epopea di Vincenzo De Luca nasce, se vogliamo fissare la data e l’ora, un paio di minuti prima della mezzanotte del famoso 22 maggio 1993. Il sindaco Vincenzo Giordano si era dimesso il 23 marzo precedente ed i sessanta giorni di tempo utile per evitare il commissariamento del Comune scadevano appunto alla mezzanotte di quel 22 maggio, in un sabato piuttosto caldo, in un “salone dei marmi” stracolmo di giornalisti e di gente comune; sono le ore 18.00 quando ha inizio il Consiglio. Ci sono tutti i consiglieri comunali tranne uno, Marco Siniscalco (avvocato e già assessore della giunta Giordano, accusato ingiustamente e da pochi giorni uscito dal carcere di Fuorni ma ancora consigliere comunale in carica), che è assente per motivi di opportunità. L’atmosfera è di quelle da ultima sfida; il clima è pesantissimo. Tenuto conto dell’irremovibilità di Giordano sulle sue dimissioni, tutti pensano ad un accordo Del Mese – Conte per l’elezione del professore Nicola Scarsi (P.R.I.) alla massima carica politica cittadina. Ma il piano salta perché Paolo Del Mese segretamente inizia le trattative per l’elezione di Vincenzo De Luca, un personaggio che nella vita politica di Paolo Del Mese avrà sempre un peso di rilievo, fino ai nostri giorni. L’ira di Carmelo Conte, prontamente avvertito dai suoi più stretti collaboratori, raggiunge il culmine quando scopre che le trattative di Paolo in favore di Vincenzo estrometterebbero totalmente il P.S.I. dalla gestione dell’amministrazione comunale. Si rimescola tutto, sia Paolo che Carmelo hanno bisogno dei voti di entrambi per eleggere il sindaco, ed ecco che è lo stesso Carmelo a sponsorizzare la candidatura di Vincenzo De Luca cercando di estromettere dalle trattative Paolo. Ma le ore passano e lo spettro del commissariamento si avvicina; per le ore 23.00 viene fissata la prima chiamata per il voto quando dalle segrete stanze dei gruppi consiliari arriva la tanto sospirata fumata bianca. I calcoli sono precisi, per un voto Vincenzo De Luca sarà il nuovo sindaco di Salerno. Ma ecco che alle 23.00 al conteggio dei voti, a chiamata palese, arriva la doccia fredda: Michele Ragosta vota no. E il consiglio rischia di saltare; rimane l’ultima possibilità prima della mezzanotte, rintracciare e portare in aula Marco Siniscalco. Pochi minuti prima dell’ora fatidica ecco il verdetto finale: Vincenzo De Luca è sindaco di Salerno per un solo voto, quello di Marco Siniscalco, mentre Paolo Del Mese resta apparentemente fuori dalle trattative. All’epoca sia Conte che Del Mese (il primo ministro e il secondo sottosegretario) sono entrambi consiglieri comunali in carica a Salerno. Mentre alle prime luci dell’alba la Città festeggia il suo nuovo sindaco, Vincenzo De Luca mette a segno il suo capolavoro politico; nel mio libro “Vincenzo Giordano, da sitting bull a sindaco di Salerno” ho scritto testualmente: “”Ma De Luca capisce subito che quel consiglio comunale, quei grandi elettori, quel voto di Siniscalco non hanno più un radicamento popolare ma promanano soltanto il nauseabondo odore degli affari e dei compromessi. Dopo poche settimane, anche a causa di contrasti intestini al PCI-PDS, si dimette e chiede nuove elezioni in grado di legittimare l’azione politica e le grandi scelte che, comunque, la città dovrà adottare per ritornare nell’arena della grande competizione nazionale ed europea. La gente comune, l’elettore medio, il grande elettore e il mondo industriale e imprenditoriale avvertono che la mossa strategica di De Luca può essere quella vincente. La nuova legge elettorale fa il resto e dopo il 5 dicembre 1993 il nuovo sindaco si trova a gestire un potere immenso che trova il suo radicamento nello sconfinato consenso popolare. Nei pochi mesi di commissariamento da parte di Antonio Lattarulo (indicato negli anni successivi come un uomo dei servizi segreti) accade di tutto e di più. Le coalizioni politiche si formano e si sfasciano ogni giorno; alla fine rimangono due grandi antagonisti con Pino Acocella (ex DC) da una parte e Vincenzo De Luca (PCI-PDS) dall’altra. Si va al ballottaggio perché Acocella pur vincendo le elezioni rimane al 23% contro il 19% di De Luca. Nel ballottaggio la destra salernitana storica con l’on. Nino Colucci in testa sceglie Vincenzo De Luca e per lui è un trionfo. La sera del 5 dicembre 1993 le bandiere rosse circondano De Luca che marcia verso palazzo di città e sale lo scalone centrale da trionfatore. E’ facile, poi, per De Luca riconquistare l’appoggio delle grandi famiglie ma lo fa da un punto di forza dovuto al consenso popolare che è arrivato a sfiorare anche il 70% degli elettori; insomma il sindaco detta le regole e le grandi famiglie non possono fare altro che obbedire””. In quella strategica serata del 22 maggio 1993 nessuno dei potenti (con in testa Conte e Del Mese) tenne conto di una cosa importantissima: De Luca era ed è il miglior prodotto della strategia comunista per la conquista del potere. Così fu, così è. Per meglio chiarire questa mia affermazione prendo ad esempio il pensiero di Carmine Pinto (docente di storia contemporanea all’Università di Salerno) che nel tracciare, a grandi linee, la storia recente del P.C.I., alcune settimane fa a Monte San Giacomo in occasione della presentazione del libro di Nicola Oddati, ha detto il Partito Comunista aveva due direttrici importanti: la sacralizzazione e la brutalizzazione.

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