MONSIGNOR FRANCESCO PERROTTA HA PRESENTATO IL LIBRO Le Epigrafi ARIENZO – S. FELICE A CANCELLO – S. MARIA A VICO

[è durata anche troppo, smascherata finalmente, la fake news -‘usque hodie’?-

“Paolo Pozzuoli … Morì addì 8 marzo del 1799 in Arienzo, nel convento de’ cappuccini, e venne tumulato in quella collegiata di S. Andrea apostolo, ma senza neppure una lapide che ricordi un tanto vescovo alla posterità” pubblicata su “Vitulazio:

con Mons. Pietro Lagnese sono tre i vitulatini eletti alla dignità Vescovile. Ricerca storica di Gianni Pezzulo (Piccola Editalia) Eugenio Cionti. Dalla Parrocchia, Prima Pagina, Vitulazio Notizie, giugno 12 th, 2013”]

di Paolo Pozzuoli

C’è sempre qualcosa di originale e di bello, ovvero il bello che contiene anche il buono sicchè, essendo inseparabili, si uniscono e si confondono, compendiano e sintetizzano l’idea della perfezione in ogni nuova opera di Monsignor Francesco Perrotta. Ne ‘Le Epigrafi’ (ARIENZO – S. FELICE A CANCELLO – S. MARIA A VICO), questa sua bellissima opera, prossima ad essere licenziata alle stampe, c’è tutto: dalla religione alla storia, dalla cultura all’arte, dalla pittura all’architettura, dalla scultura alla miscellanea ed alla “PREGHIERA COME SOSTEGNO” «ATTENDERE, AMANDO», a chiusura dell’opera; e poi, poi, i personaggi, indigeni e non, i quali, grazie alle loro cultura, saggezza, incredibili opere e straordinari sacrifici personali, hanno contribuito a far sì che la Valle di Suessola non abbia niente da invidiare alle più blasonate e ambite città d’arte e di cultura.

Per non togliere al lettore, allo studioso, al curioso, la gioia di godere ogni pagina del libro, ci limitiamo a riportare soltanto i titoli di quanto compreso nella MISCELLANEA: GAUDELLO, MALIGNITÀ, A S. Ecc. Mons. GUERINO GRIMALDI, epigrafe recuperata nello SCALONE DI UNA CASA DI NOBILI in S. MARIA A VICO, L’ACROSTICO DEL CATTEDRATICO NICOLA VALLETTA, OSSERVAZIONI DEI CONTADINI, il vocabolo PALINDROME, una rarità.

Ecco, mentre si resta in attesa di un fattivo, proficuo intervento da parte del fior fiore dei politici, espressione del territorio sia a livello nazionale (Camera dei Deputati e Senato della Repubblica) che regionale (Consigliere della Campania), con ‘Le Epigrafi’, Monsignor Perrotta, oltre che con convegni e conferenze, continua con i suoi libri a dare un robusto contributo alla valorizzazione della sua Valle perché possa finalmente decollare e collocarsi nella posizione che le compete di diritto.

Nessuna ‘rete’, nessun veicolo pubblicitario, nemmeno uno sponsor di spessore per elevare e portare la Valle oltre i suoi confini naturali e sistemarla laddove merita (… è vero che non è mai troppo tardi per mettersi al lavoro e stilare un programma di sviluppo e promozione, una fattiva e sostanziosa strategia di comunicazione, cercando di unire – laddove di gradimento – all’arte ed alla cultura anche percorsi enogastronomici, ma, prima si comincia e meglio è).

‘Le Epigrafi’ può, a buon diritto, vantare altre due peculiarità: libro-dote per ogni famiglia; libro da inserire fra i testi scolastici. Quindi, da studiare ed approfondire attraverso programmate visite guidate, sul posto. In proposito, ci piace ricordare la visita guidata effettuata da una classe della scuola media “L. Settembrini” di Maddaloni a Roma in occasione della mostra “l’oro dei Cesari”. Ebbene, una volta a destinazione, ogni alunno, ciascuno con gli attrezzi da lavoro, si preoccupò di raggiungere direttamente la postazione assegnatagli a monte. Meravigliò non poco gli astanti quel movimento ‘strano’ che, lì per lì, lasciò tutti perplessi. Alla fine però, per tutti i ragazzi ed i docenti, scattarono applausi ed attestazioni di stima e compiacimento sia da parte dei visitatori che dei funzionari e vigilanti. Bene, far tesoro e ripetere siffatte esperienze è senz’altro un valore aggiunto non solo per la propria cultura ma anche e soprattutto per una cultura storica personale.

«“Le Epigrafi” di Mons. Francesco Perrotta, ‘mostro di sapere’», per Salvatore Verdone, uno dei massimi esperti di economia e revisore dei conti presso lo Stato ed altre istituzioni pubbliche, fine letterato, e di specchiata onestà morale e intellettuale, «costituiscono un magnifico capolavoro a valenza storico-letteraria indispensabile soprattutto per i cittadini del territorio interessato alla ricerca: Arienzo, San Felice a Cancello, Santa Maria a Vico. Fortunati coloro che hanno avuto il privilegio di essere guidati dall’illustre Monsignore, autore di diversi studi monografici dei quali ho avuto il piacere di apprezzarne lo stile letterario, chiaro e semplice, in una sobria esposizione organica, funzionale ed appassionante che rende l’opera in esame particolarmente interessante sotto ogni aspetto. Stupenda la prefazione che evidenzia come il passato, presente e futuro soggiacciono armonicamente ad un legame inscindibile ed alimentano “la tradizione” intesa a far consegnare alle generazioni future “le memorie, la testimonianza, le evidenze, le opinioni, gli usi ed i costumi quale autorevole patrimonio del passato. Impreziosiscono il testo le traduzioni simultanee in italiano dalle innumerevoli epigrafi in lingua latina, il tutto frutto di paziente ricerca ed instancabile applicazione al manto culturale. Interessante la miscellanea a conclusione dell’opera che fortifica gli usi e costumi del popolo con la specifica appartenenza alla civiltà contadina». E Salvatore Verdone conclude con «Un grazie infinito all’ispettore Paolo Pozzuoli che mi ha concesso l’opportunità di scoprire questo “tesoro letterario” che mi ha consentito di approfondire anche e per la prima volta la vita e l’opera del suo omonimo illustre antenato, Ecc. Paolo Pozzuoli, vescovo della Diocesi di Sant’Agata de’ Goti». Ecco, non possiamo fare altro che continuare a nutrire una riconoscenza profonda e straordinaria, imperitura e sincera, uno smisurato affetto filiale, un sentito, affettuoso ringraziamento da parte della famiglia Pozzuoli e mio personale per l’ill.mo Monsignor Francesco Perrotta, fonte di sapere, prezioso per etica e cultura, suggerimenti ed insegnamenti, per anni Arciprete della Collegiata S. Andrea in Arienzo dove è sepolto il Vescovo Paolo Pozzuoli, che non solo si è adoperato per contattare i discendenti, ma ha avuto e continua ad avere sentimenti di vero affetto illustrandoci l’iter pastorale del Vescovo Paolo Pozzuoli e motivandoci a rinnovarne la memoria.

Per tutto quanto precede, “Le Epigrafi”, sua stupenda pubblicazione, va ad incastonarsi – è vero – nella bellissima storia della Valle di Suessola, ma apre anche una breccia nell’altrettanto bella e ricca storia della Arcidiocesi di Capua, diventa una pietra miliare nella storia frammentaria ed ancora tutta da scrivere di Vitulaccio, l’antico casale di Capua, ed attesta l’incondizionata stima nutrita da Monsignor Perrotta per S. Ecc. Mons. Paolo Pozzuoli, dai natali vitulatini, vescovo di Sant’Agata de’ Goti dal 4 marzo 1792 all’8 marzo 1799. Del Vescovo Paolo Pozzuoli, fiore e vanto della famiglia, ma patrimonio delle comunità e di tutta la Chiesa di Cristo, è stata del tutto trascurata, per non dire ignorata la memoria e giammai ci si è adoperati per rinnovarla (… un timido cenno “Vitulaccio vantasi d’aver dato un illustrissimo Vescovo alla sede di S. Agata de’ Goti” lo troviamo nell’opera “STORIA DI PIGNATARO E DEL SUO CIRCONDARIO”, a pag.187 (UOMINI ILLUSTRI), del canonico don Giovanni Penna edito nel 1830) e, dopo oltre un secolo e mezzo, nel libro “INFANDUM RENOVARE … DOLOREM” del compianto e mai dimenticato generale Armando Scialdone, in cui vengono ricordati gli alti prelati di Vitulazio, descritti come le ‘eccellenze nostrane’, e, fra le tante, uno speciale riferimento a Monsignor Paolo Pozzuoli, vescovo di Sant’Agata de’ Goti, per il quale particolare interesse manifestava don Antonio Iodice, Gran Penitenziere di Capua, da ‘spingerlo’ ad affermare che «sarebbe in odore di beatificazione» e Monsignor Alessandro Scialdone, vescovo di Avila. Insomma, nessun altro, né le autorità religiose né quelle civili e nemmeno le politiche che si sono succedute nel corso degli anni si sono preoccupate, a memoria della comunità, di conoscere e tramandare la storia ed i personaggi illustri che in Vitulazio hanno avuto i natali che dovrebbero conoscere bene, a prescindere. D’altra parte, una profonda ma purtroppo triste riflessione ci porta ad evidenziare che questo popolo, solito identificarsi con l’idolo del momento, lo dimentica totalmente una volta tramontato, finito (… sufficienti, infatti, poco più di due decenni per dimenticare l’on. Pierino Lagnese, signore anche della Politica, amato, benvoluto ed ammirato, massima espressione civile e politica della comunità nella seconda metà del secolo scorso). E, fortunatamente, c’è chi non dimentica: Casapulla (Comune e Comitato per le celebrazioni del Vescovo Natale) non ha dimenticato il suo vescovo (in Vico Equense) Monsignor Michele Natale (… presso l’eccellentissimo Seminario di Capua è stato allievo del vescovo Paolo Pozzuoli, al tempo insegnante di Logica e Metafisica) e, in occasione della Ricorrenza del II anniversario della Repubblica Napoletano e del sacrificio del suo Vescovo (1799), ha organizzato un Convegno di studio “Il Vescovo Natale ed il suo impegno religioso e sociale”. Ma, con il Vescovo Paolo Pozzuoli, Vitulazio è andata … oltre, inficiandone artatamente la biografia, gonfiata con notizie degne del più abile dei falsari [V. “Ricerca storica di Gianni Pezzulo (Piccola Editalia) Eugenio Cionti. Dalla Parrocchia, Prima Pagina, Vitulazio Notizie. giugno 12th, 2013. Paolo Pozzuoli – ……………  Morì addì 8 marzo del 1799 in Arienzo, nel convento de’ cappuccini, e venne tumulato in quella collegiata di S. Andrea apostolo, ma senza neppure una lapide che ricordi un tanto vescovo alla posterità”]. ‘NEPPURE UNA LAPIDE CHE LO RICORDI’. Come dire: caro Vescovo Pozzuoli, non puoi pretendere di essere ricordato in Patria dal momento che anche tu sei transitato ‘ut gloria mundi’ nonostante tutto quello che hai fatto nella tua Diocesi!

Troppo forti le distanze, quasi impossibile il confronto, assolutamente non potrebbe reggere … fra il Vescovo Pozzuoli e chi è stato così meschino, così spudorato, così gretto, così sprovveduto, così indegno da dare facoltà a due poveri cristi, due tapini, di aggiungere alla breve biografia del Vescovo Pozzuoli, le parole, inventate e false, “senza neppure una lapide che ricordi un tanto vescovo alla posterità”.

Al suggeritore ed agli amanuensi esecutori non possiamo fare altro che augurare di saper imitare cotanto Vescovo, “dotato di una dolcezza di carattere senza uguali, noto per saggezza e cultura, che unì eminenti virtù alla straordinaria umiltà d’animo”, esempio di carità, cultura, umanità.

Paolo Pozzuoli

IL MAGNIFICO DON FRANCO GALEONE, SALESIANO, PRO-TEMPORE PRESSO L’ISTITUTO “SACRO CUORE” DI NAPOLI-VOMERO, NEL SUO LIBRO Dio è la nostra Felicità, FRESCO DI STAMPA, HA TRATTEGGIATO LA STORIA DELLA RELIGIONE                                                                  (dai tempi in cui l’uomo, per scrollarsi di dosso sia sensi di colpa sia per onorare Dio, sacrificava, ammazzandoli, attraverso riti particolarmente cruenti, animali solo di determinate specie, offerti come espiazione, ai tempi vissuti con il proposito di cambiare cuore, un cuore nuovo, senza sacrifici, e la piena consapevolezza che la verità più congeniale del vangelo è ciò che rende più felici gli uomini e ciò che più ci avvicina a Dio, e Gesù, sempre sensibile ai bisogni degli altri – faceva il bene passando – è stato e rimane accogliente, amico dei peccatori, pronto a perdonare, mai a condannare) di Paolo Pozzuoli

“Questo è il mio testamento spirituale”: è la frase pronunciata con voce un po’ sofferta e in un certo senso appagata più per testare la reazione di chi gli stava vicino ad ascoltare che per convinzione personale dal magnifico don Franco Galeone nel consegnarci – squisito pensiero, generoso e inestimabile dono – una copia  del suo libro “Dio è la nostra Felicità”, appena licenziato dalle stampe (“Universal Book – s.r.l. – Rende (CS), Copyright “L’Aperia – Società Editrice – s.r.l. – Caserta”), corredato di un’attenta, approfondita e interessantissima prefazione del ch.mo Vescovo Emerito di Caserta,  Mons. Raffaele Nogaro, frase che ci ha sconvolti emotivamente avendo sentito il sangue vibrare nelle vene e colto una palpitazione e un fremito diversi, mai avvertiti in precedenza. Tale stato si è accentuato all’arrivo, improvviso e non previsto dell’avv. Alfonso Cangiano, geniale Notaio della Repubblica, in compagnia della dolce Stefania, avendo ritenuto la sua presenza strettamente legata all’attività professionale, procedere cioè a rogare il relativo atto (notarile) sottoscrivendolo e apponendo l’impronta del sigillo una volta chiusi e imballati penna e pc., pronti ad essere definitivamente archiviati. Fortunatamente, niente di tutto questo. Nessun atto, nessuna impronta testamentaria comune, tradizionale. Infatti, l’arrivo del Notaio Alfonso Cangiano, sempre ultra sensibile e pregevole, era semplicemente da riferirsi alla presenza di don Franco, di cui era stato informato. Ma, cosa avrà inteso dire il buon don Franco pronunciando “questo è il mio testamento spirituale”? Cosa potrebbe celarsi dentro questa sua frase? La prima risposta, immediata, che osiamo azzardare è: ‘speriamo non sia uno scherzo da … prete’! A seguire, la domanda: ‘possibile che il carissimo don Franco abbia all’improvviso deciso di appendere la penna al classico chiodo o dismettere il pc.?’. Allora, perché? Questa sua frase avrà certamente delle solide fondamenta, ma il difficile è scavare, scandagliare e trovare il filo che ci faccia riflettere e quindi possa illuminarci e guidarci sulla strada da imboccare e poi percorrere per andare incontro a Nostro Signore, nostra unica Felicità. Don Franco si è calato in tutti i gangli religiosi scandagliandoli con uno studio analitico, sottile e felice che gli ha consentito di svelarci cose incredibili, impensabili, indescrivibili, inenarrabili, a volte anche irriverenti – quante discrasie dai primordi della chiesa! – al fine di rivelare e porgerci sul palmo di mano la grandezza e la misericordia di Dio. “Dio è la nostra Felicità” è uno dei libri più belli scritti da don Franco. In esso, ogni parola, ogni frase, ogni versetto sembrano avulsi, disgiunti da tutti gli altri e, per giunta, senza un filo conduttore, avviati su binari paralleli, destinati a non incontrarsi mai, per cui è anche difficile trovare una spiegazione logica. Ma, non è affatto così! Il tutto, infatti, a ben riflettere, è finalizzato ad abbracciare e fondersi in uno con il Sommo Bene, la Felicità eterna cui dobbiamo tendere mettendo in atto tutte quelle opere che ci danno gioie non effimere, che generalmente si colgono nell’attimo fuggente per poi svanire nell’immediatezza, nel medesimo istante. L’incipit è iniziare dalle piccole gioiose partecipazioni – come dire i seminatori felici i quali, nonostante abbiano raccolto poco su terreni fertili, sanno di poter, in un futuro prossimo, raccogliere sempre di più laddove pronti a confidare nella fede e a compier gesti spontanei (fatica laboriosa) cui sono avvezzi -. Dalla felicità terrena, terminale dell’impegno profuso in ogni azione, alla gioia di raccogliere i consequenziali frutti il passo è breve. Aspirare, tendere alla felicità non significa stare inoperosi, oziare – come si diceva una volta – all’ombra di un fico con la bocca aperta aspettando che cada dall’albero un frutto maturo e/o aspettare che ci arrivi dal cielo un paniere pieno di cibarie, è ‘semplicemente’ il fine di un continuo muoversi, operare, divenire. La felicità per un cadeau appena ricevuto, per una carezza o un bacio sulla guancia, per una frase che ci commuove è solo un momento e, con l’andare del tempo, ritorna nello scrigno dei ricordi per poi venirne fuori quando ci assale un senso di tristezza, afflizione, sconforto, sofferenza, preoccupazione. Insomma, tutto legato al presente, effimero per eccellenza, che fa da spartiacque fra un passato che ci fa vivere di ricordi e un futuro tutto da costruire. Ma è proprio sugli impegni futuri che va poggiata ogni nostra azione viva e produttiva. Ecco, allora, il libro di don Franco Galeone “Dio è la nostra Felicità”: si legge e si rilegge, a volte è tosto e sconvolgente, altre ci dà speranza e ci infonde coraggio; parte dall’antico evidenziando crudeltà, violenze, sacrifici, spargimenti di sangue al fine di ottenere grazia e perdono e, una volta messe da parte tutte queste obbrobriose atrocità – eh! ce ne sono voluti di secoli – finalmente la luce, la verità “Dio è in quel pezzo di pane che si dona (… il dono è sempre un privilegio, un regalo è quindi gratuito ma che va ricambiato con la fedeltà) ed entra in comunione con noi e in quel calice cui beviamo in cerimonie particolari”. Sotto certi aspetti è la storia della chiesa rappresentata in tante sfaccettature. Sì, il libro di don Franco è come un dipinto prezioso. Le sue sono pennellate d’autore che illustrano e illuminano il lettore mentre guarda, sfoglia, legge e riflette intimamente, senza relazionarsi, al fine di evitare confronti e scongiurare non improbabili ‘liti di pensiero’.  Ma, attenzione, sono riflessioni ardite, totalmente distinte e diverse dallo spirito evangelico, che potrebbero portarci anche fuori le righe, farci sbandare. E qui, don Franco, con la sua pennellata finale, sintetizzando l’opera con il titolo “Una conclusione … per non finire!”, viene a soccorrerci, sostenerci, consolarci. Ed è, in un certo senso, quanto speravamo sicchè don Franco, ancora lontano dal suo testamento spirituale, possa darci con un nuovo libro l’interpretazione autentica del suo meraviglioso “Dio è la nostra Felicità”.                                                                                                                                                Ed ora, con vera gioia, ci piace riportare anche il pensiero del dottor Salvatore Verdone, fan di don Franco Galeone, della prima ora: “Ho letto con moltissimo interesse e con immenso piacere” – afferma Salvatore Verdone, insigne studioso e cultore di scienze economico-finanziarie nonché di arti a largo raggio ivi comprese letteratura, poesia, religioni, ecc. – “l’ultimo capolavoro di don Franco Galeone ‘Dio è la nostra Felicità’, avuto dall’ispettore Paolo Pozzuoli, al quale vanno i sentimenti di profonda gratitudine per la particolare opportunità concessami. Attraverso altre grandiose opere ho già avuto modo di apprezzare la profondità del pensiero religioso di don Franco Galeone, noto ebraista, giornalista pubblicista, ed anche grande comunicatore come rilevato dalle sue bellissime omelie raccolte in specifici testi, nonché dalle sue conferenze, sempre su tematiche diverse, che catturano così bene l’attenzione dei presenti per cui diventa impossibile potersi distrarre. Le sue sono sempre delle vere e proprie ‘Lezioni di vita’ che affascinano sia per l’alto stile letterario sia per i contenuti spesso innovativi, a volte sconvolgenti per la straordinarietà del pensiero. Ed è quanto avvertito in questo suo ultimo libro nel quale, oltre alla sua infinita preparazione, si trasfonde la grande passione nel donare agli altri, senza reticenza o ritrosia, un servizio meraviglioso costituito da una continua riflessione sulle complesse tematiche trattate. Il tutto in perfetta armonia con quanto proclamato da Gesù e conservato negli atti degli Apostoli ‘c’è più gioia, felicità nel dare che nel ricevere’ (20,25)”. E Salvatore Verdone continua: “senz’altro esemplare la magistrale prefazione del Vescovo Emerito Mons. Raffaele Nogaro che, dando assicurazione che dalla lettura del testo ‘nessuno rimarrà deluso’, rafforza il presupposto che la stessa lettura suscita una forte bramosia di ulteriori approfondimenti”. Indi aggiunge: “messo da parte il massimario dottrinale dell’infanzia ‘Dio è l’Essere perfettissimo, creatore assoluto del cielo e della terra’, nonché la visione giustizialista insita nell’Antico Testamento, la stupenda introduzione dell’autore sintetizza i quattro capitoli, in angolature diverse, ‘Dio, Gesù, chiesa, etica’, sviluppati in un’unica tematica: 1) Dio è padre con il cuore di madre; 2) Gesù è il rivelatore dell’amore del Padre; 3) la vera chiesa è là dove c’è più amore; 4) l’etica, dal dovere alle beatitudini, dall’obbedienza alla sequela’” e conclude sostenendo che “l’ultimo paragrafo del testo (cap.4, par.6), raccogliendo con eloquenza alcune affermazioni in riferimento alla definizione del peccato ‘ciò che offende Dio’, è tra gli spunti di riflessione più significativi. Ma alla domanda ‘cosa offende Dio’ non c’è che una sola risposta: ‘tutto ciò che causa sofferenza alle persone’. Importante è sottolineare anche la nuova visione dei dieci comandamenti trasfusi nella parabola del Buon Samaritano. Sono angolature essenziali per una rimeditata visione della fede cristiana che scuote e rinnova tutti gli animi sensibili e gentili”.

Paolo Pozzuoli

 

 

 

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