Amato: un crac pieno di dubbi !!

 

 

Aldo Bianchini

 

SALERNO – “Raffiche di assoluzioni e poche condanne”, questi i titoli dei giornali e dei telegiornali che in questi ultimi giorni stando dando al pubblico la notizia della conclusione di uno dei tanti processi per la vicenda giudiziaria legata al “crac Amato”, cioè alla fine del pastificio noto in quasi tutto il mondo. Nessuno si è posto ed ha posto la domanda “Ma questo scandalo giudiziario era proprio necessario ?”, non solo per la già macilenta economia salernitana ma anche per l’onorabilità delle persone coinvolte.

Una domanda che da sola potrebbe portare nuova luce sul modo con cui la giustizia viene amministrata dagli uomini nel distretto giudiziario salernitano. Non riesco a capire, difatti, quale validità nell’impianto accusatorio possa aver avuto una costruzione accusatoria che ha tenuto in scacco ed in ansia una città intera e che, nel frattempo, ha prodotto o a contribuito a produrre lo sfascio di uno degli imperi più solidi del secolo scorso.

A cosa serve, infatti, un processone contro 26 imputati se alla fine 19 di essi vengono assolti; purtroppo queste riflessioni la stampa locale non li pone all’attenzione pubblica e si limita soltanto a pubblicare i nomi dei condannati e quelli degli assolti, come se la pura e semplice elencazione possa soddisfare l’esigenza di capire e la voglia di sapere della gente comune.

Queste riflessioni, ovviamente, non erano di competenza del collegio giudicante, formato da Fabio Zunica (presidente), Marilena Albarano (giudice) e Ginevra Piccirillo (giudice onorario), che ha sentenziato le sette condanne e le diciannove assoluzioni.

E si ripropone l’antico problema dei condannati di grido che pur sapendo non parlano, a meno di pensare che pur non sapendo nulla sono stati condannati in forza di una concezione distorta del problema giustizia che non ha consentito, neppure questa volta, di raggiungere gli obiettivi principali (cioè l’individuazione dei veri colpevoli del crac) di quella che è da considerare, alla luce della sentenza, come una strategia di attacco nei confronti del “sistema di potere” che da oltre venti anni governa la città e la sua provincia.

Ma questa, scusatemi l’ardire, non è affatto giustizia e l’intera vicenda smaschera l’inefficienza e l’inefficacia delle attuali strategie investigative che basano la loro azione soltanto sulle delazioni e/o sulle intercettazioni avendo da decenni abbandonato la linea di pensiero che vedeva nelle indagini classiche la via maestra per arrivare all’individuazione precisa e sicura dei capi d’imputazione ed all’identità personale dei presunti responsabili. Qui invece abbiamo assistito alle classiche indagini a strascico che, se sono vietate nella pesca, figurarsi come dovrebbero essere contrastate quando si parla di uomini in carne ed ossa e non di semplici pesci in acqua.

E’ vero che la sentenza Zunica-Albarano-Piccirillo è soltanto una piccola fetta del grande caso giudiziario che ha travolto il pastificio Amato ma è altrettanto vero che questa fetta era considerata, un po’ da tutti, come una di quelle principali dell’intero impianto accusatorio contro tutti quelli che avevano contribuito, a vario titolo, a creare la bancarotta che per il “collegio giudicante” è stata semplice e non fraudolenta.

Ancora una volta, quindi, al sistema giustizia sfugge il bandolo della matassa che si sfila via con grande abilità ed astuzia facendo leva sulla immutabile silenziosità di chi, pur di non parlare, si carica sulle spalle responsabilità pesantissime che se oggi possono apparire più leggere (il collegio ha dimezzato le pene !!) potrebbero, invece, domani appalesarsi durissime sul piano del pagamento del conto finale.

Questa è la mia sensazione in base alla quale posso fare a meno anche di elencare pedissequamente tutti e 26 i nominativi di gente, nota e meno nota, della Salerno bene ed anche della Salerno sconosciuta; mi permetto di fare soltanto un nome: Luigi Anzalone; e lo faccio con rabbia perché, conoscendo molto bene Gigi, il fatto che venga tenuto ancora sulla graticola dal collegio giudicante, che ha trasmesso gli atti alla Procura, mi appare davvero molto ingiusto nei confronti di una persona che ha dato il meglio della sua vita alla causa comune del pastificio riuscendo molto spesso a bilanciare le richieste del cavaliere e dei suoi familiari con le esigenze di sopravvivenza di un impero industriale che ha fatto la storia economica della nostra provincia rilanciando il nome di Salerno in tutto il mondo. Il caso Anzalone è un caso a parte che fa capire ancora meglio il cattivo funzionamento della giustizia perché, è bene dirla tutta, Gigi rappresenta gli antipodi delle vere responsabilità se diamo per scontato che su tutti c’è un dominus, in mezzo un enorme guado di melma e sabbie mobili, e sull’altra sponda c’è chi ha lottato, finchè ha potuto, per la sopravvivenza dell’impero.

Ma questa è la giustizia, amici lettori, e dobbiamo farcene tutti una ragione.

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