Covid-19: I criteri dell’Inail per l’erogazione delle prestazioni assicurative ai lavoratori che hanno contratto il virus .Il contagio come infortunio sul lavoro ?

Dr. Pietro Cusati

dr. Pietro Cusati - giurista, giornalista

Roma,16 maggio 2020 .Nella patria del diritto la diffusione del Covid-19 ha prodotto in tre mesi  troppi  provvedimenti contradditori che hanno aggiunto solo confusione o come si dice a Napoli solo ‘’ammuina’’. Non  ultima una circolare dell’INAIL del 3 aprile 2020 che In caso di infezione da nuovo Coronavirus, verificatisi in occasione di lavoro,  secondo l’indirizzo vigente in materia di trattazione dei casi di malattie infettive, l’Inail tutela tali affezioni morbose, inquadrandole, per l’aspetto assicurativo, nella categoria degli infortuni sul lavoro. Tale interpretazione a mio avviso non può essere condivisa. Pertanto, nel caso in cui risultasse provato che il lavoratore abbia contratto il virus nell’ambiente di lavoro e fosse riscontrata la mancata adozione da parte del datore di lavoro delle misure imposte dalla normativa il datore di lavoro potrebbe rispondere del reato di lesioni personali ,gravi o gravissime e, comunque aggravate dall’averle commesse con la violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, a norma dell’articolo 590 del codice penale o, nel caso di decesso, di omicidio per colpa grave ,articolo 589 del codice penale. I criteri applicati dall’Inail per l’erogazione delle prestazioni assicurative ai lavoratori che hanno contratto il virus sono totalmente diversi da quelli previsti in sede penale e civile, dove è sempre necessario dimostrare il dolo o la colpa per il mancato rispetto delle norme a tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori. Dibattito in atto  sui profili di responsabilità  per le infezioni da Covid-19 di cui l’INAIL abbia accertato l’origine professionale. Non si possono confondere, infatti, i criteri applicati dall’Inail per il riconoscimento di un indennizzo a un lavoratore infortunato con quelli totalmente diversi che valgono in sede penale e civile, dove l’eventuale responsabilità del datore di lavoro deve essere rigorosamente accertata attraverso la prova del dolo o della colpa. Occorre tenere ben presente che l’ammissione del lavoratore contagiato alle prestazioni assicurative Inail non assume alcun rilievo né  in sede penale, né in sede civile, perché ai fini del riconoscimento della responsabilità del datore di lavoro è sempre necessario l’accertamento della colpa nella determinazione dell’infortunio, come il mancato rispetto della normativa a tutela della salute e della sicurezza. Infatti i numerosi e possibili modi di essere contagiati rendono  difficile configurare la responsabilità dei datori di lavoro. E’ opportuno una legge   finalizzata a corroborare la presunzione assoluta di innocenza dell’imprenditore “virtuoso” in cui si prevedesse l’immunità dalla responsabilità penale nel caso in cui egli abbia adottato , in maniera conforme e adeguata , tutte le misure previste dai Protocolli condivisi. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza della Suprema  Corte di Cassazione : “non risponde delle lesioni personali subite dal lavoratore, il datore di lavoro che, dopo avere effettuato una valutazione preventiva del rischio connesso allo svolgimento di una determinata attività, ha fornito al lavoratore i relativi dispositivi di sicurezza ed ha adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia. Pertanto è opportuno escludere con una legge   la punibilità dell’imprenditore “virtuoso” nel caso in cui abbia rispettato le “linee guida” fissate dai Protocolli condivisi. Infine il Governo, ha approvato il 15 maggio 2020, un decreto-legge che introduce ulteriori misure per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19. Il provvedimento delinea il quadro normativo nazionale all’interno del quale, dal 18 maggio 2020 al 31 luglio 2020, con appositi decreti od ordinanze, statali, regionali o comunali, potranno essere disciplinati gli spostamenti delle persone fisiche e le modalità di svolgimento delle attività economiche, produttive e sociali. A partire dal 18 maggio 2020, gli spostamenti delle persone all’interno del territorio della stessa regione non saranno soggetti ad alcuna limitazione. Fino al 2 giugno 2020 restano vietati gli spostamenti, con mezzi di trasporto pubblici e privati, in una regione diversa rispetto a quella in cui attualmente ci si trova, così come quelli da e per l’estero, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza o per motivi di salute, resta in ogni caso consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza. A decorrere dal 3 giugno 2020, gli spostamenti tra regioni diverse potranno essere limitati solo con provvedimenti statali adottati ai sensi dell’articolo 2 del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, in relazione a specifiche aree del territorio nazionale, secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio epidemiologico effettivamente presente in dette aree.Tali norme varranno anche per gli spostamenti da e per l’estero, che potranno essere limitati solo con provvedimenti statali anche in relazione a specifici Stati e territori, secondo principi di adeguatezza e proporzionalità al rischio epidemiologico e nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea e degli obblighi internazionali. Resta vietato, l’assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico. Per garantire lo svolgimento in condizioni di sicurezza delle attività economiche, produttive e sociali, le regioni monitorano con cadenza giornaliera l’andamento della situazione epidemiologica nei propri territori e, in relazione a tale andamento, le condizioni di adeguatezza del sistema sanitario regionale. I dati del monitoraggio sono comunicati giornalmente dalle regioni al Ministero della salute, all’Istituto superiore di sanità e al Comitato tecnico-scientifico. In relazione all’andamento della situazione epidemiologica sul territorio, la singola regione, informando contestualmente il Ministro della salute, può introdurre misure derogatorie, ampliative o restrittive, rispetto a quelle disposte a livello statale. Il mancato rispetto dei contenuti dei protocolli o delle linee guida regionali o, in assenza, nazionali, che non assicuri adeguati livelli di protezione, determina la sospensione dell’attività economica o produttiva fino al ripristino delle condizioni di sicurezza. Salvo che il fatto costituisca reato diverso da quello di cui all’articolo 650 del codice penale (“Inosservanza dei provvedimenti dell’Autorità”), le violazioni delle disposizioni del decreto, o dei decreti e delle ordinanze emanati per darne attuazione, sono punite con la sanzione amministrativa di cui all’articolo 4, comma 1, del decreto-legge 25 marzo 2020 n. 19, che prevede il pagamento di una somma da euro 400 a euro 3.000, aumentata fino a un terzo se la violazione avviene mediante l’utilizzo di un veicolo. Nei casi in cui la violazione sia commessa nell’esercizio di un’attività di impresa, si applica altresì la sanzione amministrativa accessoria della chiusura dell’esercizio o dell’attività da 5 a 30 giorni. Ove necessario per impedire la prosecuzione o la reiterazione della violazione, l’autorità procedente può disporre la chiusura provvisoria dell’attività o dell’esercizio per una durata non superiore a 5 giorni, eventualmente da scomputare dalla sanzione accessoria definitivamente irrogata, in sede di sua esecuzione. In caso di reiterata violazione della medesima disposizione la sanzione amministrativa è raddoppiata e quella accessoria è applicata nella misura massima.

 

 

 

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