Enrico Quaranta: visto da Lillino Tacelli


Angela D’Alto

(giornalista – vice sindaco di Monte San Giacomo)

 

Lillino Tacelli - già consigliere regionale, è stato uno dei personaggi politici di spicco nell'ambito del PSI prima maniera, quello che si inebriava al profumo dei garofani. Ora vive nella sua Monte San Giacomo.

Incontro Lillino Tacelli una mattina di inizio settembre al municipio di Monte San Giacomo. Sa già che voglio chiedergli di sé e della sua storia politica e, soprattutto, di Enrico Quaranta. Tacelli conosceva bene Quaranta, era uno dei suoi uomini di fiducia, ed è stato uno dei protagonisti della fortunata stagione del socialismo del Vallo di Diano.

 

Iniziamo col ricordare la società del Vallo negli anni ’50. Sono ricordi lontanissimi, eppure ancora nitidi… ”Era una società povera,in cui si respirava ancora il clima della guerra appena terminata. Da ragazzini, giocavamo a pallone senza scarpe. Il primo pallone lo comprammo con una colletta, a cui contribuirono tutti, compreso il sindaco di allora, Don Antonio Nicodemo.Era un pallone vecchio, ma noi eravamo abituati al pallone di pezza, un agglomerato di stracci legati tra loro…

Era una società povera,in cui pochi erano i privilegiati benestanti.

Nemmeno l’affermarsi della DC aveva prodotto grossi cambiamenti, soprattutto dal punto di vista dell’economia della società di allora. I nostri, all’epoca, erano paesi che ancora non avevano luce, l’acqua, le strade,le fognature. Gli amministratori di allora si preoccupavano di questo o, al massimo, di realizzare opere come la casa comunale o l’asilo, che non incidevano affatto su un’economia povera. Subito dopo, infatti, iniziò il fenomeno dell’emigrazione.

In questo contesto, la DC era riuscita ad affermarsi attraverso un controllo totale di enti e risorse, egemonizzando la società politica del Vallo, avendo ereditato, quasi in blocco, tutta la classe dirigente fascista, in contrapposizione ai socialisti e ai comunisti.

Prendiamo Monte S Giacomo: qui,l’elezione di Don Antonio Nicodemo sotto il simbolo dell’orologio, avvenne a danno di un altro medico, morto in odore di santità, Salvatore Lisa. La DC  prese poco più di cento voti e Nicodemo li surclassò, grazie al sostegno di tutta la vecchia nomenklatura fascista. Poi, subito dopo la sua elezione, Nicodemo e i suoi passarono in blocco alla DC. Questo non avvenne solo a San Giacomo, ma in quasi tutti i paesi del Vallo, e così in breve la DC si trovò ad essere ovunque primo partito e a controllare tutte le amministrazioni locali.

Alle amministrative,il predominio delle forze moderate era ancora più netto,rispetto alle politiche,tanto è vero che a M S Giacomo,ad esempio, nonostante Pietro Laveglia fosse stato per diverse volte  candidato  comunista alle politiche, era sistematicamente surclassato alle comunali da Nicodemo.La sinistra, socialista e comunista, si attestò sempre, per anni, sui trecento voti, e non riuscì più ad andare oltre.

 

Monte San Giacomo, il paese più socialista d'Italia. Non poteva mancare l'estrosità di un artigiano nel realizzare un garofano in ferro battuto inserito in una ringhiera comunale.

 

Le immagini di quegli anni si fanno man mano più nitide. Dalla matassa della memoria si dipanano i ricordi, malinconici e dolci…

 

Negli anni ’50 ero poco più che un ragazzino. Mio padre faceva il vigile urbano, reduce da undici anni di servizio militare e soprattutto da sei di prigionia. Lui stesso era vicino agli amministratori dell’epoca, particolarmente a Don Antonio Nicodemo, mentre io, sin da ragazzino, provavo una netta avversione nei confronti della Democrazia Cristiana. Ricordo un episodio proprio di quegli anni. Io e Nicola Racioppi – anche lui figlio di un vigile urbano- al passaggio di un corteo della DC, non resistemmo alla tentazione e, in un impeto di immediata e sprovveduta reazione,  sputammo sullo scudo crociato. Improvvisamente comparve Don Antonio Nicodemo, che non avevamo visto, e ci afferrò per un orecchio, deciso a portarci in caserma. Eravamo terrorizzati, più che altro dalla reazione che avrebbero potuto avere i nostri padri. Per fortuna, intervenne a nostro favore Don Raffaele Nicodemo, medico condotto, in nostra difesa.

Insomma, ho sempre avversato tanto la DC quanto Nicodemo, che pure in paese era molto considerato. Quando, ad esempio, Don Antonio si candidò al Parlamento, nella metà degli anni ‘50, mio fratello maggiore girava con la macchina della DC per fargli propaganda e lo seguiva nei comizi. Io,invece, ero pronto a salire sulla macchina di qualche compagno socialista o comunista per andare addirittura, provocatoriamente, sin sotto casa sua.

 

Gli ricordo che proprio in quegli anni , e precisamente nel ’56, Enrico Quaranta fu eletto sindaco di San Pietro al Tanagro mentre, in molti piccoli comuni del Vallo, iniziano a nascere minoranze consiliari di sinistra…

Ricordo bene l’elezione di Quaranta che, peraltro, si candidò contro lo zio, l’ingegniere Tierno.

Era il ’56. Anche S Rufo elesse un sindaco di sinistra, che però passò con la DC.

A M. S. Giacomo, invece, la minoranza di sinistra c’è sempre stata, da subito. Nel ’48 ci furono i primi iscritti al Partito Socialista, e c’era una forte sezione comunista-socialista,in cui i due partiti della sinistra, benché ciascuno con la propria identità, erano uniti nella lotta alla DC.La sezione era unica, i socialisti erano un centinaio, duecento e più i comunisti, e ci si differenziava solo alle politiche, quando ognuno votava per il suo partito, mentre per il resto era come un partito unico, social-comunista,contrapposto alla DC.

Erano tutti accanitamente anti democristiani, tant’è che quando Nicodemo si candidò alle politiche non fu votato dalla maggioranza dei compagni socialisti e comunisti, che resistettero alle insistenze e alle pressioni dei democristiani.

I primi consiglieri comunali di sinistra, a San Giacomo, furono, se ben ricordo, Gallitiello,Aluotto, poi subentrarono Antonio Monaco,comunista,Raffaele Totaro e Angelo Marotta, socialisti.

La contrapposizione in consiglio, era forte, anche se nei primi anni Nicodemo li surclassava, soprattutto dialetticamente. Da questo punto di vista, ovviamente, non c’era competizione.

Con Raffaele Totaro le cose iniziarono a cambiare. Raffaele allora scriveva sul quotidiano “Il Roma”, e aveva capito che una delle cose che il sindaco Nicodemo mal sopportava erano gli attacchi della stampa. Così, approfittando del suo rapporto di collaborazione col “Roma”, iniziò a polemizzare con lui sistematicamente dalle pagine del quotidiano, foraggiando uno strillone di Sala Consilina che, nei giorni del mercato, pubblicizzava a squarciagola le notizie che lo riguardavano.

Don Antonio morì al comune,stroncato da un infarto, presiedendo un infuocato consiglio comunale. Stava appunto rimproverando i suoi, per le beghe interne che, a suo parere, li indebolivano nei confronti dell’opposizione. Ricordo che la signora Lia, accorsa al comune alla notizia della morte del marito, urlò ai consiglieri democristiani: “è colpa vostra se è morto…”.

 

Una manifestazione politica di piazza degli anni 60 - Sul palco il terzo da sinistra è Lillino Tacelli - Furono gli anni in cui, come scrive Angela D'Alto, il PSI e la sinistra defenestrarono per sempre la D.C. dal governo del paese; un dominio assoluto dei socialisti che dura anche ai giorni nostri.

 

Il 1963 fu una data storica per il socialismo sangiacomese. La vittoria della lista di sinistra interrompe il ciclo democristiano, durato  quindici anni, e inaugura il nuovo corso socialista, destinato a durare un quarantennio…

 

“… A M. S. Giacomo volevamo continuare a fare opposizione, portando i soliti tre consiglieri di minoranza, sulla base di quelle che erano e che ritenevamo essere le nostre forze. Interpellando le persone da candidare con noi, ci accorgemmo che c’era una certa attenzione nei nostri confronti. Eravamo spinti soprattutto dalla contrapposizione alla DC,e non sentivamo ancora una chiara e consapevole appartenenza politica, tant’è che raggruppammo tutte le forze diverse dalla DC: socialisti e socialdemocratici, comunisti, missini, transfughi democristiani.

La campagna elettorale fu infuocata, i nostri comizi durissimi, il consenso della gente nei nostri confronti sembrava crescere. Il giorno delle elezioni – io ero candidato, per la prima volta- non mi mossi un attimo dalle scale del seggio elettorale, e guardando negli occhi la gente che usciva dopo aver votato, ebbi immediatamente il presentimento di una nostra vittoria. Nessuno dei miei compagni ci avrebbe scommesso una lira, e invece ebbi ragione: vincemmo noi, per una manciata di voti. Fu una rivoluzione, che modificò totalmente i rapporti sociali nel paese. Il prezzo che pagammo fu comunque alto. Da allora, e fino al 1978, il paese fu diviso, intere famiglie furono divise.

Delfino Lisa fu sindaco per soli tre mesi, poi, per divergenze interne, lo sostituimmo con Raffaele Totaro e io entrai in giunta. Oltre a me c’erano un comunista, un altro socialista e un socialdemocratico.

Proprio nel ’64,a pochi mesi dalle elezioni, si presentarono a San Giacomo Brandi e Quaranta, entrambi da poco eletti deputati con la socialdemocrazia. Vollero subito instaurare un rapporto di collaborazione con la nuova amministrazione di sinistra, benché il nostro elettorato, allora, fosse ancora prevalentemente comunista, tant’è che entrambi,alle politiche del ’63 non avevano raccolto molti consensi a M S Giacomo. E, in realtà, il loro contributo fu da subito prezioso, poiché noi stessi non avevamo altri riferimenti a cui appoggiarci.

 

Il 63 fu uno spartiacque tra il quindicennio democristiano e il nuovo corso socialista. E fu proprio l’elezione di Brandi, Quaranta e Angrisani con il Psdi a dare il via alla rivoluzione…

Inizialmente l’elezione di Enrico Quaranta sembrava un exploit destinato a finire subito.

D’altronde, l’area socialista allora era ancora debolissima in tutti i paesi del Vallo. Poi, col lavoro di Quaranta in tutti i comuni, un po’ alla volta, il partito iniziò ad assumere una certa consistenza. Ma fu davvero il frutto del suo paziente lavoro di costruzione, pietra su pietra. Quando, ad esempio, faceva finanziare un’opera pubblica a San Giacomo, lo faceva con l’obiettivo di creare un precedente, di dimostrare che lui non si preoccupava solo del suo comune, come tutti si sarebbero aspettati, ma che aveva a cuore tutto il territorio,e che solo i socialisti avrebbero potuto dare a questa terra una prospettiva di cambiamento, strappandola dal torpore di vent’anni di Democrazia Cristiana. E così, per esempio, Monte S Giacomo fu il primo paese ad avere, grazie a lui, la pubblica illuminazione, e veniva considerato un esempio da altri comuni, come Sassano, che invece ne erano ancora privi. Era stato il socialismo ad accendere le luci di Monte San Giacomo.

Poi, Quaranta aveva una grande abilità nel relazionarsi agli altri, a tutti indistintamente, dai ministri alle persone più umili. Ricordo che quando andavamo alla Cassa del Mezzogiorno per qualche richiesta di finanziamento, lui salutava tutti con grande calore, dall’usciere al massimo dirigente, e da tutti era ricambiato con altrettanto affetto.

 

Intanto, dopo le elezioni politiche del ’63, il quadro politico-amministrativo del Vallo si andava modificando…”Dopo S Pietro e M S Giacomo conquistammo anche S Rufo, e queste furono le prime tre amministrazioni socialiste del Vallo. Poi,nel ’65 ci confrontammo con la DC a Polla.

Nel ’64, alle elezioni provinciali, proseguì la crescita dell’area socialista. In quell’occasione furono eletti bel 5 consiglieri socialdemocratici.

Angelo Marotta, uno dei primi consiglieri comunali di sinistra, eletto a Monte San Giacomo negli anni turbolenti del cambiamento dalla DC al PSI

In realtà in questi anni, prima della unificazione socialista, era non tanto il PSI ma il Psdi ad essere in crescita. Del resto, noi tutti eravamo socialdemocratici, ma proprio perché Quaranta era socialdemocratico. Noi eravamo con lui, al di là e al di sopra di ogni altra considerazione.Persino i comunisti di Monte San Giacomo votavano per Enrico Quaranta, rendendosi conto che era quello l’unico modo per battere la DC.

 

Quando Quaranta veniva in paese, era accolto sempre trionfalmente. Era un bagno di folla, un tripudio di bandiere rosse. Tant’è che lui stesso aveva l’abitudine di chiudere da noi tutte le campagne elettorali,comprese le politiche.

Era un amore autentico, quello tra Quaranta e questo popolo…

Nel frattempo, nel ’66, fu lanciata la carta dell’unificazione socialista da Nenni e Saragat e nacque il PSU, che durò solo tre anni.La competizione con la DC fu estremamente dura, in quegli anni.

Al partito dello scudo crociato contestavamo innanzitutto lo strapotere,poi l’arretratezza della sua politica, che non era riuscita a sollevare il Vallo dalla povertà del dopoguerra. I nostri paesi allora erano ancora senza luce, senza fognature. Erano paesi abbandonati. Noi, un po’ alla volta, grazie a Quaranta e al suo dinamismo ma soprattutto all’infinito amore che aveva per questa terra, e grazie anche a referenti nazionali come Lucio Mariano Brandi, che allora aveva importanti incarichi di governo, riuscimmo a dare risposte a tanti cittadini, lavoratori che si rivolgevano a noi. E Quaranta è stato forse il primo deputato a scendere tra la gente, a recepirne i bisogni, a comprenderne le necessità, facendosene carico in prima persona, senza intermediari. Era lui stesso che, con la borsa piena  di documenti, andava a Roma, al Ministero o altrove, a perorare la causa di qualunque cittadino, e lo faceva con forza, e con un amore incredibile per la sua terra e per la sua gente.

 

Parliamo di Brandi e Angrisani, entrambi protagonisti di quella stagione politica. Tacelli sembra persino divertito nel ricordarli, soprattutto Angrisani…

Angrisani era un medico, ed era un personaggio nel vero senso della parola. Basti pensare ai suoi coloritissimi comizi, in cui i passaggi salienti erano sottolineati dal canto di un gallo appollaiato sulla sua spalla e opportunamente stimolato, nei momenti salienti delle sue arringhe, da un filo elettrico. Era un uomo temutissimo persino dai potentissimi notabili democristiani dell’epoca- i vari Scarlato, D’Arezzo, Lettieri- per il suo temperamento a dir poco focoso.Nessuno aveva il coraggio di scendere sul terreno che gli era più congeniale, quello cioè di uno scontro verbale che rasentava spesso il turpiloquio,la diffamazione. Era un terrore per i suoi avversari politici. Una volta addirittura improvvisò un palco di fronte al balcone dell’abitazione di un sindaco democristiano, e di lì, praticamente quasi in casa sua, lo attaccò con frasi irripetibili…

Brandi, invece, era più diplomatico, ma non era un lavoratore come Quaranta. Era più un uomo da sottogoverno. Quando si candidò al senato insieme a Quaranta ricordo che gli disse “..Enrico, io posso tranquillamente sedermi in poltrona e non fare nulla, sono già senatore. Sei tu che dovrai darti da fare, se non vuoi rischiare di non essere eletto deputato…”. Invece Quaranta fu eletto,mentre il più accreditato dirigente nazionale Landolfi non uscì, superato da Enrico per poche migliaia di voti, e lo stesso Brandi non fu eletto.

 

L’unificazione socialista, che a livello nazionale fu un fallimento, funzionò, invece, nel Vallo…

“Non solo funzionò, ma il Partito socialista, tranne una breve flessione registrata nel ’75, conobbe una straordinaria crescita. E il merito fu soprattutto di Quaranta, che fu il vero artefice di un lavoro capillare e straordinario, che in breve ci portò a ribaltare i rapporti di forza con la DC in tutti i paesi del Vallo. Anche a M. S. Giacomo, ad esempio, quando nel ’67 attraversammo un momento di particolare difficoltà, lui fu pronto a venirci in aiuto, girando con noi nelle case, mobilitando i compagni, parlando con tutti, coi giovani ma anche e soprattutto con le tante persone anziane e sole.

Nel ’69 terminò la breve esperienza dell’unificazione con la scissione.

In primo piano Lillino Tacelli, alle sue spalle l'indimenticato Enrico Quaranta ed al fianco di quest'ultimo il sig. Antonio Monaco, antesignano comunista sangiacomese.

Fu un momento particolare, e per certi versi difficile. La federazione occupata, le tensioni interne, e soprattutto gli attacchi durissimi di Angrisani nei confronti di Brandi e, ancor di più, di Quaranta. Con la scissione,infatti, Angrisani restò nella socialdemocrazia, mentre Brandi e Quaranta passarono al PSI, e noi tutti, nel Vallo, passammo con Quaranta al PSI. Da quel momento la rabbia di Angrisani verso Quaranta fu irrefrenabile. Angrisani si sentì tradito da quello che aveva considerato sempre come una sua creatura politica. Quaranta subiva i suoi pesantissimi attacchi , e a volte tentava persino di giustificarlo. Capiva la sua rabbia, il senso di tradimento che aveva avvertito sentendosi abbandonato. Brandi, invece, replicava agli attacchi di Angrisani con altrettanta durezza, senza risparmiargli nulla. Comunque, un primo logoramento di rapporti tra Angrisani eQuaranta c’era stato già l’anno precedente, in occasione delle politiche del ’68, quando nel collegio senatoriale Cilento-Vallo di Diano i socialisti candidarono il giornalista dell’Espresso Lino Iannuzzi. Angrisani avversò fortemente la candidatura di Iannuzzi, sentendosene minacciato, e mal sopportò il fatto che Quaranta, invece, correttamente lo sostenne, facendolo votare nei comuni del suo collegio. Addirittura durante la campagna elettorale Angrisani, accompagnando Iannuzzi a S. Pietro, fece in modo che il giornalista, già allora discreto bevitore, arrivasse completamente ubriaco  al comizio…

 

Poi, comunque, Iannuzzi fu eletto dopo una intensa e avvincente campagna elettorale. Ricordo la sera che venne a San Giacomo, e che dal balcone del municipio concluse il suo comizio dicendo ”… da questa notte, a Monte San Giacomo, nasceranno tanti figli socialisti…”.  Purtroppo dopo la sua elezione, Iannuzzi si disinteressò del collegio, tornandoci ben poche volte, tant’è che alle politiche successive non fu rieletto. Nel bene e nel male, il nostro è un popolo che non dimentica…

 

Siamo agli anni’70.Continuiamo a ripercorrere il cammino di Quaranta e dei socialisti, ricordando quello che in Italia, per il Partito Socialista, fu il momento più buio della sua storia nella vecchia repubblica ma che coincise, invece, con la straordinaria crescita de PSI del Vallo di Diano…

“Il PSI del Vallo conobbe, proprio in quel periodo, il momento di maggior crescita, grazie soprattutto a Quaranta. A livello di componenti interne, noi eravamo collocati nell’area che, a livello nazionale, faceva riferimento a Mancini, e qui ovviamente a Quaranta. In federazione si viveva lo scontro tra l’area di Mancini e i demartiniani. Ricordo, ad esempio, lo scontro durissimo in occasione della formazione della nuova maggioranza in federazione, che perdemmo a causa del tradimento di Vignola di Eboli, fino ad allora manciniano e che allora passò con la corrente di De Martino, causando la sconfitta della nostra area. Fu in quella occasione che venne fuori il giovane Carmelo Conte,proprio in contrapposizione a Vignola. Conte fu eletto segretario, ma la sua non fu, come tutti avevano pensato all’inizio, una breve parentesi, bensì l’inizio di una folgorante carriera politica, che di lì a breve lo avrebbe portato alla regione, al parlamento e poi addirittura al governo, come ministro delle aree urbane.

Nel frattempo, Quaranta era diventato un personaggio di livello nazionale, nel Partito Socialista,e lo testimonia anche il rapporto di stima che lo legò a Mancini ma, soprattutto, il legame fortissimo che ebbe con Craxi.

Ma, nonostante questo, Quaranta viveva malissimo, con grande tensione, le campagne elettorali. Non si sentiva mai tranquillo, mai sicuro. Persino quando, nel 1983, fu il senatore socialista più votato d’Italia, col 25% dei suffragi, visse quella campagna elettorale con ansia e preoccupazioni immotivate. Noi tutti gli stavamo sempre vicini, ormai il legame con lui era diventato strettissimo, era un legame di sangue.

Ho vissuto con lui un rapporto straordinario, dal punto di vista politico ma anche e soprattutto umano, e lui si fidava di me ciecamente. Spesso mi parlava di sé, dei rapporti con altri compagni, a volte delle sue delusioni o delle sue diffidenze verso alcuni. Aveva una opinione ben precisa, mai superficiale, di ciascuno di noi. Conosceva i nostri pregi e i nostri difetti, aveva ben chiaro di chi potersi fidare e di chi no. Apprezzava molto la sincerità,  e anche se sul momento poteva irritarsi, poi era pronto a riconoscere le ragioni altrui e i propri torti.”

 

Sono gli anni ’70 a consacrare definitivamente il PSI del Vallo di Diano come partito guida del territorio. In questi anni nasce il sistema di potere socialista con l’istituzione della Comunità Montana, la nascita del Centro Sportivo Meridionale,il controllo dell’USL.Enti e risorse sono gestiti dal PSI, e molti dirigenti e amministratori socialisti del Vallo sono chiamati a ricoprire importanti incarichi politici e istituzionali. E’ il caso dello stesso Tacelli, che ricorda la sua elezione al Comitato Regionale di Controllo, nel 1976…

“L’istituzione del CO.RE.CO risale agli anni ’70.Quaranta pensò subito di mettere lì una persona di sua fiducia. Il Comitato di Controllo aveva un grande potere su tutti gli altri enti, come ad esempio gli ospedali, o le stesse comunità montane, per cui lui aveva bisogno di mettere lì un suo uomo, che garantisse e tutelasse il partito. Non dimenticherò mai come avvenne la scelta che portò me nel Comitato di Controllo:era il 1976. Quaranta aveva fatto subito il mio nome, suscitando il risentimento di altre persone, compagni che, almeno sulla carta, erano molto più qualificati di me, avvocati come Petillo, Scocozza, Ignazio Rossi…Le lamentele arrivarono addirittura a Craxi, da poco eletto segretario del partito. Come era possibile – gli chiedevano – che a professionisti di tale livello fosse stato preferito un semplice vicesindaco di un paesino di montagna ? Quaranta, responsabile di tale scelta, fu chiamato da Craxi in persona, che gli chiese senza mezzi termini spiegazioni sulla vicenda. Lui, intelligentemente, accettò le rimostranze e gli indicò il nome di un bravo avvocato, il compagno Angelo Ippolito di Sant’Arsenio, che peraltro era anche il segretario della federazione di Salerno. Craxi lo chiamò personalmente, subito dopo aver terminato la conversazione telefonica con Quaranta, pregandolo di accettare l’incarico. Ippolito, che oltre ad essere uomo di assoluta fiducia di Quaranta era anche un mio carissimo amico, rifiutò, sostenendo la scelta di Enrico e confermandogli che io, anche a suo parere, ero la persona più indicata a ricoprire quel ruolo. E così anche Craxi si convinse, e di lì a poco fui nominato membro del CO.RE.CO., di cui poi divenni Vicepresidente e, per un periodo, addirittura presidente. Fu il momento più esaltante della mia esperienza politica, e fu Enrico Quaranta a renderlo possibile, credendo in me e sostenendomi con lealtà totale e assoluta.

 

Il Centro Sportivo Meridionale, realizzato sempre negli anni ’70 dai socialisti, fu pensato e voluto da Quaranta, e rappresentò un po’ il simbolo della politica socialista di quegli anni…

In verità, l’idea originaria di Enrico era quella di realizzare una fabbrica. Si rivolse, perciò, alla Cassa del Mezzogiorno per ottenere i finanziamenti necessari, ma gli fu risposto che soldi per quel tipo di intervento non ce n’erano. Sarebbe stato possibile, invece, accedere a finanziamenti nel settore dello sport, ma a patto che a farne richiesta fossero stati non i singoli comuni, ma un Consorzio. Così, nacque il Consorzio all’epoca denominato ‘dei comuni depressi’, al quale inizialmente aderirono le tre amministrazioni socialiste: San Giacomo, San Pietro e San Rufo. La sede provvisoria del Consorzio, inizialmente, fu Monte San Giacomo,a San Rufo,invece,furono destinati gli impianti sportivi da costruire.

Una veduta di Monte San Giacomo (SA), il paese più socialista d'Italia

Accedemmo così ai primi fondi,poi man mano ne ottenemmo altri e fu possibile realizzare la struttura che conosciamo.Fu comunque un’opera di forte impatto sui cittadini del Vallo,una struttura imponente per le dimensioni addirittura superiori a quelle dell’Eur di Roma. Quaranta lo considerò sempre una sua creatura, il simbolo della grandezza socialista, del riscatto di questa terra, del futuro. Addirittura, durante la sua campagna elettorale mandava ogni giorno un pullman nel Cilento a prendere i cilentani per portarli qui nel Vallo, nella terra del socialismo, per farli rendere conto di quanto i socialisti avessero fatto per la propria gente, delle opere realizzate, del progresso, dei sogni. E il Centro Sportivo era la prima tappa, il suo fiore all’occhiello…

 

Il primo presidente del Centro sportivo fu proprio lui, e io fui suo vicepresidente. A lui, succedette Ritorto. Nel frattempo, avevamo conquistato altre amministrazioni, così si aggiunsero altri consorziati e cambiammo nome al consorzio.

Anche la Comunità Montana, istituita in quegli anni, fu una roccaforte socialista, come l’USL, che rappresentò per il partito un elemento di affermazione altrettanto importante. Riuscimmo ad ottenerne il controllo nel comitato di gestione e ad esprimere, anche lì, il vertice, prima con Curcio, poi con Bonomo, infine con Ferzola.

 

Lo spazio politico conquistato dal PSI  ebbe come suo cardine il controllo degli enti locali, ma anche e soprattutto l’idea di sviluppo che i socialisti misero in campo attraverso idee-guida, come quella della Città-Vallo…

“..L’idea della Città Vallo fu davvero dirompente. Ricordo di un nostro viaggio negli Stati Uniti per lanciare appunto l’idea Città Vallo, insieme all’architetto Paolo Portoghesi, che fu un po’ il padre del  progetto. Fu straordinario. Restammo a New York per cinque giorni, e la manifestazione conclusiva, nella Fifth Avenue di New York, fu un vero successo.

D’altronde, l’idea della Città Vallo fu una eccezionale operazione politica, un formidabile elemento di aggregazione, di identità sociale e culturale, attorno alla quale nacque e si sviluppò un dibattito che coinvolse non solo la tradizionale cerchia della militanza, ma strati più ampi della società civile, giovani, professionisti, intellettuali…

 

Intanto Quaranta si era affermato come figura di livello nazionale nel PSI, grazie anche al rapporto che lo legava a Craxi. Tacelli ricorda bene tutti gli episodi che testimoniavano l’intensità del loro legame, e li ricostruisce con estrema precisione…

Dopo le elezioni dell’82, che lo consacrarono senatore socialista più votato d’Italia,Quaranta , che in un primo momento era sembrato addirittura in predicato di diventare ministro, rischiò di essere escluso persino dall’elenco dei sottosegretari. Enrico tornò da Roma avvilito e deluso.Fu poi lo stesso Craxi, con una telefonata, a rincuorarlo, e a garantirgli la nomina a sottosegretario, a testimonianza della stima e dell’affetto che sempre li aveva legati.

Anche Quaranta sostenne sempre le scelte di Craxi, persino quando non ne era intimamente convinto. Fu così, ad esempio, in occasione della candidatura di Tempestini nel nostro collegio, voluta da Craxi e dal partito nazionale,

che aveva bisogno di garantire un collegio sicuro al giovane dirigente romano Tempestini e avversata da Carmelo Conte. A Quaranta non piaceva molto Tempestini, ma per disciplina lo sostenne mobilitandosi in prima persona e contribuendo alla sua elezione.”

 

Intanto, il sistema di potere socialista, nel salernitano e in particolare nel Vallo aveva assunto, ormai, proporzioni significative e assolutamente anomale rispetto all’esperienza nazionale.

In provincia di Salerno e nel Vallo il partito aveva conquistato diverse amministrazioni, era entrato prepotentemente nel sistema degli enti locali e delle risorse, in alcuni casi quasi monopolizzandolo.Nell’83 Quaranta viene eletto  col 25% dei suffragi, ed è il senatore socialista più votato d’Italia. E’ l’apice del suo successo elettorale. Intanto, l’anno prima era morto un uomo che aveva rappresentato molto per il socialismo del Vallo e per Quaranta stesso:Gerardo Ritorto…

Ritorto morì in un incidente stradale, andando a un comizio a Castiglione dei Genovesi. Noi eravamo a Padula, in riunione, quando avemmo la notizia dell’incidente. C’era anche Quaranta. Ci precipitammo subito sul posto,arrivammo lì con una cinquantina di macchine,ma  purtroppo era già morto. Era morto sul colpo. Fu terribile,soprattutto per Enrico, che piangeva l’uomo ma anche il compagno di partito, sul quale aveva investito e puntato. Era quasi arrabbiato con lui, non riusciva a perdonarlo per quella morte sciocca, evitabile.

Per la verità, i rapporti tra Quaranta e Ritorto non erano stati sempre idilliaci come si potrebbe pensare, tant’e vero che a un congresso Quaranta era stato costretto a prendere posizione contro Ritorto in modo abbastanza netto. Ritorto era un cavallo di razza  che, però, ogni tanto scalpitava un po’ troppo, e Quaranta cercava, nei limiti del possibile, di tenerlo a freno. Ma, al di là di tutto, Enrico aveva puntato molto su di lui, anche in contrapposizione a Conte, del quale Ritorto era antagonista e competitore.

 

Arriviamo, così, al 1984 e alla morte di Quaranta. E’ un ricordo triste, dai contorni netti, per nulla sfumati. Ogni parola rievoca un’immagine, ogni immagine è un grumo di storia che esplode con forza sotto le picconate della memoria

Ricordo nitidamente la sera che Enrico ebbe le prime avvisaglie della sua malattia. Eravamo a Sapri, per il solito comizio, e lui uscì dal bagno con un’espressione preoccupata. Aveva avuto delle perdite di sangue, ma in verità né lui né noi attribuimmo a quell’episodio particolare importanza. Successivamente andò a Roma per visitarsi, giacchè l’episodio si era ripetuto, accompagnato da dolori lancinanti allo stomaco. Tornò sconvolto da quella visita, perché si rendeva conto che il medico lo trattava come un malato, e lui non riusciva ad accettarlo. Fu, per lui, il primo choc. Gli fu diagnosticata una diverticolite, e dopo aver valutato anche l’opportunità di operarsi in Francia, si convinse a sottoporsi all’intervento a Napoli, alla clinica Mediterranea. Era più comodo, secondo lui, anche ai fini di una rapida ripresa dell’attività politica. Prese per sé due stanze e un salottino antistante nel quale, appena rimessosi dall’intervento, avrebbe dovuto ricevere amici e compagni e riprendere le normali attività. La sera prima dell’intervento Enrico, nervosissimo e depresso, aveva bevuto e fumato tanto da intossicarsi quasi. Da  quando aveva scoperto di essere malato, gli capitava spesso di bere whisky, quasi a volersi stordire, per non sentire il dolore. Una sera, a casa sua, io e Gioacchino Carpinelli, suo carissimo ed intimo amico, notammo con preoccupazione la cosa, e Gioacchino, che nutriva per lui un affetto sincero, gli disse..” Enrico, non dovresti bere. Così rischi di ammazzarti!” Lui si arrabbiò talmente che strinse il bicchiere in mano così forte da romperlo, tagliandosi la mano che iniziò a sanguinare.

Comunque,l’operazione fu lunghissima, durò oltre sette ore. Noi eravamo lì, in attesa, preoccupati ma speranzosi fino alla fine. Al termine dell’intervento, riuscimmo a vederlo e a parlargli. Era intubato, provato, ma non vinto. Mi ricordo che come prima cosa  mi ricordò proprio di quell’episodio con Carpinelli a casa sua, e mi disse “ ora capisci perché bevevo? Era per sopportare il dolore. Era per colpa di questo male…”

In quei pochi giorni intercorsi tra l’intervento e la sua morte, tutti, compagni, amici, avversari politici, furono lì con lui. Ricordo la visita di un suo antagonista storico, il democristiano Vincenzo Scarlato , rivale di mille battaglie ma legato a lui da un rapporto di correttezza e lealtà reciproca, e gli sfottò che, persino in quel caso, si scambiarono. “Speravi di liberarti di me per gestire tutto tu, a Salerno? Ti è andata male…”, gli disse Enrico con la consueta ironia..

Nei cinque giorni successivi all’operazione, comunque, sembrava essere in netta ripresa. Poi, all’improvviso, ebbe un’ emorragia, e si rese necessaria un’altra operazione.Furono attimi drammatici, perché il medico che avrebbe dovuto operarlo non c’era e, a complicare ancora di più la situazione, si aggiunse la indisponibilità, in quel momento, del sangue necessario per la trasfusione. Enrico fu sottoposto al secondo intervento, che durò oltre tre ore , e dal quale purtroppo non si riprese più. Nei due giorni successivi, Enrico sembrava già morto. L’elettroencefalogramma era piatto. Fu Giosi Roccamonte, medico e senatore socialdemocratico, ad accorgersi che in realtà l’apparecchio era rotto, e l’elettroencefalogramma risultava piatto per questo. Ma ormai non c’era più niente da fare,ed Enrico morì subito dopo.

Fu per tutti noi un trauma tremendo, perché nonostante la gravità delle sue condizioni, speravamo sempre in una ripresa. Dopo la prima operazione, Carmelo Conte non voleva rassegnarsi al peggio, ed insistette moltissimo con la moglie di Enrico per portarlo in Francia, a sue spese e preoccupandosi lui di tutto, trasporto in elicottero compreso. Ma poi la moglie non volle, e del resto probabilmente era già troppo tardi.

Il compianto Senatore della Repubblica dr. Enrico Quaranta

Accettare l’idea che Enrico fosse morto fu difficile. Ci sembrava impossibile che un uomo come lui, giovane, bello, forte, vivo, potesse spegnersi così. Se n’era andato lasciando soli tutti noi, rendendo orfana questa terra. E la sua fine fu percepita proprio cosi da tutti, dai suoi compagni e dai suoi amici, ma soprattutto dalla gente comune, da quella gente a cui aveva dedicato, con amore e generosità, le sue forze, la sua vita.

 

I suoi funerali furono struggenti. C’erano tutti, compreso Craxi, e tutti piangemmo per lui.”

 

La morte di Enrico Quaranta lasciò un vuoto nel partito che forse nessuno riuscì a colmare fino in fondo. In seguito, Carmelo Conte divenne leader dei socialisti salernitani ottenendo risultati elettorali straordinari. Poi, arrivano gli anni ’90, e con essi il terremoto provocato dall’inchiesta “mani pulite”, che travolse il sistema dei partiti della vecchia repubblica, e, in particolare, il PSI, annientandolo.

“Ricordo con rammarico e dolore quegli anni. Amici intimi, compagni di sempre pagarono prezzi spaventosi. Noi eravamo consapevoli di ciò che stava accadendo, conoscevamo i limiti di quel sistema e riconoscevamo gli errori commessi da alcuni dirigenti del nostro partito. E’ inutile, ora, ricordare i fatti o analizzare circostanze, o ancora riconoscere la degenerazione non di un partito o di questo o quell’uomo, ma di un intero sistema. Fatto sta che in quel periodo si scatenò una autentica “caccia al socialista”, con arresti, indagini, campagne denigratorie. La magistratura faceva politica, e noi ne eravamo i bersagli principali. Ognuno di noi viveva nell’incubo, col terrore di essere arrestato da un momento all’altro. Perdemmo il nostro partito, un pezzo della nostra storia, della nostra vita, e fu un po’ come un’altra morte, un altro lutto.”

 

Il viaggio nella memoria  termina così, con questa doppia morte, cinica e un po’ beffarda, e con un ultimo ricordo del socialista Quaranta, del compagno Enrico…

Enrico mi ha insegnato a combattere a fianco alla gente, per la gente. Lui aveva un’idea della politica intesa come servizio, nel senso più pieno e vero del termine. Era un vero socialista, pronto a scendere nella quotidianità di ciascuno, addossandosene i problemi, condividendone i dolori, regalandogli una speranza. Forse la cosa più bella e più importante che ha fatto per la sua terra e per la sua gente è stata proprio questa: prenderla per mano e accompagnarla, guidarla in un cammino di riscatto e di speranza, con tutto l’amore e la forza di cui era capace.”

 

 

One thought on “Enrico Quaranta: visto da Lillino Tacelli

  1. Grazie di cuore, per aver ricordato questo tratto di storia che è rimarrà sempre nei nostri cuori… non è nostalgia di un passato vissuto, ma una constatazione della passione è del ruolo della politica, che aimé oggi non esiste più….. sempre fiduciosi che tutto sia migliorabile, soprattutto per il contributo delle nuove generazioni…con gratitudine… Giuseppe Mogavero

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