Dossier Salerno/1: esiste un sistema ?

Aldo Bianchini

SALERNO – Ma esiste davvero a Salerno un “sistema politico di potere” che coinvolge tutti gli schieramenti ? In città se lo chiedono, ormai, un po’ tutti e per quanto mi riguarda la risposta non è difficile: “Si a Salerno esiste un sistema politico di potere”. Punto. Esiste perché a distanza di venticinque anni si sono ricreate (forse non erano mai scomparse !!) le stesse condizioni che determinarono la caduta degli esponenti della cosiddetta prima repubblica, primi fra tutti Carmelo Conte e Paolo Del Mese tanto per fermarci alla nostra provincia; condizioni che prima o poi potrebbero (ma io toglierei il condizionale !!) determinare la caduta di colui il quale ha ereditato, fatto proprio ed elevato all’ennesima potenza, tutto il potere che fino allo scoppio di tangentopoli era concentrato naturalmente nelle sole mani di Conte e Del Mese che avevano fatto fuori intere generazioni di “validi” politici, a cominciare da D’Arezzo per finire a Scarlato; parlo di Vincenzo De Luca che ha gestito e gestisce un potere immenso, frutto della sua abilità politica ma soprattutto della sua grande abilità dialettica e mediatica. Loro, i due, erano i quarantenni d’assalto agli inizi degli anni 80, lui, il kaimano, è stato il quasi cinquantenne che è riuscito a sbaragliare tutti in forza di una invisibile ma consolidata presenza anche in seno alla Procura della Repubblica di Salerno, senza la quale un politico non va da nessuna parte; quella stessa Procura che ha tutte le carte in mano per smantellare anche questo straripante potere. Con questo articolo comincia un viaggio attraverso la realtà politico-imprenditoriale salernitana per riscrivere la storia che ha accompagnato, quasi per mano, un’intera provincia verso la consacrazione di un “sistema di potere” che prima o poi, lo si voglia o no, dovrà pur cedere il passo ad altre realtà che invisibilmente battono alle porte, sia dalla politica che dalla magistratura. Due entità che vanno a braccetto quando devono gestire e che si scontrano furiosamente quando devono affermare le rispettive leader-schip. La ricostruzione che mi accingo a compiere sarà lunga ed anche faticosa perché dovrò affrontare argomenti molto spinosi ed anche pericolosi, ma un giornalista se vuole fare il suo mestiere deve anche correre dei rischi; alludo ovviamente soltanto agli aspetti giudiziari della vicenda che potrebbero coinvolgermi. Parlavo, poco fa, delle condizioni che hanno determinato questo prolungato momento di assedio giudiziario al potere di Vincenzo De Luca che si sta rinchiudendo sempre di più nel suo “Fort Apache” da cui espelle e brutalizza chiunque pensa anche minimamente di tradirlo o di non ubbidirlo ciecamente; e se il suo potere sembra in questo momento estendersi ancora di più (non a caso l’ex senatore Andrea De Simone ha detto che il suo rivale dopo aver conquistato Palazzo Guerra vuole conquistare anche Palazzo Santa Lucia !!), sono congiuntamente aumentati i rischi di un collasso generalizzato. Perché ? Perche si sono ricreate tutte quelle condizioni che portarono al disfacimento della prima repubblica che l’allora gip Mariano De Luca descrisse brillantemente in una sua ordinanza di rigetto della richiesta di scarcerazione dell’ing. Raffaele Galdi; era il 21 settembre del 1992 e il magistrato così scriveva: —Non può dunque sottacersi che i fatti di causa costituiscono una delle non frequenti occasioni offerte alla giustizia per far luce sulla oscura e desolante realtà che sovente si annida nelle pieghe di istituzioni troppo facilmente permeabili ad interessi personalistici ed a sfruttamenti parassitari; lo squallido sottobosco che rigoglia ai margini del sistema istituzionale è nella vicenda processuale esemplarmente rappresentato e mostra, con la forza protervia dei fatti, come l’abbandono di ogni principio morale, il disprezzo verso i valori fondamentali della vita associata, il miope egoismo che tutto subordina al tornaconto personale siano ampiamente diffusi, sovente elevati a “sistema” di vita e tendenzialmente suscettibili di attentare alla stessa sopravvivenza dello stato di diritto, non meno di fenomeni delinquenziali assai più appariscenti ed eclatanti. Gli elementi probatori sin quì acquisiti, confermando puntualmente l’ipotesi accusatoria, hanno evidenziato non soltanto come protervia e scadimento morale possano indurre a ritenere fatto normale e fisiologico l’appropriazione privatistica di apparati e sistemi predisposti a tutela di interessi generali e collettivi, ma anche come ad una concezione così distorta non siano estranei professionisti stimati e di prestigio, esponenti di categorie cui certo non difettano gli strumenti per una corretta valutazione di simile forma di devianza … La prognosi comportamentale non può, dunque, che essere infausta–. Ventiquattro anni fa lo scritto del magistrato De Luca non mi convinceva fino al punto da ritenerlo una tracimazione dalla giustizia commutativa in quella distributiva; oggi con molta esperienza in più ritengo quello scritto non solo perfettamente illuminante ma anche drammaticamente calabile nella realtà di questi tempi. Insomma non è cambiato proprio niente, anzi le derive evidenziate dal gip risultano addirittura elevate all’ennesima potenza. Dal 1992 diversi magistrati che animarono l’azione di legalità assolutamente necessaria hanno appeso la toga ad un chiodo, alcuni di essi, però, sono rimasti in magistratura ed hanno assunto incarichi ancor più prestigiosi di quelli rivestiti in passato. In particolare alludo al p.g. Leonida Primicerio che nel 1993 fu protagonista di una strategia giudiziaria molto importante nell’essere riuscito a portare nell’ultima udienza del processo al “clan Maiale” un interrogatorio che era stato fatto poche ore prima nel carcere di Opera a Milano dal collega Antonio Centore a Pinuccio Cillari; interrogatorio che coinvolse i due big politici dell’epoca (Conte e Del Mese) non solo nel processo Maiale ma in altri grandi processi, tra i quali quello denominato “California”. Dunque per smantellare il sistema, al di là delle sentenze, ci vuole l’intelligenza tattico-strategica che non sempre tutti i magistrati possiedono. Leonida Primicerio ce l’ha, così come ha la grande occasione di entrare a piè pari nel processo (la nomina del project manager del termovalorizzatore) che è costato a Vincenzo De Luca una condanna in primo grado, la sospensione da sindaco, la possibile sospensione da governatore, e l’assoluzione in secondo grado di fronte ad un altro magistrato (Michelangelo Russo) che aveva animato l’azione di legalità del 1992. E se per il processo sulla “Fondovalle Calore” il gip Mariano De Luca riuscì a trovare le motivazioni giuste per farlo lievitare fino alle condanne (unico processo di tangentopoli finito con condanne passate in giudicato) è d’uopo che anche l’assolutamente integerrimo Leonida Primicerio trovi le giuste motivazioni per scrivere e depositare la richiesta del ricorso per Cassazione contro la sentenza d’appello del processo “project manager” che, comunque lo si guarda, fa acqua da tutte le parti e che potrebbe ritornare sulla cresta dell’onda anche, e non solo, per gli aspetti che riguardano l’esproprio dei suoli (inchiesta affidata al pm Antonio Cantarella che ha anche nella sua gestione l’inchiesta su Piazza della Libertà con tutte le intercettazioni vergognose acquisite dalla Procura), una inchiesta pericolosa che stenta a decollare e rischia la prescrizione. Il ricorso per Cassazione da parte della Procura Generale potrebbe essere la chiave del grimaldello per confermare l’esistenza del “sistema Salerno” (che non ha nulla a che vedere con il “modello Salerno” evocato da Assunta tartaglione, segretaria regionale del PD) e fermare definitivamente tutte le sue derive. Il processo sul famoso “reato linguistico” evocato dal governatore nasconde, invece, tantissimi aspetti sconcertanti che potrei riassumere in queste domande: 1) Perché il pm non ha scandagliato meglio la sequenza delle nomine di capo-staff e di project manager con le repentine sostituzioni di Criscuolo e Barletta; 2) Perché la sostituzione avvenne nel giro di appena quattro giorni dalla nomina iniziale di Criscuolo; 3) Perché non è stata analizzata a fondo la rottura eclatante tra De Luca e Criscuolo; 4) Perché poco tempo dopo Criscuolo lasciò il Comune per trasferirsi armi e bagagli in Provincia; ed ancora: 5) Perché non decolla l’inchiesta sugli espropri che rischiano la prescrizione; 6) Perché non vengono analizzate, una per una, tutte le situazioni dei proprietari dei suoli con le annesse cessioni e acquisizioni; ed infine: 7) Perché non viene rispolverata la richiesta di rimborso da parte della Provincia nei confronti di uno dei proprietari dei suoli, fatto avvenuto soltanto dopo che Criscuolo era arrivato nell’ente retto da Cirielli; 8) Chi e quanti risultano di fatto beneficiari dei pagamenti di danaro pubblico in funzione degli espropri; 9) A chi sono andati i soldi del mega progetto del termovalorizzatore che la Provincia ridimensionò approvandone uno completamente diverso; 10) A chi sono andati i soldi dei sondaggi archeologici esperiti con l’avallo della Soprintendenza e di un noto geologo salernitano. Giovanni Falcone scrisse che seguendo il “flusso dei soldi” si poteva arrivare a capo degli intrecci tra politica e affari; un insegnamento, quello di Falcone, che oggi è più mai di grande attualità. Ebbene, soltanto rispondendo alle domande sopra indicate si potrà capire se c’è stato un giro di soldi e dove sono finiti: ma soprattutto si potrà capire se il “sistema Salerno” esiste e come esercita il suo immenso potere. E chi, infine, come il pm Antonio Cantarella ha il quadro abbastanza chiaro, avendo nella sua disponibilità inchieste molto particolari, potrebbe davvero imprimere l’accelerazione giusta per reprimere definitivamente “lo squallido sottobosco che rigoglia ai margini del sistema istituzionale”, anche perché queste sono per davvero le non frequenti occasioni offerte alla giustizia per far luce sulla oscura e desolante realtà. Le crepe, seppure piccole, nel sistema si sono aperte, è sufficiente infilarci il coltello della giustizia.

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