Sessant’anni senza il “Campionissimo” Fausto Coppi

dr. Vincenzo Mele
SALERNO – Durante il Giro d’Italia del 1949, il radiocronista Mario Ferretti, nella terzultima tappa, la Cuneo-Pinerolo, esordì al microfono pronunciando una frase che rimarrà nella storia del ciclismo italiano: “Un uomo solo al comando; la sua maglia è biancoceleste; il suo nome è Fausto Coppi”.
Originario di Castellania, in provincia di Alessandria, rinominata in seguito Castellania Coppi, Fausto Coppi nacque il 15 Settembre 1919. Venne scoperto e lanciato da Biagio Cavanna, allenatore e massaggiatore di altri nomi importanti del ciclismo italiano come Learco Guerra e Costante Girardengo.
Coppi era un grande scalatore, un buon cronoman ed un eccellente passista: in pratica il ciclista perfetto, adatto su ogni tipo di strada.
Soprannominato “l’Airone” o anche “Campionissimo”, in venti anni di carriera mise in bacheca ben cinque Giri d’Italia, due Tour de France, cinque Giri di Lombardia, tre Milano-Sanremo e una Parigi-Roubaix. Coppi è il secondo ciclista più vincente di tutti i tempi dopo il belga Eddy Merckx. Rappresentò l’Italia e partecipò al Mondiale di ciclismo su pista nel 1947 e nel 1949, allenato da Learco Guerra prima e successivamente da Alfredo Binda, e trionfò al Mondiale di ciclismo su strada nel 1953, guidato sempre da Alfredo Binda. Celebre fu la rivalità con Gino Bartali che ha diviso l’Italia del Secondo dopoguerra.
Coppi morì il 2 Gennaio 1960 di malaria dopo un viaggio a Ouagadougou, in Burkina Faso, con i ciclisti francesi Raphaël Géminiani e Jacques Anquetil. I medici italiani sbagliarono la diagnosi, errore che portò alla tragica scomparsa del “Campionissimo” a soli 40 anni.
Sessant’anni dopo la sua morte, Fausto Coppi, grazie alle sue indimenticabili imprese sulle due ruote, è ancora tra i ciclisti più amati di tutta Italia insieme all’eterno amico-rivale Gino Bartali, con cui diede vita ad alcune delle pagine più memorabili dello sport italiano.

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