Cooperative: la presunzione di innocenza … Giovanni Falci mi scrive

 

Aldo Bianchini

 

Avv. Giovanni Falci

SALERNO – Da qualche settimana Salerno vive con l’incubo o con l’attesa di sfracelli giudiziari senza precedenti; negli ultimi giorni, poi, questa percepibile tensione è addirittura scoppiata con l’annuncio dell’avviso di garanzia notificato al governatore della Campania (già sindaco di Salerno) on. Vincenzo De Luca.

I titoli più intricanti e suggestivi accoppiati a quelli aggressivi e giustizialisti hanno creato un clima da caccia alle streghe che ha calpestato ogni diritto dell’indagato che, si badi, non è assolutamente ancora colpevole.

A far passare come condannati definitivi alcuni semplici indagati ci pensa, oggi come ieri, l’esercizio di un diritto-dovere all’informazione che ormai tracima da ogni confine deontologico per sfociare, nel migliore dei casi, in accuse e condanne senza senso e senza prove, e soprattutto senza processo.

Per storia personale io sono sempre stato fortemente contro questo tipo di volgare informazione, e spesso mi sono procurato non poche accuse da parte di tanti colleghi; e l’ho fatto da tangentopoli ad oggi e continuerò a farlo anche domani nella continuazione del rispetto delle regole che il “decreto Cartabia” ha soltanto rinnovato e rlanciato.

Nel dibattito è entrato a piè pari il noto avvocato penalista-cassazionista Giovanni Falci che mi ha scritto una lunga ed articolata lettera sulla “presunzione di innocenza” che non mancherò di analizzare nei prossimi articoli:

 

 

da Giovanni Falci (avvocato)

Caro Aldo, continuo a leggere sul tuo quotidiano, e anche su altri, ancora articoli relativi a una indagine in corso: “Giletti De Luca sfida all’ok Corral”; “Cooperative il rancoroso Giletti e il flop di Michele Sarno”; “Cooperative tanti ragionevoli dubbi”; “Cooperative S. longa manus di Z.” e tanti altri ancora.

Secondo me così non va bene!

Vogliamo capire, una volta per tutte, che è in corso una piccola rivoluzione? E forse neanche tanto piccola.

Il decreto legislativo sulla presunzione d’innocenza prova a correggere il vizio fatale della giustizia italiana: la sostituzione del processo mediatico all’accertamento penale!

Rispettata la scadenza prevista dalla delega, 8 novembre, dopo la firma del Presidente della Repubblica, sarà legge il “DIVIETO DI INDICARE PUBBLICAMENTE COME COLPEVOLE L’INDAGATO O L’IMPUTATO” fino a che non arrivi una sentenza definitiva.

C’è da ringraziare certamente la ministra della Giustizia Marta Cartabia che ha sostenuto l’importanza del provvedimento, e scongiurato ritocchi.

C’è poi da ringraziare il sottosegretario Francesco Paolo Sisto, che ha favorito una non facile mediazione sul parere delle commissioni Giustizia di Camera e Senato, e c’è da ringraziare il deputato di Azione Enrico Costa, che già un anno fa aveva sollecitato il recepimento della direttiva europea, la 343 del 2016, a cui il testo approvato assicura il compiuto adeguamento.

Ma a che serve tutto questo se poi a Salerno imperversa una folla sul “processo cooperative” da fare invidia a quella di 1988 anni fa a Gerusalemme?

L’Italia ha impiegato la bellezza di cinque anni per conformarsi alle misure, dettate sia dal Parlamento di Strasburgo che dal Consiglio UE per poi trovarsi con quei titoli che prima ho elencato (e sono solo gli ultimi di una campagna di stampa colpevolista e giustizialista che imperversa da circa un mese).

Voglio ricordarti oggi, caro Aldo, come ho scritto in un mio precedente articolo, che la presunzione d’innocenza è tutelata, oltre che in modo solenne dall’articolo 27 della Costituzione, anche da una molto sottovalutata norma già inserita nel Codice disciplinare dei magistrati, i quali possono rispondere per “PUBBLICHE DICHIARAZIONI O INTERVISTE CHE RIGUARDINO I SOGGETTI COINVOLTI NEGLI AFFARI IN CORSO DI TRATTAZIONE, QUANDO SONO DIRETTE A LEDERE INDEBITAMENTE DIRITTI ALTRUI”.

Un’incredibilmente disattesa anticipazione del nuovo testo (inserita, tanto per essere precisi, nel decreto legislativo 109 del 2006).

Ora, a prescindere dal maggiore rigore che il nuovo decreto ha introdotto nei confronti dei magistrati che violassero il principio di innocenza (lo stesso magistrato dell’accusa è tenuto a riferirsi in modo “limitato” alla colpevolezza, giusto quanto basta per “soddisfare i presupposti, i requisiti e le altre condizioni richieste dalla legge per l’adozione del provvedimento”), il cuore delle nuove norme riguarda i rapporti con l’informazione.

Questi rapporti continuano a poter essere gestiti, nelle Procure, dai capi o da pm delegati, ma d’ora in poi solo attraverso comunicati ufficiali.

Si possono convocare conferenze stampa solo “nei casi di particolare rilevanza pubblica dei fatti” e con atto motivato da ragioni “specifiche”, aggettivo che costringe i procuratori a spiegare in modo non troppo generico l’esigenza di convocare i giornalisti.

Questo termine introdotto “specifiche”, anche rispetto alle “ragioni” stesse per le quali si sceglie di informare la stampa, a cui i magistrati potranno rivolgersi appunto solo quando ricorrono ben definite motivazioni “di interesse pubblico” o quando tale “pubblicità” è “strettamente necessaria per la prosecuzione delle indagini”, nel caso delle cooperative di cui si parla quotidianamente secondo te è rispettato?

E’ stato, perfino introdotto il divieto di assegnare alle indagini “denominazioni lesive della presunzione di innocenza”, come i suggestivi nomignoli con cui, senza bisogno d’altro, già si presentava l’indagato come inesorabilmente colpevole e delinquente.

Ma per gli avvocati chi provvede a questo controllo?

Cerchiamo di evitare la cd La febbre da talk show di cui non parlo io, avvocato, ma di cui ha parlato Armando Spataro ex procuratore di Torino.

Stiamo assistendo nel nostro caso a una vera e propria deriva di cui i magistrati non sono, ovviamente, gli unici responsabili: anche la polizia giudiziaria, i giornalisti, i politici e gli avvocati possono contribuire alle “strumentalizzazioni”, con il risultato di produrre “informazioni sulla giustizia prive di approfondimento e di verifiche, e che sono caratterizzate dalla ricerca di titoli e di forzature delle notizie al solo scopo di impressionare il lettore” (testuale intervento del dott. Spataro).

Nei convegni, nelle dotte conferenze si parla sempre di GIUSTO PROCESSO.

Il giusto processo, però, non dipende solo da quanto avviene in aula, ma anche da ciò che accade fuori, ovvero grazie a notizie giuste e vere, conoscibili entro i limiti previsti per le varie fasi processuali e contenenti esclusivamente riferimenti ai fatti che sono oggetto del processo.

Ma lo stesso può essere inficiato dalla tendenza al protagonismo individuale, un problema reale, connesso alla convinzione di alcuni pm o avvocati di potersi proporre al Paese, e nel nostro caso al paese con la p minuscola, attraverso la diffusione mediatica di notizie sulle proprie indagini o sulle proprie difese, spesso enfatizzate, come eroi solitari, unici interessati alle verità che i poteri forti intendono occultare.

Un atteggiamento da cancellare, perché sono preferibili i magistrati e gli avvocati che non cercano consenso (specie nelle piazze gremite) e che lavorano con riservatezza e determinazione.

Su tutti deve prevalere il dovere di sobrietà informativa, specie quando i fatti sono oggetto di indagine e non ancora di una sentenza, sia pure di primo grado.

E’ inaccettabile la prassi lanciare proclami, del tipo “il palazzo trema” “si tratta della più importante indagine contro il sistema Salerno” o “finalmente abbiamo scoperto il malaffare nel comune”.

Ma anche i comunicati stampa, spesso, cedono al sensazionalismo, offrendo alla stampa anche stralci di intercettazioni o spunti critici verso giudici o avvocati, oppure affermazioni apodittiche quasi che le tesi dei pm esposte nei comunicati rappresentino la verità inconfutabile, definitivamente accertata, insomma un anticipo di sentenza. Bisogna recuperare, perciò, caro Aldo, e questa volta anche per legge scritta, il senso del limite e dall’etica del dubbio cui devono conformarsi le parole di un avvocato o di un pubblico ministero prima della decisione del giudice.

Grazie per lo sfogo.

Giovanni Falci

 

 

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