PORTO: sicurezza fai da te ?

Aldo Bianchini

SALERNO – Ho letto (Il Mattino del 18 gennaio 2016) un titolone a tutta pagina che mi ha particolarmente colpito: “Sicurezza al porto, il fai da te dei lavoratori” e poi nell’occhiello “Opuscolo realizzato dalla Cgil: denunciamo i fattori di rischio il denaro non ripaga le tragedie”. La cosa, sincerità per sincerità, mi ha meravigliato, e non poco; anche perché la sicurezza e l’igiene sui luoghi di lavoro non sono cose che possono essere affrontate con leggerezza e, semmai, con la semplicistica distribuzione di un opuscolo, anche se fatto bene come credo sia stato fatto quello dei lavoratori portuali. La sicurezza e l’igiene sono un messaggio innanzitutto culturale che non può e non deve limitarsi alla superficiale istruzione (si fa per dire !!) dei lavoratori, ma deve essere calato nella coscienza di tutti noi partendo dalle scuole e, perché no, anche dalle elementari (come del resto si sta già facendo in diverse zone del Paese) che sono, non dimentichiamolo, i primi ovattati luoghi di lavoro. Difatti l’infortunistica scolastica conta migliaia di casi all’anno su tutto il territorio nazionale. Il decreto presidenziale cardine in materia di sicurezza e igiene sul lavoro è di vecchia data e, per quanto riguarda il nostro Paese, risale addirittura al 27 aprile 1955 con il n. 547; uno dei pochi decreti presidenziali fatto a regola d’arte e che in sostanza chiamava in causa anche la responsabilità del lavoratore. Su questo aspetto si avventò il sindacato negli anni ’60 e con la scusa di tutelare i lavoratori il decreto rimase letteralmente oscurato (un po’ come è accaduto per la legge Brunetta per il licenziamento dei lavoratori pubblici che è stata improvvisamente rispolverata dalla sinistra) e finì per danneggiare tutti, non soltanto i datori di lavoro contro i quali erano puntati i fucili politici e sindacali perché bisognava abbattere a tutti i costi il padrone; una lotta che poi trovò la sua cristallizzazione nell’art. 18 dello statuto dei lavoratori. Un decreto, quindi, mai completamente attuato e sicuramente dimenticato nei cassetti ministeriali e istituzionali per quarant’anni, nonostante nel 1970 fosse stato promulgato lo

Statuto dei lavoratori” di Gino Giugni (politico, accademico e socialista) che in parte si rifaceva anche a quel decreto presidenziale. Ci sono voluti quarant’anni prima di promulgare un nuovo decreto legge (il 626 del ’94 spacciato per legge che rendeva più moderna la sicurezza e che abrogava tutte le leggi esistenti) e la spinta della Comunità Europea con ben dieci direttive. Insomma questo Paese da faro della sicurezza legiferata quando nel resto d’Europa non si conosceva neppure la parola fu ridotta al rango di fanalino di coda. Con la pressione dell’Europa partì, come al solito, una vera e propria valanga di corsi di formazione che altro non fecero se non arricchire le tasche di qualche affarista-organizzatore e incompetente; e questo accadde dovunque, al sud come al nord passando per il centro di un Paese che aveva dentro di se il dna della sicurezza e non l’aveva saputo diffondere quale messaggio culturale. Enorme fu la valanga di spesa di denaro pubblico con risultati quasi vicini allo zero; la storia dimostrò che la sicurezza va saggiamente depositata in pillole nella coscienza dei lavoratori e le pillole devono essere centellinate e distribuite da persone capaci di insegnare sicurezza, da persone che hanno vissuto sulla propria pelle il grave problema, persone che hanno avuto a che fare con il mondo del lavoro (e quindi della sicurezza) calcando le tavole dei cantieri giorno dopo giorno. Soltanto la frequentazione continua e costante di questi luoghi può dare quel quid necessario alla diffusione del messaggio culturale della prevenzione. Non ci sono altre strade e chiunque si addentra in questo mondo finisce con lo sbagliare, a volte anche pesantemente. Insomma non possiamo ridurre la “cultura della sicurezza” ad una palestra web dalla quale tutti possono attingere “preziosi consigli e appariscenti opuscoli”; sappiamo tutti che il web è diventato il pozzo senza fine dell’incultura e dell’approssimazione nel quale tutti si riconoscono come giornalisti, come esperti, come politologi e quant’altro lo scibile umano è stato capace di inventare. Per la sicurezza, almeno per la sicurezza, facciamo in modo che non funzioni così. Anni fa quando ero ancora al lavoro come “ispettore di vigilanza degli infortuni sul lavoro” mi interessavo anche della comunicazione interna ed esterna dell’Ente da cui dipendevo; quando andavo a proporre ai politici nostrani le iniziative per portare il messaggio della sicurezza nelle scuole (ed anche nei cantieri) spesso mi trovavo di fronte a meri calcoli di convenienza, ovvero quella iniziativa si faceva solo se c’era un ritorno in termini di voti. Con la Provincia ne organizzai qualcuno di incontri tematici in giro per tutto il territorio salernitano, con il Comune capoluogo neppure un incontro fu possibile;

 anche questo deve suonare come grave deficit di cultura, purtroppo. L’importanza del principio culturale della sicurezza lo capì al volo l’allora Prefetto Efisio Orrù con il quale intrattenni un lungo e proficuo rapporto andando a visitare diverse scuole e cantieri di lavoro del capoluogo e della provincia; non fu, però, la stessa cosa con i Prefetti successivi (a cominciare da Enrico Laudanna) che diedero assoluta precedenza ad altro tipo di interventi sulla sicurezza, avvalendosi spesso di persone che si spacciavano per esperti ma che non avevano mai calcato la sabbia di un cantiere. Fortunatamente sulla vicenda dell’opuscolo informativo per i lavoratori portuali è intervenuto rapidamente

 il presidente Andrea Annunziata che avrebbe già tenuto un’apposita conferenza di servizi, con sindacati e rappresentanti dei lavoratori, al fine di dare una maggiore diffusione all’opuscolo di cui innanzi. Ma la diffusione non basta, e Annunziata lo sa benissimo; speriamo che quanto prima si attivi per dare alla diffusione del libretto anche dei contenuti altamente professionali, perché con la sicurezza non si scherza ed a nulla valgono, poi, i risarcimenti anche onerosi.

 

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