Sicurezza: da Marcinelle fino ad oggi … solo chiacchiere

 

Aldo Bianchini

La fustellatrice di Modena, una delle tante della vasta gamma esistente sul mercato

SALERNO – Nelle ultime settimane, dopo l’ennesimo infortunio mortale sul lavoro, un po’ tutti i personaggi istituzionali supportati dalla stampa, in coincidenza con le celebrazioni del 65° anniversario della strage di Marcinelle (Belgio) si sono nuovamente scatenati in un’ondata di chiacchiere senza senso in materia di prevenzione, soprattutto nell’estenuante e poco credibile spiegazione della poco sicurezza delle macchine operatrici (leggasi fustellatrice che avrebbe ucciso Laila El Harim) esistenti nel quadrilatero modenese del tessile nel mondo molto produttivo del baçon.

Il disastro di Marcinelle avvenne la mattina dell’8 agosto 1956 nella miniera di carbone Bois du Cazier di Marcinelle, in Belgio. Si trattò d’un incendio, causato dalla combustione d’olio ad alta pressione innescata da una scintilla elettrica. L’incendio, sviluppandosi inizialmente nel condotto d’entrata d’aria principale, riempì di fumo tutto l’impianto sotterraneo, provocando la morte di 262 persone delle 275 presenti, di cui 136 immigrati italiani. L’incidente è il terzo per numero di vittime tra gli immigrati italiani all’estero dopo i disastri di Monongah e di Dawson. Il sito Bois du Cazier, oramai dismesso, fa parte dei patrimoni storici dell’UNESCO. (fonte Wikipedia).

Dunque quel giorno dell’agosto del 1956 morirono tutti insieme ben 136 immigrati italiani (allora dalle regioni del sud molti operai andavano in Belgio per lavorare in miniera) e le reazioni politico-istituzionali furono pressappoco identiche a quelle di oggi; però all’epoca era passato appena un anno e qualche mese dalla promulgazione del primo decreto legge sulla prevenzione infortunistica, mentre oggi da quel promulgazione sono passati ben 66 anni, ma la situazione sembra bloccata a quel tragico 8 agosto 1956 nonostante le infinite chiacchiere e diversi altri decreti leggi. Per essere buonisti una parziale giustificazione, in favore dei personaggetti di oggi, la troverei nel fatto che anche l’Europa dopo Marcinelle ci ha messo ben 39 anni per accorgersi del grave problema infortunistico ed indurre gli Stati membri ad emanare specifico nuovo decreto nel 1994 (decreto legislativo 19 settembre 1994 n. 626) che ricopiava pari pari quello italiano del 1955.

Quindi il nostro amato Paese è stato da sempre capofila di un discorso, anche culturale, che dopo aver praticamente messa in piedi l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro (DPR 30 giugno 1965 n. 1124) ha cercato di introdurre nella complessa mentalità della ex “classe operaia” e della spregiudicatezza dei grandi sindacati che si sono da sempre avvicinati al problema più come lotta contro il padrone che come reale difesa del lavoratore dipendente. Ed in questo la magistratura ha dato il colpo mortale conducendo sempre indagini rivolte alla ricerca esclusiva della colpa del datore di lavoro (il padrone !!); una ricerca abbastanza facile anche perché rispondente alle esigenze di una opinione pubblica che, male informata, ha sempre preteso un colpevole subito, meglio ancora se il padrone di turno.

Ma l’illuminante Decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1955, n. 547 (in Suppl. ordinario alla Gazz. Uff., n. 158, del 12 luglio –  Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, con 406 articoli in cui venivano ricomprese tutte le attività lavorative possibili e immaginabili) mai soppresso aveva, secondo gli imperanti sindacati dell’epoca, un difetto di origine: “La possibile responsabilità del lavoratore che, nel caso di mancata osservanza delle regole e di mancato utilizzo dei presidi personali di sicurezza, poteva portare anche al licenziamento dello stesso lavoratore”.

Un concetto che non poteva proprio passare e che stenta a prendere piede anche oggi; un concetto che ha praticamente bloccato anche la diffusione della cultura della prevenzione basata essenzialmente sulla collaborazione del lavoratore con il suo datore nella ricerca di tutti quegli escamotages protettivi che possono appalesarsi utili dopo le fasi di una necessaria sperimentazione delle macchine operatrici che neppure il più abile dei progettisti può immaginare senza le prove sul campo.

Visione dall'alto della zona industriale di Battipaglia

Come esempio pratico ricordo che nello stabilimento industriale della Superbox di Battipaglia (una multinazionale americana per la produzione dei barattoli di latta) alla fine degli anni ’70 per l’eccessivo rumore della varie catene di lavorazione più della metà dei dipendenti (oltre 300) avanzarono richiesta di indennizzo per malattia professionale (sordità da rumori). Un incauto ispettore di vigilanza relazionò che in quella fabbrica nessuno utilizzava le cuffie o i tamponi auricolari e nasali, che i dirigenti avevano molto spesso diffidato i lavoratori per indurli all’utilizzo dei mezzi messi largamente a disposizione di tutti (se li portavano a casa ?) e che i sindacati avevano sempre bloccato ogni provvedimento disciplinare. Bastava quella relazione per negare il riconoscimento della malattia; apriti cielo, accadde la fine del mondo ed intervenne anche il Ministero che sulla spinta dei sindacati impose il riconoscimento della sordità da rumore a quasi tutti i richiedenti. La fabbrica non abituata a lavorare con questi sistemi dopo qualche anno chiuse i suoi battenti.

 

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